La letteratura scientifica sugli affissi valutativi (diminutivi, accrescitivi, peggiorativi, ecc.) è ormai quasi sterminata. I valutativi sono stati analizzati praticamente secondo tutte le possibili prospettive di indagine: vi sono descrizioni sui valutativi in singole lingue o gruppi linguistici. In chiave interlinguistica i valutativi sono stati studiati nelle loro interazioni con altri componenti della lingua, in chiave diacronica, in chiave tipologica, in chiave tipologico-areale, ecc. Tutti questi studi, salvo pochissime e sporadiche eccezioni, sono però incentrati sulla sola categoria del nome. Le altre categorie sintattiche hanno invece, rispetto alla valutazione, un comportamento interlinguisticamente meno omogeneo. Lo scopo di questo contributo è sostanzialmente quello di far luce sulle possibili ragioni della scarsa predisposizione dell’italiano alla formazione di verbi deverbali con valore valutativo, problema mai affrontato prima nella letteratura scientifica. I suffissi valutativi verbali (es. -icchiare, -acchiare, -ecchiare, -erellare, -olare, -ettare, ecc.) sono una strategia linguistica che pare potersi esplicare principalmente in produzioni linguistiche orientate verso il polo non formale dell’asse diafasico e verso il polo dell’oralità dell’asse diamesico. Una ricognizione approfondita dei dati rivela come l’applicazione dei suffissi in questione sia regolata da una rete piuttosto intricata di restrizioni che ruotano attorno alla categoria dell’azione e che circoscrivono sensibilmente il loro dominio di applicazione: in sostanza, i suffissi valutativi verbali sembrano potersi unire produttivamente solo a verbi durativi, dinamici non puntuali e atelici: Verbi durativi: dormire > (s)dormicchiare Verbi puntuali: esplodere > *esplodicchiare Verbi dinamici (non puntuali): correre > corricchiare Verbi stativi: credere > *credicchiare Verbi atelici: cantare > canticchiare (* indica inaccettabilità) Essi, poi, mostrano punti di contatto non trascurabili con un’altra importante categoria verbale, quella dell’aspetto che, di fatto, ostacola sensibilmente, o addirittura, blocca, l’occorrenza di un numero non irrilevante di forme verbali derivate, pur teoricamente possibili. Nel dettaglio, all'interno del paradigma dei verbi valutativi, le forme che esibiscono un valore prossimo all'aspetto perfettivo (come il passato remoto, il passato prossimo, ecc.) sono raramente impiegate dai parlanti. Al contrario, le forme accostabili all'aspetto imperfettivo (l'imperfetto, la forma progressiva del presente e del passato, ecc.) esibiscono un indice di frequenza piuttosto elevato. In sostanza, la supposta improduttività dei suffissi valutativi verbali è motivata, in italiano, dalle restrizioni sulla loro formazione e sulla loro diffusione, restrizioni che non hanno eguali nel campo della morfologia valutativa nominale. In questo senso, lo 'svantaggio' patito dai valutativi verbale è quello di esprimere significati (es. abitualità, iteratività ecc.) che di norma vengono associati a due categorie cruciali del sistema verbale: l'azione e l'aspetto. Quindi essi vengono relegati ai margini del sistema a causa della nota tendenza delle lingue a evitare ridondanze, cioè a evitare che strategie rivali convergano sull'espressione della medesima funzione semantica.

Grandi N. (2007). I verbi valutativi in italiano tra azione e aspetto. STUDI DI GRAMMATICA ITALIANA, XXIV (2005), 153-188.

I verbi valutativi in italiano tra azione e aspetto

GRANDI, NICOLA
2007

Abstract

La letteratura scientifica sugli affissi valutativi (diminutivi, accrescitivi, peggiorativi, ecc.) è ormai quasi sterminata. I valutativi sono stati analizzati praticamente secondo tutte le possibili prospettive di indagine: vi sono descrizioni sui valutativi in singole lingue o gruppi linguistici. In chiave interlinguistica i valutativi sono stati studiati nelle loro interazioni con altri componenti della lingua, in chiave diacronica, in chiave tipologica, in chiave tipologico-areale, ecc. Tutti questi studi, salvo pochissime e sporadiche eccezioni, sono però incentrati sulla sola categoria del nome. Le altre categorie sintattiche hanno invece, rispetto alla valutazione, un comportamento interlinguisticamente meno omogeneo. Lo scopo di questo contributo è sostanzialmente quello di far luce sulle possibili ragioni della scarsa predisposizione dell’italiano alla formazione di verbi deverbali con valore valutativo, problema mai affrontato prima nella letteratura scientifica. I suffissi valutativi verbali (es. -icchiare, -acchiare, -ecchiare, -erellare, -olare, -ettare, ecc.) sono una strategia linguistica che pare potersi esplicare principalmente in produzioni linguistiche orientate verso il polo non formale dell’asse diafasico e verso il polo dell’oralità dell’asse diamesico. Una ricognizione approfondita dei dati rivela come l’applicazione dei suffissi in questione sia regolata da una rete piuttosto intricata di restrizioni che ruotano attorno alla categoria dell’azione e che circoscrivono sensibilmente il loro dominio di applicazione: in sostanza, i suffissi valutativi verbali sembrano potersi unire produttivamente solo a verbi durativi, dinamici non puntuali e atelici: Verbi durativi: dormire > (s)dormicchiare Verbi puntuali: esplodere > *esplodicchiare Verbi dinamici (non puntuali): correre > corricchiare Verbi stativi: credere > *credicchiare Verbi atelici: cantare > canticchiare (* indica inaccettabilità) Essi, poi, mostrano punti di contatto non trascurabili con un’altra importante categoria verbale, quella dell’aspetto che, di fatto, ostacola sensibilmente, o addirittura, blocca, l’occorrenza di un numero non irrilevante di forme verbali derivate, pur teoricamente possibili. Nel dettaglio, all'interno del paradigma dei verbi valutativi, le forme che esibiscono un valore prossimo all'aspetto perfettivo (come il passato remoto, il passato prossimo, ecc.) sono raramente impiegate dai parlanti. Al contrario, le forme accostabili all'aspetto imperfettivo (l'imperfetto, la forma progressiva del presente e del passato, ecc.) esibiscono un indice di frequenza piuttosto elevato. In sostanza, la supposta improduttività dei suffissi valutativi verbali è motivata, in italiano, dalle restrizioni sulla loro formazione e sulla loro diffusione, restrizioni che non hanno eguali nel campo della morfologia valutativa nominale. In questo senso, lo 'svantaggio' patito dai valutativi verbale è quello di esprimere significati (es. abitualità, iteratività ecc.) che di norma vengono associati a due categorie cruciali del sistema verbale: l'azione e l'aspetto. Quindi essi vengono relegati ai margini del sistema a causa della nota tendenza delle lingue a evitare ridondanze, cioè a evitare che strategie rivali convergano sull'espressione della medesima funzione semantica.
2007
Grandi N. (2007). I verbi valutativi in italiano tra azione e aspetto. STUDI DI GRAMMATICA ITALIANA, XXIV (2005), 153-188.
Grandi N.
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