Il tema relativo all’utilizzo degli oggetti nel gioco, che potrebbe apparire di secondaria importanza, può invece fornire una serie di riflessioni interessanti: esiste infatti uno stretto legame tra sviluppo umano e uso degli oggetti, sia in senso filogenetico sia ontogenetico, dato che il mondo si conforma alla natura umana proprio nel momento in cui assume la struttura di spazio abitabile, cioè quando si caratterizza per le relazioni con persone, luoghi ed oggetti che sono a “portata di mano”, e gli oggetti assumono la veste di stimoli per costruire progetti. La presenza o l’assenza di oggetti ad esempio connota l’attività ludica; le osservazioni hanno messo in luce sia una più alta quantità di azioni motorie, sia una maggiore gamma di azioni diverse (cioè una creatività di movimento più elevata) dove non c’erano a disposizione gli oggetti comunemente usati nel gioco che si svolge all’esterno degli edifici, ad esempio nel cortile, come palle, bici e così via. Si può giungere ad una conclusione: l’oggetto attiva il gioco quando consente di “aprire” alle possibilità, e non viceversa. Per questo meno è “connotato”, povero di simboli già dati, e più consente al bambino di “proiettare” le proprie fantasie. Secondo la Psicomotricità, in particolare per Vayer, esistono alcuni oggetti che sono decisamente più pertinenti di altri: risulta significativa, da questo specifico punto di vista, la definizione che egli usa per indicare la serie di materiali che suggerisce di adottare alle scuole dell’infanzia: “oggetti dell’azione”, avvertendo che è quest’ultima (l’azione) che risulta indispensabile nel percorso di apprendimento del bambino. Gli oggetti stessi sarebbero pertinenti perché in grado di suggerire, insomma, le azioni da svolgere: tavolette, blocchi, cubi, cilindri e sgabelli di legno leggero e di colori diversi, che possono essere sia trasportati sia sostenere i bambini, stimolerebbero lo sviluppo proprio perché in grado, attraverso il movimento, di integrare le conoscenze: ad esempio l’associare gli oggetti con incastri, costruzioni e trasformazioni, favorirebbe le associazioni di idee; e anche la socializzazione risulterebbe stimolata dalla condivisione fattiva delle esperienze. Consentendo la costruzione di un setting strutturato, in definitiva, gli oggetti stessi risultano strutturanti. Vivere, in definitiva, significa risolvere dei problemi, attività che spesso è centrata attorno agli oggetti sia che si tratti di strumenti, sia di elementi su cui si finalizza l’azione; ma se uno stesso oggetto assume su di sé entrambe le caratteristiche, dal punto di vista educativo risulta, appunto, più pertinente di quelli che non presentano contemporaneamente tali facoltà. Infine, vengono analizzati i materiali psicomotori nel metodo di Aucouturier, anch’essi utilizzati al fine di consentire al bambino il gioco; ciò significa stimolare a vivere il piacere di agire, il piacere del proprio corpo in movimento, un’attività che risulta in grado di proiettare la sua interiorità nelle relazioni che egli stabilisce con l’esterno, ovvero con gli altri, lo spazio e il tempo, e, per ultimo ma non meno importante, il mondo degli oggetti.

Gli oggetti nel gioco di movimento

BORTOLOTTI, ALESSANDRO;VICINELLI, ALESSANDRA
2008

Abstract

Il tema relativo all’utilizzo degli oggetti nel gioco, che potrebbe apparire di secondaria importanza, può invece fornire una serie di riflessioni interessanti: esiste infatti uno stretto legame tra sviluppo umano e uso degli oggetti, sia in senso filogenetico sia ontogenetico, dato che il mondo si conforma alla natura umana proprio nel momento in cui assume la struttura di spazio abitabile, cioè quando si caratterizza per le relazioni con persone, luoghi ed oggetti che sono a “portata di mano”, e gli oggetti assumono la veste di stimoli per costruire progetti. La presenza o l’assenza di oggetti ad esempio connota l’attività ludica; le osservazioni hanno messo in luce sia una più alta quantità di azioni motorie, sia una maggiore gamma di azioni diverse (cioè una creatività di movimento più elevata) dove non c’erano a disposizione gli oggetti comunemente usati nel gioco che si svolge all’esterno degli edifici, ad esempio nel cortile, come palle, bici e così via. Si può giungere ad una conclusione: l’oggetto attiva il gioco quando consente di “aprire” alle possibilità, e non viceversa. Per questo meno è “connotato”, povero di simboli già dati, e più consente al bambino di “proiettare” le proprie fantasie. Secondo la Psicomotricità, in particolare per Vayer, esistono alcuni oggetti che sono decisamente più pertinenti di altri: risulta significativa, da questo specifico punto di vista, la definizione che egli usa per indicare la serie di materiali che suggerisce di adottare alle scuole dell’infanzia: “oggetti dell’azione”, avvertendo che è quest’ultima (l’azione) che risulta indispensabile nel percorso di apprendimento del bambino. Gli oggetti stessi sarebbero pertinenti perché in grado di suggerire, insomma, le azioni da svolgere: tavolette, blocchi, cubi, cilindri e sgabelli di legno leggero e di colori diversi, che possono essere sia trasportati sia sostenere i bambini, stimolerebbero lo sviluppo proprio perché in grado, attraverso il movimento, di integrare le conoscenze: ad esempio l’associare gli oggetti con incastri, costruzioni e trasformazioni, favorirebbe le associazioni di idee; e anche la socializzazione risulterebbe stimolata dalla condivisione fattiva delle esperienze. Consentendo la costruzione di un setting strutturato, in definitiva, gli oggetti stessi risultano strutturanti. Vivere, in definitiva, significa risolvere dei problemi, attività che spesso è centrata attorno agli oggetti sia che si tratti di strumenti, sia di elementi su cui si finalizza l’azione; ma se uno stesso oggetto assume su di sé entrambe le caratteristiche, dal punto di vista educativo risulta, appunto, più pertinente di quelli che non presentano contemporaneamente tali facoltà. Infine, vengono analizzati i materiali psicomotori nel metodo di Aucouturier, anch’essi utilizzati al fine di consentire al bambino il gioco; ciò significa stimolare a vivere il piacere di agire, il piacere del proprio corpo in movimento, un’attività che risulta in grado di proiettare la sua interiorità nelle relazioni che egli stabilisce con l’esterno, ovvero con gli altri, lo spazio e il tempo, e, per ultimo ma non meno importante, il mondo degli oggetti.
2008
Bortolotti A.; Vicinelli A.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/74626
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