La crescente difficoltà del settore pubblico, degli ultimi trent’anni, determinata dalla rilevante contrazione delle risorse pubbliche e indotta dal susseguirsi delle crisi finanziarie e dalle emergenze naturali e climatiche, ha reso necessario un importante cambiamento nelle modalità di governo e gestione delle amministrazioni pubbliche soprattutto a livello locale . Rinnovamento, che ha coinvolto seppure con modalità diversificate molti Paesi europei compresa l’Italia, teso a raggiungere una maggiore efficienza nel governo del territorio per sopperire alla carenza di risorse prevalentemente finanziarie, ma non solo, a disposizione degli enti locali. Con finalità primariamente di carattere “economico” alcuni Paesi europei (Danimarca, Gran Bretagna, Belgio e Spagna) hanno avviato riforme per ridurre la numerosità dei piccoli comuni attraverso una fusione , nella convinzione di poter incrementare i livelli di efficienza ed efficacia e di liberare risorse attraverso un processo di razionalizzazione della spesa . Non vi è però ancora in letteratura un giudizio unanime positivo sugli effetti economici delle fusioni dei comuni . Secondo la letteratura sul decentramento fiscale, infatti, un certo livello di frammentazione comunale potrebbe favorire la crescita economica in quanto il governo locale più vicino ai cittadini potrebbe attuare politiche che rispondano meglio alle loro esigenze, fornendo così anche servizi e beni pubblici in modo efficace. La presenza di un elevato numero di Comuni, tuttavia, potrebbe creare problemi in termini di sovrapposizione di funzioni, (dis)economie di scala e frammentazione delle politiche. I risultati di diverse analisi empiriche mostrano che la frammentazione comunale ha un impatto negativo sulla crescita del prodotto interno lordo pro capite, supportando così l'opinione che i costi prevalgono sui benefici. Tuttavia, l'impatto della frammentazione comunale, può essere diverso a seconda della tipologia del territorio considerato e, pertanto, lo stesso livello di frammentazione comunale può avere un diverso impatto economico nelle aree urbane e in quelle rurali (come approfondiremo nel paragrafo 4 di questo Capitolo). Anche l’Italia dal 2009 ha avviato il processo per ridurre la frammentazione comunale, basato sulle stesse esigenze manifestate dagli altri Paesi europei, ma, ancora oggi, il sistema delle autonomie locali risulta connotato da un’estrema polverizzazione. Infatti, oltre il 70% dei Comuni italiani ha una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti (dato Istat) e circa il 23% non raggiunge i mille. Dal 2014 le politiche nazionali e regionali che hanno favorito le fusioni (seppur con una volontarietà dell’adesione per conformità al dettato costituzionale) hanno permesso di ridurre il numero di comuni e si è passati da 8.092 nel 2011 a 7.901 il primo gennaio 2023. Dal 2009 al 2020 sono state approvate 141 fusioni di comuni, 107 nelle Regioni a statuto ordinario e 34 in quelle a statuto speciale . La stragrande maggioranza di esse (115 su 141) è avvenuta nell’Italia settentrionale e solo 4 nell’Italia meridionale. Le fusioni, inoltre, hanno caratterizzato prevalentemente Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti . Dal punto di vista giuridico è ormai diventato storico il dibattito sulla dimensione ottimale dei comuni e affrontato, in tempi più recenti da molte altre discipline (scienza politica, filosofia, economia pubblica), si è spostato sulle motivazioni che hanno indotto i comuni a fondersi. Rimane, però, il nodo irrisolto di un processo che si è rivelato, almeno in Italia, insufficiente a portare i benefici auspicati nell’ottica di un migliore sfruttamento delle economie di scala e di una maggiore efficienza/efficacia nella fornitura di servizi a livello locale (vedi paragrafo 3.2 in questo contributo). Le fusioni sono state implementate con incisività diversa nei Paesi anche a causa di contesti con caratteristiche molto diversificate in termini di dimensioni comunali e di altre specificità territoriali. In alcuni Paesi la situazione prima dell'inizio delle