Quello che vi propongo qui è un decalogo per l’autodifesa dalle retoriche dominanti sulla centralità della società civile. In queste retoriche la società civile viene intesa come un corpo sociale virtuoso in sé, omogeneo, impolitico (o pre-politico) e, anzi, virtuoso proprio in quanto separato dall'agire politico e animato dalla condivisione di valori di fondo. A me pare che la relazione tra educazione e democrazia, su cui si concentra questo numero della rivista, deve costituire il terreno per un generale lavoro di ecologia del pensiero che metta a tema (anche) i vocabolari attraverso i quali definiamo e diamo corpo al “sociale”. Il mio, dunque, non è niente di più che un invito, sbrigativamente argomentato, ad evitare alcune trappole del pensiero che la doxa sulla società civile trascina con sé. Walter Privitera, assai più competente di me su queste tematiche, tra altri commenti assai preziosi a queste mie considerazioni, mi ha fatto notare che “noi in Italia quando parliamo di società civile facciamo un indebito frullato di due tradizioni: quella tedesca hegelo-marxista della bürgerliche Gesellschaft e quella anglosassone fergusoniana della civil society”. Questa confusione linguistico-concettuale si è incarnata in una forma del discorso pubblico che ha avuto gioco facile a contribuire ad un più generale e profondo processo di de-politicizzazione delle questioni sociali, ridefinite cosi attraverso un registro privatistico (laddove si evocano le comunità, le piccole patrie, le radici identitarie) o tecnicistico (e allora devono intervenire gli esperti, ogni altra conoscenza ed esperienza essendo irrilevante).

Per una civile società

BORGHI, VANDO
2014

Abstract

Quello che vi propongo qui è un decalogo per l’autodifesa dalle retoriche dominanti sulla centralità della società civile. In queste retoriche la società civile viene intesa come un corpo sociale virtuoso in sé, omogeneo, impolitico (o pre-politico) e, anzi, virtuoso proprio in quanto separato dall'agire politico e animato dalla condivisione di valori di fondo. A me pare che la relazione tra educazione e democrazia, su cui si concentra questo numero della rivista, deve costituire il terreno per un generale lavoro di ecologia del pensiero che metta a tema (anche) i vocabolari attraverso i quali definiamo e diamo corpo al “sociale”. Il mio, dunque, non è niente di più che un invito, sbrigativamente argomentato, ad evitare alcune trappole del pensiero che la doxa sulla società civile trascina con sé. Walter Privitera, assai più competente di me su queste tematiche, tra altri commenti assai preziosi a queste mie considerazioni, mi ha fatto notare che “noi in Italia quando parliamo di società civile facciamo un indebito frullato di due tradizioni: quella tedesca hegelo-marxista della bürgerliche Gesellschaft e quella anglosassone fergusoniana della civil society”. Questa confusione linguistico-concettuale si è incarnata in una forma del discorso pubblico che ha avuto gioco facile a contribuire ad un più generale e profondo processo di de-politicizzazione delle questioni sociali, ridefinite cosi attraverso un registro privatistico (laddove si evocano le comunità, le piccole patrie, le radici identitarie) o tecnicistico (e allora devono intervenire gli esperti, ogni altra conoscenza ed esperienza essendo irrilevante).
2014
Vando Borghi
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