Alcuni recenti sviluppi nell’ambito delle tecnologie digitali si legano a cambiamenti sociali estremamente rilevanti, arrivando così a sollevare questioni cruciali per la riflessione pedagogica. La comparsa del Web permette a coloro che lo utilizzano l'accesso ad un'abbondanza di informazioni senza precedenti, creando nuove opportunità ma al tempo stesso riproponendo con particolare urgenza alcune questioni: prima fra tutte, la necessità di trovare metodi che consentano di selezionare le informazioni rilevanti e connetterle in un quadro dotato di senso, ovvero di utilizzarle per produrre conoscenze. In questo contesto, è prioritario interrogarsi su come avvenga tale processo di selezione e integrazione: chi lo conduce, secondo quali criteri e in vista di quali obiettivi? Nei primi anni di diffusione del Web, si è pensato che questa tecnologia avrebbe avviato una fase di radicale "disintermediazione”: siccome sulla rete tutti possono diffondere contenuti a costi molto bassi, si credeva che finalmente sarebbe stato possibile produrre e accedere alle informazioni in modo più libero e democratico, senza il filtro delle istituzioni tradizionalmente deputate alla mediazione della cultura (mass media, scuola, partiti, istituzioni religiose, ecc.). Tuttavia, dopo tre decenni dalla comparsa del Web è necessario constatare che questa speranza si è realizzata soltanto in minima parte. Certamente i vecchi mediatori hanno perso la centralità di cui godevano, ma ciò non significa che siano scomparsi i mediatori tout court: piuttosto, quelli vecchi sono stati sostituiti o affiancati da nuovi mediatori, la cui attività è spesso meno esplicita, ma non meno influente. Questi nuovi mediatori sono le piattaforme digitali, le quali rappresentano una particolare tipologia di azienda che basa il proprio business sull'acquisizione e l'elaborazione dei dati provenienti dagli utenti. Osservando lo sviluppo di questo tipo di aziende emerge una chiara tendenza alla formazione di monopoli: i dati e i profitti (ed il potere che da essi deriva) tendono a concentrarsi nelle mani di pochissime grandi aziende, piuttosto che ad essere redistribuiti tra la popolazione come affermano i teorici della disintermediazione. Il funzionamento delle piattaforme digitali presenta alcune caratteristiche che hanno implicazioni educative e socio-politiche non trascurabili. Il tema di fondo è come esse utilizzino le enormi moli di dati di cui dispongono per produrre conoscenze: ciò che rende tali processi particolarmente meritevoli di essere indagati è il fatto che si basano in misura sempre crescente su pratiche di automatizzazione del lavoro cognitivo, svolte da sistemi algoritmici, che secondo Umberto Margiotta stanno provocando «una rivoluzione culturale nel campo dell’educazione, dell’istruzione e della formazione». Per contribuire alla comprensione delle trasformazioni in atto, ci si soffermerà in particolare su un concetto che sta ritornando fortemente in auge nell'ambito delle piattaforme, quello di intelligenza collettiva: si tratta dell'idea che la collaborazione all'interno di un gruppo sia in grado, in determinate condizioni, di esprimere un'intelligenza superiore a quella dei suoi singoli membri, anche dei più esperti o capaci tra loro. Se l'intuizione alla base dell'idea di intelligenza collettiva appare relativamente semplice, è tuttavia importante sottolineare che sono possibili diversi modi di declinare tale concetto, soprattutto oggi che le possibilità offerte dal Web aprono scenari inediti: come viene immaginata questa intelligenza? Che ruolo viene attribuito agli esseri umani all'interno dei processi di costruzione della conoscenza? Nel corso della riflessione verrà individuato come riferimento un particolare modello in direzione del quale il concetto di intelligenza collettiva può essere sviluppato, che Pierre Lévy ha descritto con il termine “formicaio”. Il formicaio è da considerarsi come una sorta di tipo ideale in senso weberiano, ovvero come un quadro concettuale che non corrisponde a nessuna realtà storica specifica, ma può servire come termine di paragone per valutare le diverse forme sociali reali. Tale modello esprime una concezione dell'intelligenza collettiva in cui la priorità è data all'elaborazione centralizzata dei dati, alla quale le persone contribuiscono in modo inconsapevole e persino ottuso, come le formiche all'interno di un formicaio: gli scopi dell'intelligenza collettiva non comprendono la crescita personale degli individui né il loro apprendimento, l'obiettivo è unicamente quello di perfezionare le conoscenze detenute da chi controlla la piattaforma, le quali vengono concepite come di natura superiore rispetto a quelle prodotte dai singoli esseri umani. Attualmente, lo sviluppo della maggior parte delle piattaforme digitali appare guidato da principi analoghi a quelli del formicaio, ma questo fatto solleva alcune questioni fortemente problematiche. Infatti una componente chiave del funzionamento della piattaforme è costituito dalle tecniche di profilazione, le quali si fondano in larga misura su una concezione dell'essere umano di derivazione comportamentista, che si disinteressa dell'interiorità e considera gli esseri umani solo in base al loro comportamento, focalizzandosi soprattutto su come questo possa essere influenzato attraverso stimoli appositamente studiati. Un altro apporto determinante proviene dalle scienze cognitive: esse esprimono generalmente uno approccio allo studio della mente dal quale viene escluso il concetto di coscienza, ed alcune ricerche recenti appartenenti all'ambito neuroscientifico