Inerenza e antieconomicità nell’IVA: l’autosuggestione cosciente della Cassazione

The mutual conditionings between the notion of uneconomicality and inherence should assume, in the VAT field, different connotations compared to the field of direct taxation, for many reasons, starting with the structural arrangement of the respective taxes. However, reading the case law of the Court of Cassation, excessive similarities are found between the two areas, contrary to the correct reconstruction of the subject matter, which instead requires a distinction to be made. In short, even the context of VAT suffers from a dysfunctional recourse to uneconomicality by the tax authorities, unfortunately supported by a jurisprudence that neglects the foundational structure of the indirect tax. Yet, the logic of VAT, together with the European legal order and the jurisprudence of the EU Court of Justice, should have contained those leaps forward made by the Court of Cassation case law which, instead, we have witnessed. The problem is that in the VAT field the dysfunctional application described in this work, which is made by the jurisprudence with the (unstated) aim of protecting the action of the tax authorities, determines collateral distortive effects which ultimately alter the functioning mechanism of the tax and therefore results in paradoxical and unintended consequences. The approach of the Cassation is characterized by a fundamental ambiguity since, on the one hand, there is sometimes an awareness regarding the impossibility of transplanting the principles established in direct taxes into VAT, sometimes with explicit references to EU jurisprudence, it ends up however employing insidious lexical paradigms, with the risk of a sudden revaluation of the quantitative profile which the European Court of Justice categorically excludes.

I condizionamenti reciproci tra la nozione di antieconomicità e l’inerenza dovrebbero assumere, in ambito IVA, connotazioni differenti rispetto all’ambito dell’imposizione diretta, per molte ragioni, a partire dell’assetto strutturale dei rispettivi tributi. Tuttavia, a leggere la giurisprudenza di legittimità, tra i due ambiti si rinvengono eccessive assonanze, in contrasto con la corretta ricostruzione della materia, che impone invece una trattazione distinta. In breve, anche il contesto dell’IVA subisce un ricorso disfunzionale all’antieconomicità da parte degli uffici impositori, purtroppo assecondato da una giurisprudenza che trascura l’impianto costruttivo del tributo indiretto. Eppure, le logiche dell’IVA, unitamente all’ordinamento eurounitario e alla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, avrebbero dovuto contenere quelle fughe in avanti della giurisprudenza di legittimità cui, invece, abbiamo assistito. Il problema è che nel campo IVA l’applicazione disfunzionale di cui si dà conto nel presente lavoro, che viene fatta dalla giurisprudenza con l’obiettivo (non dichiarato) di proteggere l’azione del Fisco, determina effetti distorsivi collaterali che in ultima analisi alterano il meccanismo di funzionamento del tributo e si risolve, dunque, in una paradossale eterogenesi dei fini. L’approccio della Cassazione si caratterizza per un’ambiguità di fondo in quanto se, da un lato, a volte traspare una consapevolezza circa la necessità di non poter trapiantare nell’IVA i principi affermatisi nelle imposte dirette, talvolta con rimandi espliciti alla giurisprudenza unionale, essa finisce comunque per impiegare paradigmi lessicali insidiosi, col rischio di un’improvvisa rivalutazione del profilo quantitativo che invece la Corte di giustizia europea esclude categoricamente.