Poche cose, nel nostro paese, sono tanto bipartisan quanto la connotazione negativa che, pressoché inevitabilmente, si è soliti attribuire ai termini “lobby” e “lobbying”. Tra i cittadini italiani, infatti, è opinione comune che le lobby vadano necessariamente assimilate ad un qualche tipo di potere occulto in grado di ostruire, manipolare e distorcere il processo decisionale democratico (M. Mazzoni, Le relazioni pubbliche e il lobbying in Italia, Roma, Laterza). È inoltre altrettanto diffusa l’idea che l’attività di lobbying si sostanzi nel tentativo – il più delle volte condotto da grandi imprese multinazionali – di far prevalere un qualche interesse particolare a discapito di quello collettivo. È, infine, piuttosto evidente l’uso strumentale (e fortemente dispregiativo) che si fa del termine nella quotidiana lotta politica: il parlamentare che “incontra i lobbisti” fa qualcosa di moralmente discutibile, tanto da essere costretto a farlo in segreto (così alimentando una sorta di circolo vizioso) e, se “scoperto”, doversene giustificare; il governo che “favorisce le lobby” è allo stesso modo meritevole di biasimo, se non di aperta riprovazione; l’Europa “delle lobby” viene frequentemente messa in contrapposizione a quella “dei cittadini”, e così via. Contravvenire a questa sorta di regola aurea è politicamente assai pericoloso: potrebbe ad esempio testimoniarlo il vice presidente della Camera dei Deputati, l’onorevole Luigi Di Maio, negli scorsi mesi attaccato duramente per un post su Facebook in cui equiparava la “lobby degli inceneritori” alla “lobby dei malati di cancro”.
Pritoni, A. (2016). Lobbying e qualità della democrazia in Italia: una nuova agenda di ricerca. PARADOXA, 10(4), 107-116.
Lobbying e qualità della democrazia in Italia: una nuova agenda di ricerca
Pritoni, Andrea
2016
Abstract
Poche cose, nel nostro paese, sono tanto bipartisan quanto la connotazione negativa che, pressoché inevitabilmente, si è soliti attribuire ai termini “lobby” e “lobbying”. Tra i cittadini italiani, infatti, è opinione comune che le lobby vadano necessariamente assimilate ad un qualche tipo di potere occulto in grado di ostruire, manipolare e distorcere il processo decisionale democratico (M. Mazzoni, Le relazioni pubbliche e il lobbying in Italia, Roma, Laterza). È inoltre altrettanto diffusa l’idea che l’attività di lobbying si sostanzi nel tentativo – il più delle volte condotto da grandi imprese multinazionali – di far prevalere un qualche interesse particolare a discapito di quello collettivo. È, infine, piuttosto evidente l’uso strumentale (e fortemente dispregiativo) che si fa del termine nella quotidiana lotta politica: il parlamentare che “incontra i lobbisti” fa qualcosa di moralmente discutibile, tanto da essere costretto a farlo in segreto (così alimentando una sorta di circolo vizioso) e, se “scoperto”, doversene giustificare; il governo che “favorisce le lobby” è allo stesso modo meritevole di biasimo, se non di aperta riprovazione; l’Europa “delle lobby” viene frequentemente messa in contrapposizione a quella “dei cittadini”, e così via. Contravvenire a questa sorta di regola aurea è politicamente assai pericoloso: potrebbe ad esempio testimoniarlo il vice presidente della Camera dei Deputati, l’onorevole Luigi Di Maio, negli scorsi mesi attaccato duramente per un post su Facebook in cui equiparava la “lobby degli inceneritori” alla “lobby dei malati di cancro”.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