riforme per le fusioni era caratterizzata dalla presenza di piccoli comuni con una media di appena 5.000 abitanti o anche meno. In altri contesti sono state attivate fusioni in presenza di comuni relativamente più grandi. Allo stesso modo, quindi, sono differenziati i risultati delle riforme: in alcuni Paesi, come Messico, Irlanda, Nuova Zelanda e Giappone, la popolazione comunale media supera ormai i 40.000 residenti, mentre in altri, come Francia, Turchia, Svizzera, Austria e Italia, è ancora sotto i 5.000 o anche meno . L'entità del cambiamento rispetto al punto di partenza è stata molto rilevante in alcuni casi, come ad esempio in Grecia e in Danimarca, che hanno notevolmente aumentato la dimensione media della popolazione dei Comuni . La stagione di riforme legata alla promozione delle fusioni si basa, come abbiamo già detto, sulla prospettiva che dimensioni comunali maggiori possano offrire importanti vantaggi, dal punto di vista economico e non solo, come migliorare l'efficacia funzionale, la generazione di rilevanti risparmi sui costi e il rafforzamento democratico. Tuttavia quello delle fusioni di comuni presenta un percorso a ostacoli poiché in alcuni contesti si documenta una forte resistenza verso questo tipo di riforma che ha portato anche a episodi di de-amalgamazione . Le fusioni rappresentano una questione controversa che ha attirato l'attenzione di studiosi di varie discipline i quali hanno indagato gli impatti generati dai processi di aggregazione tra i governi locali. Il recente contributo di Giovanna Galizzi, Silvia Rota e Mariafrancesca Sicilia propone una revisione sistematica degli studi pubblicati nel periodo dal 1990 al 2021 sui diversi impatti delle fusioni dei comuni. Ci limitiamo in questo contributo a presentare gli aspetti trattati in letteratura nell’analizzare l’impatto economico e rimandiamo all’articolo citato per la rassegna completa dei contributi su questo tema.
Brasili, C. (2024). VALUTAZIONE DELL'EFFICIENZA ECONOMICA NEI PROCESSI DI FUSIONE.
VALUTAZIONE DELL'EFFICIENZA ECONOMICA NEI PROCESSI DI FUSIONE
Cristina Brasili
2024
Abstract
La crescente difficoltà del settore pubblico, degli ultimi trent’anni, determinata dalla rilevante contrazione delle risorse pubbliche e indotta dal susseguirsi delle crisi finanziarie e dalle emergenze naturali e climatiche, ha reso necessario un importante cambiamento nelle modalità di governo e gestione delle amministrazioni pubbliche soprattutto a livello locale . Rinnovamento, che ha coinvolto seppure con modalità diversificate molti Paesi europei compresa l’Italia, teso a raggiungere una maggiore efficienza nel governo del territorio per sopperire alla carenza di risorse prevalentemente finanziarie, ma non solo, a disposizione degli enti locali. Con finalità primariamente di carattere “economico” alcuni Paesi europei (Danimarca, Gran Bretagna, Belgio e Spagna) hanno avviato riforme per ridurre la numerosità dei piccoli comuni attraverso una fusione , nella convinzione di poter incrementare i livelli di efficienza ed efficacia e di liberare risorse attraverso un processo di razionalizzazione della spesa . Non vi è però ancora in letteratura un giudizio unanime positivo sugli effetti economici delle fusioni dei comuni . Secondo la letteratura sul decentramento fiscale, infatti, un certo livello di frammentazione comunale potrebbe favorire la crescita economica in quanto il governo locale più vicino ai cittadini potrebbe attuare politiche che rispondano meglio alle loro esigenze, fornendo così anche servizi e beni pubblici in modo efficace. La presenza di un elevato numero di Comuni, tuttavia, potrebbe creare problemi in termini di sovrapposizione di funzioni, (dis)economie di scala e frammentazione delle politiche. I risultati di diverse analisi empiriche mostrano che la frammentazione comunale ha un impatto negativo sulla crescita del prodotto interno lordo pro capite, supportando così l'opinione che i costi prevalgono sui benefici. Tuttavia, l'impatto della frammentazione comunale, può essere diverso a seconda della tipologia del territorio