Quando si parla di traduzione, si dà generalmente per scontato che il campo di applicazione di tale concetto sia esclusivamente verbale. Tale percezione dell’estensione semantica del termine “traduzione” ci porta a pensare che traduttrici e traduttori debbano occuparsi di trasporre il livello verbale della comunicazione, di intrecciare parole, ignorando le altre modalità espressive dei testi su cui lavorano. Questa convenzione vale non solo a livello teorico e concettuale, ma anche nella pratica professionale. Se parliamo di testi scritti, ad esempio, le questioni legate alla gestione della veste grafica degli elementi verbali tradotti (dal tipo e dalla dimensione dei caratteri alla posizione di grafici e illustrazioni, o, nei fumetti, dal lettering all’inserimento delle onomatopee nel disegno) sono appannaggio di professionisti con cui il traduttore/trice non viene solitamente chiamato/a ad interagire, quali grafici, impaginatori, disegnatori e responsabili del lettering. A maggior ragione, il/la traduttore/trice non viene coinvolto/a nella gestione di immagini e altri elementi visivi sprovvisti di una dimensione verbale, che pure formano parte integrante del testo semiotico tradotto. Nella gestione dei processi traduttivi, quindi, la componente verbale di un testo è vista come perlopiù avulsa da tutte le altre modalità espressive portatrici di significato, e nella pratica professionale viene effettivamente separata da esse. Ciò, va detto, non accade solo a causa della disposizione mentale di clienti e traduttori/trici, ma anche per esigenze produttive riconducibili alla specializzazione delle figure professionali coinvolte e alla necessità di lavorare in parallelo su più livelli, allo scopo di accelerare i lavori. La conseguenza di tale procedura è che, anche quando la componente verbale del testo contiene riferimenti ad elementi non verbali, al/la traduttore/trice può magari essere chiesto di tenere conto di questi ultimi in quanto elementi con-testuali, ma non di interagire con essi in quanto elementi testuali . Non è mia intenzione, in questa sede, mettere in dubbio la validità del metodo tradizionale di scomposizione della pratica traduttiva in ambiti di competenza, né sottolineare le differenze terminologiche tra “traduzione” (intesa come attività che si esaurisce nella sfera verbale), “adattamento” (il quale suggerisce una trasposizione non solo linguistica, ma anche culturale), “localizzazione” (che, tra gli altri suoi usi, si riferisce all’adattamento di campagne pubblicitarie alla cultura, alla lingua e ai mezzi di comunicazione di un dato mercato), o addirittura “trans-creazione” (termine operativo del settore della traduzione pubblicitaria, che ne sottolinea l’aspetto creativo). Mi limiterò a presentare alcuni esempi autentici di campagne pubblicitarie i quali, spero, dimostreranno che un approccio diverso a quella che chiamerò semplicemente (ma onnicomprensivamente) la “traduzione” di testi pubblicitari a stampa non è solo una possibilità teorica, ma è già stato messo in pratica.

I. Torresi (2008). Tradurre per immagini: esempi di traduzione intersemiotica nella pubblicità a stampa. MACERATA : Edizioni Università di Macerata (EUM).

Tradurre per immagini: esempi di traduzione intersemiotica nella pubblicità a stampa

TORRESI, IRA
2008

Abstract

Quando si parla di traduzione, si dà generalmente per scontato che il campo di applicazione di tale concetto sia esclusivamente verbale. Tale percezione dell’estensione semantica del termine “traduzione” ci porta a pensare che traduttrici e traduttori debbano occuparsi di trasporre il livello verbale della comunicazione, di intrecciare parole, ignorando le altre modalità espressive dei testi su cui lavorano. Questa convenzione vale non solo a livello teorico e concettuale, ma anche nella pratica professionale. Se parliamo di testi scritti, ad esempio, le questioni legate alla gestione della veste grafica degli elementi verbali tradotti (dal tipo e dalla dimensione dei caratteri alla posizione di grafici e illustrazioni, o, nei fumetti, dal lettering all’inserimento delle onomatopee nel disegno) sono appannaggio di professionisti con cui il traduttore/trice non viene solitamente chiamato/a ad interagire, quali grafici, impaginatori, disegnatori e responsabili del lettering. A maggior ragione, il/la traduttore/trice non viene coinvolto/a nella gestione di immagini e altri elementi visivi sprovvisti di una dimensione verbale, che pure formano parte integrante del testo semiotico tradotto. Nella gestione dei processi traduttivi, quindi, la componente verbale di un testo è vista come perlopiù avulsa da tutte le altre modalità espressive portatrici di significato, e nella pratica professionale viene effettivamente separata da esse. Ciò, va detto, non accade solo a causa della disposizione mentale di clienti e traduttori/trici, ma anche per esigenze produttive riconducibili alla specializzazione delle figure professionali coinvolte e alla necessità di lavorare in parallelo su più livelli, allo scopo di accelerare i lavori. La conseguenza di tale procedura è che, anche quando la componente verbale del testo contiene riferimenti ad elementi non verbali, al/la traduttore/trice può magari essere chiesto di tenere conto di questi ultimi in quanto elementi con-testuali, ma non di interagire con essi in quanto elementi testuali . Non è mia intenzione, in questa sede, mettere in dubbio la validità del metodo tradizionale di scomposizione della pratica traduttiva in ambiti di competenza, né sottolineare le differenze terminologiche tra “traduzione” (intesa come attività che si esaurisce nella sfera verbale), “adattamento” (il quale suggerisce una trasposizione non solo linguistica, ma anche culturale), “localizzazione” (che, tra gli altri suoi usi, si riferisce all’adattamento di campagne pubblicitarie alla cultura, alla lingua e ai mezzi di comunicazione di un dato mercato), o addirittura “trans-creazione” (termine operativo del settore della traduzione pubblicitaria, che ne sottolinea l’aspetto creativo). Mi limiterò a presentare alcuni esempi autentici di campagne pubblicitarie i quali, spero, dimostreranno che un approccio diverso a quella che chiamerò semplicemente (ma onnicomprensivamente) la “traduzione” di testi pubblicitari a stampa non è solo una possibilità teorica, ma è già stato messo in pratica.
2008
Pubblicità e modernità. Percorsi interdisciplinari nel modo pubblicitario
177
190
I. Torresi (2008). Tradurre per immagini: esempi di traduzione intersemiotica nella pubblicità a stampa. MACERATA : Edizioni Università di Macerata (EUM).
I. Torresi
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/66264
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