La "riconversione" dei luoghi di culto in Italia: prospettive ecclesiali per un "uso profano non indecoroso"

As it is widely known, the problem regarding the decommissioning of Catholic churches and other sacred places which, for various reasons, no longer can maintain their designation for divine worship is perceived with an ever increasing urgency. Among the many profiles that such a phenomenon inevitably involves, the concern for what will be of the building afterwards is clearly seen as a priority: and it is an issue which is not to be underestimated, not only because of the common problems that always arise when intervening on historical buildings, but also – and above all – since the Code of Canon Law itself, in consideration of the dignity of their past function, states that the new destination, although "profane", must still be "not sordid" as well. Even when approached with the utmost respect, however, this principle is often treated as if it was merely a general indication, which conveniently forbids certain reuses, but can barely provide any help when reflecting about the adaptations that should be preferred. Focusing on this aspect, the essay aims to show how, on the contrary, it is possible to shed more light on the nal results of the relegation "to profane but not sordid use" through a proper dialogue between the dispositions of the Code and the many ecclesial documents which address the topic directly or indirectly.

Com'è noto, quello relativo alla dismissione di chiese cattoliche e altri luoghi sacri, che per molteplici ragioni non possono più mantenere la propria destinazione al culto, è un problema avvertito oggi con impellenza sempre crescente. Tra i numerosi profili che un simile fenomeno va inevitabilmente a coinvolgere, un'attenzione prioritaria è chiaramente riservata alle prospettive che dopo tale momento si aprono per il futuro dei medesimi immobili – o che su di essi incombono –: una preoccupazione non banale, non solo per le problematiche che ordinariamente accompagnano qualsiasi trasformazione concernente edifici spesso storici, ma anche e soprattutto poiché, in considerazione dell'intrinseca dignità della loro passata funzione, lo stesso Codex Iuris Canonici sottolinea come la nuova destinazione debba necessariamente consistere in un utilizzo che, benché profano, sia altresì "non indecoroso". Tale principio, tuttavia, anche quando riguardato con il massimo rispetto, viene non di rado percepito come una sorta di indicazione di massima, che impone di escludere alcuni riutilizzi, ma dalla quale difficilmente si possono ricavare criteri utili per orientare le decisioni sui riadattamenti da preferire. Rivolgendosi in modo precipuo a quest'ultimo aspetto, il presente contributo si propone di mostrare come, attraverso l'interlocuzione tra disposizioni codiciali e documenti ecclesiali che – in via diretta o indiretta – si interessano al tema, sia invece possibile gettare maggiore luce anche sugli esiti ultimi della riduzione «in usum profanum non sordidum».