Per poter condurre un’analisi quantitativa del rischio aflatossine nella popolazione italiana è necessario raccogliere dati sulla frequenza di distribuzione dei livelli di contaminazione in campioni di latte che siano rappresentativi prodotto in commercio, evitando di trattare insieme i dati derivanti da programmi di monitoraggio e quelli della sorveglianza realizzati in situazioni di allerta ed emergenza. Inoltre, per fornire una stima relativa al rischio di intossicazione ‘cronica’ è importante avere dati relativi ad un arco di tempo tale da poter definire un valore medio di esposizione nell’arco della vita. E’ anche importante definire la distribuzione di concentrazione che si ha nelle diverse realtà produttive, in quanto la qualità della materia prima lavorata, i volumi trattati e le condizioni di processo possono determinare una differente concentrazione finale nel prodotto. Abbiamo utilizzato i dati di un’ampia indagine condotta dall’industria nel periodo 2001 – 2004, per stimare il livello di esposizione nella popolazione italiana ed il maggior rischio stimato in conseguenza dell’emergenza verificatasi nell’autunno 2003. Il modello stocastico calcola l’esposizione considerando la correlazione tra età, quantità di latte consumata e peso corporeo. La prevalenza relativa degli individui nelle diverse classi della popolazione è stata ponderata con un metodo stocastico sulla base dei dati di un censimento della popolazione italiana realizzato dell’ISTAT nel 2001. L’assunzione di aflatossina con il latte è stata simulata utilizzando l’equazione Yi = Σ(Xv,i,t * Cv,i,t) dove Xv,i,t è la quantità di latte (grammi) di origine v, consumata dal soggetto i il giorno t (t= 1,…T) e Cv,i,t è la concentrazione di aflatossina espressa in ng per grammo di latte. Poiché sulla base delle valutazioni tossicologiche è emerso che gli individui infetti da virus dell’epatite virale di tipo B sono molto più suscettibili all’azione genotossica e cancerogena dell’aflatossina, si è reso necessario definire la prevalenza relativa degli infetti nelle diverse classi di età (fortunatamente la vaccinazione ha ridotto la prevalenza nei bambini ed adolescenti). Questi dato sono stati ricavati da diversi studi recentemente realizzati da studiosi che collaborano con l’osservatorio italiano sulle epatiti infettive. Per la caratterizzazione del rischio sono stati utilizzati i coefficienti di potenza cancerogena dell’aflatossina M1 calcolati dal panel di esperti incaricati dall’organizzazione mondiale della sanità (JECFA). Sulla base dei dati storici relativi al latte alimentare raccolti nel periodo gennaio 2001 – agosto 2003 si stima che il numero medio di casi aggiuntivi di epatocarcinoma era pari a 0,004-0,011 per milione per anno, mentre sulla base dei dati relativi al periodo settembre 2003–dicembre 2004 i valori sono aumentati a 0,007-0,014. Ponendo attenzione agli estremi (≥ 95° percentile) della distribuzione cumulativa di probabilità si può osservare un incremento che va da valori tra 0,011 e 0,026 a valori tra 0,017e 0,031 (casi per milione per anno). Quest’incremento limitato è dovuto al coefficiente di potenza carcinogenetica che è molto basso per gli individui non infetti da virus dell’epatite B ed al piano di sorveglianza attuato durante l’emergenza.

M. Trevisani, A. Serraino, A. Canaver, A. Borsari (2006). Valutazione quantitativa del rischio aflatossine nel latte. ROMA : Istituto Superiore di Sanità.

Valutazione quantitativa del rischio aflatossine nel latte

TREVISANI, MARCELLO;SERRAINO, ANDREA;
2006

Abstract

Per poter condurre un’analisi quantitativa del rischio aflatossine nella popolazione italiana è necessario raccogliere dati sulla frequenza di distribuzione dei livelli di contaminazione in campioni di latte che siano rappresentativi prodotto in commercio, evitando di trattare insieme i dati derivanti da programmi di monitoraggio e quelli della sorveglianza realizzati in situazioni di allerta ed emergenza. Inoltre, per fornire una stima relativa al rischio di intossicazione ‘cronica’ è importante avere dati relativi ad un arco di tempo tale da poter definire un valore medio di esposizione nell’arco della vita. E’ anche importante definire la distribuzione di concentrazione che si ha nelle diverse realtà produttive, in quanto la qualità della materia prima lavorata, i volumi trattati e le condizioni di processo possono determinare una differente concentrazione finale nel prodotto. Abbiamo utilizzato i dati di un’ampia indagine condotta dall’industria nel periodo 2001 – 2004, per stimare il livello di esposizione nella popolazione italiana ed il maggior rischio stimato in conseguenza dell’emergenza verificatasi nell’autunno 2003. Il modello stocastico calcola l’esposizione considerando la correlazione tra età, quantità di latte consumata e peso corporeo. La prevalenza relativa degli individui nelle diverse classi della popolazione è stata ponderata con un metodo stocastico sulla base dei dati di un censimento della popolazione italiana realizzato dell’ISTAT nel 2001. L’assunzione di aflatossina con il latte è stata simulata utilizzando l’equazione Yi = Σ(Xv,i,t * Cv,i,t) dove Xv,i,t è la quantità di latte (grammi) di origine v, consumata dal soggetto i il giorno t (t= 1,…T) e Cv,i,t è la concentrazione di aflatossina espressa in ng per grammo di latte. Poiché sulla base delle valutazioni tossicologiche è emerso che gli individui infetti da virus dell’epatite virale di tipo B sono molto più suscettibili all’azione genotossica e cancerogena dell’aflatossina, si è reso necessario definire la prevalenza relativa degli infetti nelle diverse classi di età (fortunatamente la vaccinazione ha ridotto la prevalenza nei bambini ed adolescenti). Questi dato sono stati ricavati da diversi studi recentemente realizzati da studiosi che collaborano con l’osservatorio italiano sulle epatiti infettive. Per la caratterizzazione del rischio sono stati utilizzati i coefficienti di potenza cancerogena dell’aflatossina M1 calcolati dal panel di esperti incaricati dall’organizzazione mondiale della sanità (JECFA). Sulla base dei dati storici relativi al latte alimentare raccolti nel periodo gennaio 2001 – agosto 2003 si stima che il numero medio di casi aggiuntivi di epatocarcinoma era pari a 0,004-0,011 per milione per anno, mentre sulla base dei dati relativi al periodo settembre 2003–dicembre 2004 i valori sono aumentati a 0,007-0,014. Ponendo attenzione agli estremi (≥ 95° percentile) della distribuzione cumulativa di probabilità si può osservare un incremento che va da valori tra 0,011 e 0,026 a valori tra 0,017e 0,031 (casi per milione per anno). Quest’incremento limitato è dovuto al coefficiente di potenza carcinogenetica che è molto basso per gli individui non infetti da virus dell’epatite B ed al piano di sorveglianza attuato durante l’emergenza.
2006
Le micotossine nella filiera agro-alimentare
9
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M. Trevisani, A. Serraino, A. Canaver, A. Borsari (2006). Valutazione quantitativa del rischio aflatossine nel latte. ROMA : Istituto Superiore di Sanità.
M. Trevisani; A. Serraino; A. Canaver; A. Borsari
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