Abstract. Il presente lavoro parte dall’analisi di una recente sentenza relativa al reato di pornografia minorile per affrontare il problema dell’inadeguatezza del nostro art. 600ter c.p. nel fornire tutela verso forme di abuso pedopornografico (e pornografico) che, come il “sexting” e la diffusione non autorizzata di materiale sessualmente esplicito (fenomeni oggi molto diffusi e sociologicamente inquadrabili all’interno di una specifica cultura di massa) rientrano in schemi comportamentali diversi rispetto a quelli che hanno inizialmente ispirato la costruzione della norma in questione. Tale sentenza, che assolve l’imputato in relazione al reato di produzione di materiale pedopornografico “perché il fatto non sussiste”, mentre condanna al minimo della pena per il reato di divulgazione di tale materiale, offre l’occasione per una riflessione in merito agli ambiti residui (pur dopo la l. 172/2012) di incertezza definitoria in relazione alla condotta di cui all’art. 600ter c.p., e alla proporzionalità retributiva tra le sue parti, nonché in merito al vacuum normativo tuttora non colmato relativo alla punizione di condotte di diffusione non autorizzata di materiale sessualmente esplicito direttamente finalizzate alla distruzione dell’immagine sociale della vittima. In particolare, si sosterrà che nel sexting viene capovolto, rispetto a quanto accade per la forma classica di abuso pedopornografico, il rapporto “reato principale-reato secondario” che mette in relazione tra loro la produzione e la divulgazione di tale materiale, sia sotto il profilo della maggiore-minore gravità, e quindi retributivo, sia sotto quello della strumentalità dell’uno alla realizzazione dell’altro.

Sulla struttura speculare e opposta di due modelli di abuso pedopornografico

VERZA, ANNALISA
2015

Abstract

Abstract. Il presente lavoro parte dall’analisi di una recente sentenza relativa al reato di pornografia minorile per affrontare il problema dell’inadeguatezza del nostro art. 600ter c.p. nel fornire tutela verso forme di abuso pedopornografico (e pornografico) che, come il “sexting” e la diffusione non autorizzata di materiale sessualmente esplicito (fenomeni oggi molto diffusi e sociologicamente inquadrabili all’interno di una specifica cultura di massa) rientrano in schemi comportamentali diversi rispetto a quelli che hanno inizialmente ispirato la costruzione della norma in questione. Tale sentenza, che assolve l’imputato in relazione al reato di produzione di materiale pedopornografico “perché il fatto non sussiste”, mentre condanna al minimo della pena per il reato di divulgazione di tale materiale, offre l’occasione per una riflessione in merito agli ambiti residui (pur dopo la l. 172/2012) di incertezza definitoria in relazione alla condotta di cui all’art. 600ter c.p., e alla proporzionalità retributiva tra le sue parti, nonché in merito al vacuum normativo tuttora non colmato relativo alla punizione di condotte di diffusione non autorizzata di materiale sessualmente esplicito direttamente finalizzate alla distruzione dell’immagine sociale della vittima. In particolare, si sosterrà che nel sexting viene capovolto, rispetto a quanto accade per la forma classica di abuso pedopornografico, il rapporto “reato principale-reato secondario” che mette in relazione tra loro la produzione e la divulgazione di tale materiale, sia sotto il profilo della maggiore-minore gravità, e quindi retributivo, sia sotto quello della strumentalità dell’uno alla realizzazione dell’altro.
2015
Annalisa Verza
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