C'è un elemento della vulgata riguardante la Grande Guerra italiana che sembra essere duro a morire, e che malgrado i numerosi ridimensionamenti subiti ad opera di parecchi storici, con ogni probabilità tornerà ad affiorare (speriamo non ad imporsi) durante le celebrazioni del centenario che ci aspettano nei prossimi anni. Parliamo della contrapposizione tra il periodo di comando di Luigi Cadorna e quello del successore Armando Diaz: il primo regno del terrore, delle decimazioni e delle sterili offensive sul Carso; il secondo caratterizzato da una maggiore attenzione per la vita quotidiana dei soldati, e da una marcata parsimonia nel metterne a rischio le vite. Un cambio di marcia dal quale nascerebbe un nuovo rapporto di fiducia tra soldati, ufficiali e comandanti, tra fronte e fronte interno, con la resistenza sul Piave, i ragazzi del '99, e Vittorio Veneto come esito naturale. Una rappresentazione estremamente semplicistica dell'ultimo anno di guerra, costruita in gran parte sul giudizio totalmente negativo riservato alla precedente gestione. Intendiamoci, Cadorna e il suo stato maggiore autocratico meritano gran parte delle critiche loro rivolte, soprattutto per quanto riguarda la gestione dei quadri, l'incapacità di innovare una tattica (quella dell'attacco frontale) dispendiosa e inefficace, e il trattamento riservato a soldati, prigionieri e popolazioni della Zona di Guerra. Tuttavia si tende spesso a sottovalutare sia i fattori di continuità tra le due gestioni del Comando Supremo, sia le condizioni oggettive (in buona parte estranee alla volontà di Diaz) che rendono l'ultimo anno di guerra diverso dai precedenti.
LORENZINI J (2014). Disfattisti e traditori. I comandi italiani e il "nemico interno" (novembre 1917-novembre 1918). PERCORSI STORICI, 2, 1-11.
Disfattisti e traditori. I comandi italiani e il "nemico interno" (novembre 1917-novembre 1918)
LORENZINI J
2014
Abstract
C'è un elemento della vulgata riguardante la Grande Guerra italiana che sembra essere duro a morire, e che malgrado i numerosi ridimensionamenti subiti ad opera di parecchi storici, con ogni probabilità tornerà ad affiorare (speriamo non ad imporsi) durante le celebrazioni del centenario che ci aspettano nei prossimi anni. Parliamo della contrapposizione tra il periodo di comando di Luigi Cadorna e quello del successore Armando Diaz: il primo regno del terrore, delle decimazioni e delle sterili offensive sul Carso; il secondo caratterizzato da una maggiore attenzione per la vita quotidiana dei soldati, e da una marcata parsimonia nel metterne a rischio le vite. Un cambio di marcia dal quale nascerebbe un nuovo rapporto di fiducia tra soldati, ufficiali e comandanti, tra fronte e fronte interno, con la resistenza sul Piave, i ragazzi del '99, e Vittorio Veneto come esito naturale. Una rappresentazione estremamente semplicistica dell'ultimo anno di guerra, costruita in gran parte sul giudizio totalmente negativo riservato alla precedente gestione. Intendiamoci, Cadorna e il suo stato maggiore autocratico meritano gran parte delle critiche loro rivolte, soprattutto per quanto riguarda la gestione dei quadri, l'incapacità di innovare una tattica (quella dell'attacco frontale) dispendiosa e inefficace, e il trattamento riservato a soldati, prigionieri e popolazioni della Zona di Guerra. Tuttavia si tende spesso a sottovalutare sia i fattori di continuità tra le due gestioni del Comando Supremo, sia le condizioni oggettive (in buona parte estranee alla volontà di Diaz) che rendono l'ultimo anno di guerra diverso dai precedenti.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.