The growing literature on food history reveals that, in addition to economic aspects related to provision, it is equally important to consider the sociocultural dimensions of how food was perceived, displayed, consumed, shared within society, and distributed to the needy. However, this topic rarely appears within the realm of architectural history, except in cases such as the Ottoman context, where a distinct type of public soup kitchen developed over the centuries. Known as ‘imāret-āne (or simply ‘imāret), these kitchens exemplify the extraordinary attention Ottoman benefactors dedicated to food distribution, serving as a method of both poor relief and self-affirmation.
Alla soglia di una crisi alimentare che minaccia il pianeta, lo studio delle misure prese contro la fame nel corso dei secoli assume maggiore importanza. Oltre alle questioni economiche e politiche legate all’approvvigionamento del cibo, risulta altrettanto interessante la dimensione culturale e architettonica della sua distribuzione ai ceti più bisognosi della società. Nel panorama globale il contesto ottomano spicca per la straordinaria attenzione dei regnanti e delle loro famiglie alla dotazione delle grandi città (della capitale Costantinopoli in particolare) di edifici e complessi adibiti a tale scopo. Chiamati ‘imāret-ḫāne, queste strutture mettevano insieme spazi dedicati alla preparazione del cibo, come la cucina (maṭbaḫ), il forno (fürun), e il pastificio (ḫamūr-ḫāne) a quelli dedicati all’immagazzinamento degli ingredienti (la cantina, anbār) e al consumo dei pasti offerti, ovvero i refettori (me’kel). Negli esempi più evoluti, questi spazi venivano organizzati attorno a un cortile come un unico corpo di fabbrica o un insieme di edifici autonomi, con particolare attenzione agli accessi. Il secolo XVIII ha testimoniato una serie di sviluppi significativi nella configurazione architettonica e urbana degli ‘imāret-ḫāne così come il ruolo da essi assunto all’interno di complessi maggiori e nel tessuto cittadino in cui erano collocati. Innanzitutto, va segnalato il crescente interesse per accoppiarli alle strutture destinate a funzioni educative (come le madrasa) anziché a quelle commerciali (fondaci, mercati, ecc). Inoltre, si osserva un’evidente ricerca formale tramite elaborati cortili, portali e iscrizioni che donano un carattere monumentale e rappresentativo all’insieme. Infatti, uno dei primi segnali concreti del nuovo gusto occidentalizzante che si cristallizzò durante il regno di Mahmud I si può cogliere nel portale che dà accesso all’‘imāret-ḫāne aggiunto dal sultano al complesso di Santa Sofia nel 1742. A partire da questo esempio, un tema ricorrente che caratterizza il cosiddetto barocco ottomano fu quello dell’arco di trionfo, già ampiamente in uso nell’architettura occidentale da diversi secoli. La sua comparsa nel contesto ottomano è stata a lungo trascurata dalla storiografia, recentemente affrontata nella tesi dottorale di chi scrive. Con questo studio si cercherà dunque di fare un passo ulteriore e di gettare luce sul perché la ripresa ottomana dello schema compositivo dell’arco trionfale accadde per la prima volta nell’architettura assistenziale come le cucine pubbliche. Verrà perciò indagata l’immagine pubblica che Mahmud I cercò di crearsi, come un imperatore trionfante non soltanto sul piano politico e militare bensì anche contro il pauperismo della società, paradossalmente in un periodo in cui le possibilità economiche dell’impero si limitavano gradualmente. Da questo punto di vista, le reazioni delle classi dirigenti ottomane sembrano condividere molti punti comuni con quelle dell’Europa occidentale coeva, basti pensare agli alberghi dei poveri costruiti in vari stati italiani. Il presente contributo si propone dunque di studiare le sei cucine pubbliche della capitale ottomana del secolo XVIII, con l’obiettivo di collocarle sia all’interno delle dinamiche architettoniche e urbane proprie dell’impero, sia nel più ampio panorama europeo del periodo. Con questa nuova prospettiva, ci si accorge di quanto esse costituiscano una risposta del tutto ottomana al pressante problema dell’indigenza nel Settecento. Nonostante il fatto che l’architettura assistenziale del periodo condivida analoghe ambizioni di visibilità urbana e monumentalità, una differenza fondamentale tra i due contesti risiede nelle scelte tipologiche e istituzionali: mentre in Occidente la distribuzione del cibo veniva sempre affidata ai conventi, in quello ottomano tale funzione assunse un carattere fortemente statale, riaffermando il potere e la filantropia della classe dirigente.
Metin, A. (2024). Against the Hunger, Affirming the Power. An Attempt of Contextualisation of the 18th-Century Ottoman Soup Kitchens. VESPER, 11, 204-205.
Against the Hunger, Affirming the Power. An Attempt of Contextualisation of the 18th-Century Ottoman Soup Kitchens
Alper Metin
Primo
2024
Abstract
The growing literature on food history reveals that, in addition to economic aspects related to provision, it is equally important to consider the sociocultural dimensions of how food was perceived, displayed, consumed, shared within society, and distributed to the needy. However, this topic rarely appears within the realm of architectural history, except in cases such as the Ottoman context, where a distinct type of public soup kitchen developed over the centuries. Known as ‘imāret-āne (or simply ‘imāret), these kitchens exemplify the extraordinary attention Ottoman benefactors dedicated to food distribution, serving as a method of both poor relief and self-affirmation.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.