Se ad oggi, non esiste una branca specifica della disciplina nota come “antropologia del welfare”, possiamo però dire che antropologi e antropologhe hanno lavorato e continuano a lavorare su temi ad esso connessi in diversi ambiti. In Italia, gli antropologi hanno una lunga storia di impegno in questo campo, nell’esplorare pratiche e rappresentazioni del welfare, e analizzando come le sue politiche vengono implementate e vissute dalle persone. Come sostenuto da Alberto Maria Sobrero, nel nostro Paese possiamo parlare di un’antropologia nel welfare piuttosto che del welfare, poiché gli antropologi anziché studiare il welfare come oggetto a sé stante, hanno lavorato nel contesto delle sue politiche come parte integrante della vita sociale e culturale (Sobrero 1992 ). La transizione da un intervento universale destinato a tutti i cittadini a un intervento rivolto a pochi ha di recente attirato l’attenzione dell’antropologia sul welfare come specifico ambito tematico. Proprio lo “stato” del welfare state nel produrre confini multipli, mutevoli e contestati di inclusione ed esclusione è quanto richiede un’attenta analisi etnografica. L’etnografia, rispetto ad altri tipi di analisi, si rivela particolarmente preziosa non solo per le sue finalità conoscitive ma anche per il suo potenziale di modificare il senso comune e le concezioni della vita sociale. Ci consente, inoltre, pur con tutte le difficoltà del caso, di addentrarci nei meandri degli edifici burocratici, di governo e istituzionali svelando “quei dispositivi in cui si sostanziano i rapporti di potere che strutturano lo spazio sociale” (Capello in Pozzi e Rimoldi, p. 83).Pozzi e Rimoldi, p. 83). In questa prospettiva, due volumi usciti pressoché in contemporanea (2022) come la monografia di Valentina Porcellana Antropologia del welfare. La cultura dei diritti sociali in Italia e la curatela di Luca Rimoldi e Giacomo Pozzi Pensare un’antropologia del welfare. Etnografie dello Stato Sociale in Italia, si propongono di esplorare le complessità e le contraddizioni del welfare, evidenziando come lo Stato non sia un’entità esogena e monolitica, ma un’articolazione di pratiche quotidiane che hanno profondamente trasformato l’immaginario collettivo, producendo nuove aspettative, rappresentazioni, diritti e servizi. Senza pretesa di esaustività, entrambi i lavori forniscono una prospettiva unica e preziosa per comprendere il tema in tutta la sua complessità e contraddittorietà, mostrando come la disciplina possa contribuire criticamente alla comprensione e alla costruzione delle politiche e delle pratiche del welfare. Inoltre, poiché lo Stato come qualsiasi altra istituzione pubblica o privata si compone di persone, l’antropologia ha la possibilità, oltreché che metodi e strumenti, di cogliere ruoli e posizioni dei diversi soggetti che fanno e/o non fanno lo stato del benessere sociale.
L'antropologia tra politiche e pratiche del welfare state / R. BONETTI. - In: AM. - ISSN 1593-2737. - ELETTRONICO. - 55:(2023), pp. 363-377.
L'antropologia tra politiche e pratiche del welfare state.
R. BONETTI
2023
Abstract
Se ad oggi, non esiste una branca specifica della disciplina nota come “antropologia del welfare”, possiamo però dire che antropologi e antropologhe hanno lavorato e continuano a lavorare su temi ad esso connessi in diversi ambiti. In Italia, gli antropologi hanno una lunga storia di impegno in questo campo, nell’esplorare pratiche e rappresentazioni del welfare, e analizzando come le sue politiche vengono implementate e vissute dalle persone. Come sostenuto da Alberto Maria Sobrero, nel nostro Paese possiamo parlare di un’antropologia nel welfare piuttosto che del welfare, poiché gli antropologi anziché studiare il welfare come oggetto a sé stante, hanno lavorato nel contesto delle sue politiche come parte integrante della vita sociale e culturale (Sobrero 1992 ). La transizione da un intervento universale destinato a tutti i cittadini a un intervento rivolto a pochi ha di recente attirato l’attenzione dell’antropologia sul welfare come specifico ambito tematico. Proprio lo “stato” del welfare state nel produrre confini multipli, mutevoli e contestati di inclusione ed esclusione è quanto richiede un’attenta analisi etnografica. L’etnografia, rispetto ad altri tipi di analisi, si rivela particolarmente preziosa non solo per le sue finalità conoscitive ma anche per il suo potenziale di modificare il senso comune e le concezioni della vita sociale. Ci consente, inoltre, pur con tutte le difficoltà del caso, di addentrarci nei meandri degli edifici burocratici, di governo e istituzionali svelando “quei dispositivi in cui si sostanziano i rapporti di potere che strutturano lo spazio sociale” (Capello in Pozzi e Rimoldi, p. 83).Pozzi e Rimoldi, p. 83). In questa prospettiva, due volumi usciti pressoché in contemporanea (2022) come la monografia di Valentina Porcellana Antropologia del welfare. La cultura dei diritti sociali in Italia e la curatela di Luca Rimoldi e Giacomo Pozzi Pensare un’antropologia del welfare. Etnografie dello Stato Sociale in Italia, si propongono di esplorare le complessità e le contraddizioni del welfare, evidenziando come lo Stato non sia un’entità esogena e monolitica, ma un’articolazione di pratiche quotidiane che hanno profondamente trasformato l’immaginario collettivo, producendo nuove aspettative, rappresentazioni, diritti e servizi. Senza pretesa di esaustività, entrambi i lavori forniscono una prospettiva unica e preziosa per comprendere il tema in tutta la sua complessità e contraddittorietà, mostrando come la disciplina possa contribuire criticamente alla comprensione e alla costruzione delle politiche e delle pratiche del welfare. Inoltre, poiché lo Stato come qualsiasi altra istituzione pubblica o privata si compone di persone, l’antropologia ha la possibilità, oltreché che metodi e strumenti, di cogliere ruoli e posizioni dei diversi soggetti che fanno e/o non fanno lo stato del benessere sociale.File | Dimensione | Formato | |
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