considerato e, pertanto, lo stesso livello di frammentazione comunale può avere un diverso impatto economico nelle aree urbane e in quelle rurali (come approfondiremo nel paragrafo 4 di questo Capitolo). Anche l’Italia dal 2009 ha avviato il processo per ridurre la frammentazione comunale, basato sulle stesse esigenze manifestate dagli altri Paesi europei, ma, ancora oggi, il sistema delle autonomie locali risulta connotato da un’estrema polverizzazione. Infatti, oltre il 70% dei Comuni italiani ha una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti (dato Istat) e circa il 23% non raggiunge i mille. Dal 2014 le politiche nazionali e regionali che hanno favorito le fusioni (seppur con una volontarietà dell’adesione per conformità al dettato costituzionale) hanno permesso di ridurre il numero di comuni e si è passati da 8.092 nel 2011 a 7.901 il primo gennaio 2023. Dal 2009 al 2020 sono state approvate 141 fusioni di comuni, 107 nelle Regioni a statuto ordinario e 34 in quelle a statuto speciale . La stragrande maggioranza di esse (115 su 141) è avvenuta nell’Italia settentrionale e solo 4 nell’Italia meridionale. Le fusioni, inoltre, hanno caratterizzato prevalentemente Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti . Dal punto di vista giuridico è ormai diventato storico il dibattito sulla dimensione ottimale dei comuni e affrontato, in tempi più recenti da molte altre discipline (scienza politica, filosofia, economia pubblica), si è spostato sulle motivazioni che hanno indotto i comuni a fondersi. Rimane, però, il nodo irrisolto di un processo che si è rivelato, almeno in Italia, insufficiente a portare i benefici auspicati nell’ottica di un migliore sfruttamento delle economie di scala e di una maggiore efficienza/efficacia nella fornitura di servizi a livello locale (vedi paragrafo 3.2 in questo contributo). Le fusioni sono state implementate con incisività diversa nei Paesi anche a causa di contesti con caratteristiche molto diversificate in termini di dimensioni comunali e di altre specificità territoriali. In alcuni Paesi la situazione prima dell'inizio delle riforme per le fusioni era caratterizzata dalla presenza di piccoli comuni con una media di appena 5.000 abitanti o anche meno. In altri contesti sono state attivate fusioni in presenza di comuni relativamente più grandi. Allo stesso modo, quindi, sono differenziati i risultati delle riforme: in alcuni Paesi, come Messico, Irlanda, Nuova Zelanda e Giappone, la popolazione comunale media supera ormai i 40.000 residenti, mentre in altri, come Francia, Turchia, Svizzera, Austria e Italia, è ancora sotto i 5.000 o anche meno . L'entità del cambiamento rispetto al punto di partenza è stata molto rilevante in alcuni casi, come ad esempio in Grecia e in Danimarca, che hanno notevolmente aumentato la dimensione media della popolazione dei Comuni . La stagione di riforme legata alla promozione delle fusioni si basa, come abbiamo già detto, sulla prospettiva che dimensioni comunali maggiori possano offrire importanti vantaggi, dal punto di vista economico e non solo, come migliorare l'efficacia funzionale, la generazione di rilevanti risparmi sui costi e il rafforzamento democratico. Tuttavia quello delle fusioni di comuni presenta un percorso a ostacoli poiché in alcuni contesti si documenta una forte resistenza verso questo tipo di riforma che ha portato anche a episodi di de-amalgamazione . Le fusioni rappresentano una questione controversa che ha attirato l'attenzione di studiosi di varie discipline i quali hanno indagato gli impatti generati dai processi di aggregazione tra i governi locali. Il recente contributo di Giovanna Galizzi, Silvia Rota e Mariafrancesca Sicilia propone una revisione sistematica degli studi pubblicati nel periodo dal 1990 al 2021 sui diversi impatti delle fusioni dei comuni. Ci limitiamo in questo contributo a presentare gli aspetti trattati in letteratura nell’analizzare l’impatto economico e rimandiamo all’articolo citato per la rassegna completa dei contributi su questo tema.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.