Chiediamoci: Ligabue può essere considerato un artista naïf ? Sì e no. A questa domanda ho sempre dato una risposta abbastanza facile e perentoria, che però ritengo abbia un valore anche più generale: Ligabue come uomo era senz’altro un “ingenuo”, nel senso che non possedeva un particolare spessore culturale e aveva anzi notevoli difficoltà cognitive, ma come artista non lo era affatto, la sua arte è tutt’altro che naïf: si tratta di una produzione potente, originale, di grande forza espressiva. Renato Barilli ha usato una formula efficace per spiegare questa apparente contraddizione, richiamando l’idea di una sorta di eredità filogenetica attraverso cui egli avrebbe assorbito e assimilato i modelli e le forme della storia dell’arte che lo ha preceduto. Ciò non toglie che si possano trovare nelle sue opere (soprattutto in quelle del primo periodo) alcuni elementi che si ritrovano nella “maniera” dell’ar- te naïve. Ma la stessa cosa si potrebbe dire per Rousseau il Doganiere che, come sappiamo, possiede invece una sua cifra stilistica che lo caratterizza e lo distingue da ogni imitatore. La categoria naïf, come è noto, al di là del significato oggettivo della parola, ha finito per etichettare un genere, una maniera, che oggi è piuttosto desue- ta e secondo qualcuno addirittura odiosa, ma nel suo significato originario il termine potrebbe essere usato per molti di questi artisti cosiddetti irregolari, e senza dubbio più per la loro personalità che per le loro opere. Anzi, da questo punto di vista, possiamo ribadire uno dei principali motivi di interesse della psicologia dell’arte nei confronti della produzione di questi artisti: proprio per la loro “ingenuità”, per la mancanza di sovrastrutture este- tiche e ideologiche che rischiano di complicare e offuscare la perspicuità di certi meccanismi psichici, le loro opere possono servire a indagare i processi creativi in una maniera più diretta, quasi con la lente di ingrandimento. Così era stato per me nel caso di Ligabue e del suo rapporto con l’autoritratto. Naturalmente anche su questo ci possono essere due diversi punti di vista e due esiti opposti: proprio perché privi di sovrastruttu- re estetiche, questi pro- dotti, per quanto curiosi e interessanti, restano rozzi e marginali e dunque non possono essere considerati propriamente artistici; op- pure (l’opzione Dubuffet), proprio perché incontami- nati dai modelli della cultu- ra dominante, sono esempi di arte autentica. Ligabue può essere considerato allora un artista brut? E perché no, visto che alcuni suoi quadri sono parte della collezione di Art Brut di Losanna?! Del resto, le sue opere e il modo di produrre, la sua poetica (implicita) rientrano perfettamente nella definizione di Dubuffet. Tanto più se è vero che il termi- ne “brut”, come ricorda Eva di Stefano, dovrebbe essere inteso in senso lette- rale, nello stesso modo in cui si parla del vino (“brut, cioè senza aggiunta di zucchero, contrariamente al demi-sec”). Il problema è che la definizione di Art Brut è molto connotata in senso, appunto, dubuffettiano e dal punto di vista storico-critico è soprattutto legata a quel particolare contesto cultura- le, a quel gruppo di artisti: “Brut”, dunque, soprattutto come poetica o come categoria critica. E Ligabue, come altri artisti “irregolari”, non appartiene a quel contesto, se non altro per ragioni geografiche: tanto che qualcuno ha parlato nel suo caso di “espressionismo padano”.

Antonio Ligabue: artista irregolare?

FERRARI, STEFANO
2010

Abstract

Chiediamoci: Ligabue può essere considerato un artista naïf ? Sì e no. A questa domanda ho sempre dato una risposta abbastanza facile e perentoria, che però ritengo abbia un valore anche più generale: Ligabue come uomo era senz’altro un “ingenuo”, nel senso che non possedeva un particolare spessore culturale e aveva anzi notevoli difficoltà cognitive, ma come artista non lo era affatto, la sua arte è tutt’altro che naïf: si tratta di una produzione potente, originale, di grande forza espressiva. Renato Barilli ha usato una formula efficace per spiegare questa apparente contraddizione, richiamando l’idea di una sorta di eredità filogenetica attraverso cui egli avrebbe assorbito e assimilato i modelli e le forme della storia dell’arte che lo ha preceduto. Ciò non toglie che si possano trovare nelle sue opere (soprattutto in quelle del primo periodo) alcuni elementi che si ritrovano nella “maniera” dell’ar- te naïve. Ma la stessa cosa si potrebbe dire per Rousseau il Doganiere che, come sappiamo, possiede invece una sua cifra stilistica che lo caratterizza e lo distingue da ogni imitatore. La categoria naïf, come è noto, al di là del significato oggettivo della parola, ha finito per etichettare un genere, una maniera, che oggi è piuttosto desue- ta e secondo qualcuno addirittura odiosa, ma nel suo significato originario il termine potrebbe essere usato per molti di questi artisti cosiddetti irregolari, e senza dubbio più per la loro personalità che per le loro opere. Anzi, da questo punto di vista, possiamo ribadire uno dei principali motivi di interesse della psicologia dell’arte nei confronti della produzione di questi artisti: proprio per la loro “ingenuità”, per la mancanza di sovrastrutture este- tiche e ideologiche che rischiano di complicare e offuscare la perspicuità di certi meccanismi psichici, le loro opere possono servire a indagare i processi creativi in una maniera più diretta, quasi con la lente di ingrandimento. Così era stato per me nel caso di Ligabue e del suo rapporto con l’autoritratto. Naturalmente anche su questo ci possono essere due diversi punti di vista e due esiti opposti: proprio perché privi di sovrastruttu- re estetiche, questi pro- dotti, per quanto curiosi e interessanti, restano rozzi e marginali e dunque non possono essere considerati propriamente artistici; op- pure (l’opzione Dubuffet), proprio perché incontami- nati dai modelli della cultu- ra dominante, sono esempi di arte autentica. Ligabue può essere considerato allora un artista brut? E perché no, visto che alcuni suoi quadri sono parte della collezione di Art Brut di Losanna?! Del resto, le sue opere e il modo di produrre, la sua poetica (implicita) rientrano perfettamente nella definizione di Dubuffet. Tanto più se è vero che il termi- ne “brut”, come ricorda Eva di Stefano, dovrebbe essere inteso in senso lette- rale, nello stesso modo in cui si parla del vino (“brut, cioè senza aggiunta di zucchero, contrariamente al demi-sec”). Il problema è che la definizione di Art Brut è molto connotata in senso, appunto, dubuffettiano e dal punto di vista storico-critico è soprattutto legata a quel particolare contesto cultura- le, a quel gruppo di artisti: “Brut”, dunque, soprattutto come poetica o come categoria critica. E Ligabue, come altri artisti “irregolari”, non appartiene a quel contesto, se non altro per ragioni geografiche: tanto che qualcuno ha parlato nel suo caso di “espressionismo padano”.
2010
Stefano Ferrari
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