Quando lo scorso autunno è divenuto il nuovo proprietario di Twitter, Elon Musk ha avviato una vera e propria rivoluzione nel popolare social network che ha scatenato un vortice di reazioni, tra opposizioni, licenziamenti e congetture sul futuro della piattaforma. Tra le varie questioni sollevate a ridosso di questi eventi, ha figurato la riammissione del profilo di Donald Trump, che era stato bloccato per aver violato il regolamento di Twitter con alcune affermazioni incitanti alla violenza fatte all’indomani dell’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021. Musk ha messo la questione ai voti e il popolo di Twitter ha deciso per la riattivazione dell’account con il 51% di voti favorevoli, sebbene Trump abbia poi declinato l’invito a riprendere a “twittare”1) e il suo profilo risulti tuttora chiuso. Alla base della volontà di riabilitare il profilo dell’ex presidente c’è la visione apparentemente ultrademocratica di Musk, che si definisce un “assolutista della libertà di parola” e argomenta la sua posizione affermando che “[b]y ‘free speech’, I simply mean that which matches the law. I am against censorship that goes far beyond the law”. Tuttavia, la volontà di concedere indistintamente la possibilità di esprimere il proprio pensiero scagliandosi in maniera violenta contro la scure della censura sembrerebbe – per lo meno superficialmente – cozzare con il suo intento dichiarato di fare di Twitter una “super app” ispirata al modello di WeChat,2) il software di Tencent da cui è ormai necessario dipendere per sopravvivere sul suolo cinese. È chiaro che l’esistenza e la diffusione di un’ipotetica “everything app” rappresentano di per sé una circoscrizione, seppure non immediatamente percepibile, dello spazio di movimento dell’utente, frantumando l’illusione di una libertà sempre più costretta tra le mura invisibili della tecnologia. Il World Wide Web e le sue declinazioni sono passate, nel giro di pochi decenni, dall’essere entità quasi astratte, che esulavano dalle capacità percettive delle masse, al rappresentare una manifestazione tangibile del vissuto nonché canale preferenziale di comunicazione tra l’individuo e il mondo che lo circonda. In questo contesto, diventa interessante indagare più a fondo sulla compatibilità tra l’ideale di “libertà di parola” di cui parla Musk e lo spazio “concreto” in cui gli utenti interagiscono tra di loro e con la comunità globale. Nel caso della Cina, è proprio dalla volontà di affrancarsi dal controllo delle istituzioni e guadagnare uno spazio di espressione internazionale che nasce The Great Translation Movement (da fanyi yundong 大翻译运动, d’ora in avanti TGTM), un movimento di attivisti anonimi che si insinua nei meandri dei social network cinesi e utilizza la traduzione come arma per smascherare su Twitter il groviglio di opinioni impopolari attorno ai temi più caldi che interessano tanto la Repubblica Popolare Cinese quanto il resto del mondo. Che cosa ha rappresentato questo movimento nel contesto del 2022? Che frutti può dare l’intersezione di spazi espressivi che ha come ambizione ultima l’amplificazione a livello mondiale degli anfratti più nascosti e oscuri dei social cinesi? Nei paragrafi che seguono cercherò di rispondere a queste domande, cercando di far luce sull’attività di TGTM e sull’impatto che sta avendo al di là del Great Firewall.

The Great Translation Movement: gli attivisti-traduttori che sfidano la Cina sul Web

Martina Codeluppi
2023

Abstract

Quando lo scorso autunno è divenuto il nuovo proprietario di Twitter, Elon Musk ha avviato una vera e propria rivoluzione nel popolare social network che ha scatenato un vortice di reazioni, tra opposizioni, licenziamenti e congetture sul futuro della piattaforma. Tra le varie questioni sollevate a ridosso di questi eventi, ha figurato la riammissione del profilo di Donald Trump, che era stato bloccato per aver violato il regolamento di Twitter con alcune affermazioni incitanti alla violenza fatte all’indomani dell’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021. Musk ha messo la questione ai voti e il popolo di Twitter ha deciso per la riattivazione dell’account con il 51% di voti favorevoli, sebbene Trump abbia poi declinato l’invito a riprendere a “twittare”1) e il suo profilo risulti tuttora chiuso. Alla base della volontà di riabilitare il profilo dell’ex presidente c’è la visione apparentemente ultrademocratica di Musk, che si definisce un “assolutista della libertà di parola” e argomenta la sua posizione affermando che “[b]y ‘free speech’, I simply mean that which matches the law. I am against censorship that goes far beyond the law”. Tuttavia, la volontà di concedere indistintamente la possibilità di esprimere il proprio pensiero scagliandosi in maniera violenta contro la scure della censura sembrerebbe – per lo meno superficialmente – cozzare con il suo intento dichiarato di fare di Twitter una “super app” ispirata al modello di WeChat,2) il software di Tencent da cui è ormai necessario dipendere per sopravvivere sul suolo cinese. È chiaro che l’esistenza e la diffusione di un’ipotetica “everything app” rappresentano di per sé una circoscrizione, seppure non immediatamente percepibile, dello spazio di movimento dell’utente, frantumando l’illusione di una libertà sempre più costretta tra le mura invisibili della tecnologia. Il World Wide Web e le sue declinazioni sono passate, nel giro di pochi decenni, dall’essere entità quasi astratte, che esulavano dalle capacità percettive delle masse, al rappresentare una manifestazione tangibile del vissuto nonché canale preferenziale di comunicazione tra l’individuo e il mondo che lo circonda. In questo contesto, diventa interessante indagare più a fondo sulla compatibilità tra l’ideale di “libertà di parola” di cui parla Musk e lo spazio “concreto” in cui gli utenti interagiscono tra di loro e con la comunità globale. Nel caso della Cina, è proprio dalla volontà di affrancarsi dal controllo delle istituzioni e guadagnare uno spazio di espressione internazionale che nasce The Great Translation Movement (da fanyi yundong 大翻译运动, d’ora in avanti TGTM), un movimento di attivisti anonimi che si insinua nei meandri dei social network cinesi e utilizza la traduzione come arma per smascherare su Twitter il groviglio di opinioni impopolari attorno ai temi più caldi che interessano tanto la Repubblica Popolare Cinese quanto il resto del mondo. Che cosa ha rappresentato questo movimento nel contesto del 2022? Che frutti può dare l’intersezione di spazi espressivi che ha come ambizione ultima l’amplificazione a livello mondiale degli anfratti più nascosti e oscuri dei social cinesi? Nei paragrafi che seguono cercherò di rispondere a queste domande, cercando di far luce sull’attività di TGTM e sull’impatto che sta avendo al di là del Great Firewall.
2023
Martina Codeluppi
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/955350
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