arrivano a mettere in discussione l'idea stessa di libero arbitrio. Questa concezione dell'essere umano racchiude in sé implicazioni filosofiche e politiche potenzialmente dirompenti: le persone finiscono per essere concepite alla stregua di algoritmi, risultando perciò intrinsecamente manipolabili, mentre la società assume l'aspetto di un laboratorio, nel quale gli esperti e i tecnici che detengono il controllo delle piattaforme aspirano ad orientare il comportamento degli individui, e si ritengono legittimati a farlo, nella convinzione di possedere una conoscenza di livello superiore rispetto a quella delle persone comuni. Tutto ciò pone due questioni altamente problematiche per la pedagogia. In primo luogo, la messa in discussione del “libero arbitrio e l'idea che le persone siano assimilabili ad algoritmi appaiono incompatibili con un'educazione volta a promuovere lo sviluppo del pensiero critico, poiché questa si basa sul presupposto che le persone siano, almeno in parte, autonome e capaci di scegliere per sé stesse. In secondo luogo, la pretesa che l'intelligenza collettiva elaborata dalle piattaforme sia superiore a quella dei singoli esseri umani suscita alcune domande che spingono a ripensare il concetto di apprendimento: «dove avviene l'apprendimento più significativo nelle nostre società? Che tipi di sistemi portano avanti tale apprendimento? Come il “nostro” apprendimento (di cittadini/e, studenti/esse, lavoratori/rici) si intreccia con i processi attraverso cui imparano le macchine? Chi in ultima istanza beneficia dei risultati dell'apprendimento?». Se si adotta la prospettiva del formicaio, le risposte sono abbastanza chiare: i soggetti primari dell'apprendimento sono i sistemi algoritmici delle piattaforme, non le persone da cui vengono estratti i dati, le quali rivestono semplicemente il ruolo di ingranaggi utili al funzionamento di tali sistemi. In questo modo, viene largamente a cadere la dimensione educativa legata ai processi di costruzione della conoscenza: educare gli esseri umani non è più una priorità, se diventa possibile far sì che l'apprendimento e l'elaborazione di conoscenze siano sempre più portati avanti dalle macchine. O meglio: educare l'intera popolazione non è più una priorità, ma rimane un trattamento riservato ad una ristretta élite che deve essere in grado di progettare e gestire le piattaforme. Il modello del formicaio sembra dunque presupporre una concezione della società difficilmente compatibile con la democrazia e, di conseguenza, con un approccio democratico all'educazione. La democrazia si basa infatti sul presupposto che l'intera cittadinanza sia in grado di sviluppare una propria opinione politica e di agire di conseguenza, mentre, nella prospettiva del formicaio, l'autodeterminazione degli individui potrebbe ridursi in modo considerevole: i cittadini sono infatti concepiti primariamente come organismi influenzabili, che le piattaforme digitali tentano di orientare nelle direzioni che ritengono più vantaggiose. Inoltre, per produrre conoscenza attraverso le piattaforme non è necessario che tutti gli utenti che contribuiscono all'intelligenza collettiva siano consapevoli del processo, anche perché si tratta di un sistema altamente complesso: i gestori delle piattaforme sostengono di essere gli unici in grado di comprenderne il funzionamento, e dunque gli unici legittimati a decidere in che direzione orientarlo. L'approccio educativo che deriva da questa impostazione risulta pertanto decisamente anti-democratico: si tratterebbe di fornire un'educazione di qualità solamente ad una élite di individui destinati alla gestione delle piattaforme, trascurando o destinando solo scarse risorse al resto della popolazione. Come osserva Mario Caligiuri, se si procede lungo questa direzione, «sullo sfondo non tanto lontano potrebbe intravedersi una separazione castale tra i pochi individui indispensabili che possiedono un’educazione di eccellenza e controllano l‘intelligenza artificiale e i moltissimi che invece avranno minori risorse educative, limitando le opportunità e accentuando le diseguaglianze». Questa prospettiva suscita interrogativi cruciali ed urgenti: «È un destino già segnato o si può ancora fare qualcosa? [...] Sarà questa l’inevitabile evoluzione dell’homo sapiens? E l’istruzione pubblica come si pone? È un elemento decisivo per attenuare le diseguaglianze oppure rischia di diventare superflua? Diventerà ancora più funzionale a chi determina gli indirizzi economici e sociali? Oppure rappresenterà lo strumento per evitare che si realizzi questa inaccettabile divaricazione della specie?». Dal punto di vista adottato in questa ricerca, appare inaccettabile rassegnarsi alla prospettiva di una progressiva marginalizzazione della maggioranza degli esseri umani ad una condizione di inferiorità rispetto alle élites che detengono il controllo dei mezzi di produzione materiali e conoscitivi. Pertanto, partendo dalla convinzione che gli sviluppi storici non seguano una traiettoria necessaria e immutabile, ma che sia invece possibile in qualche misura contribuire ad indirizzare il corso degli eventi, appare quantomeno possibile cercare di immaginare un'alternativa al modello del formicaio. Per progettare un'alternativa efficace allo scenario del formicaio, è utile soffermarsi sull’analisi di tale modello per comprendere come mai esso si stia diffondendo così ampiamente e velocemente, quali siano i suoi punti di forza e le esigenze a cui offre risposta. Come si è detto, tale modello non corrisponde ad una realtà concreta, ma costituisce piuttosto un tipo ideale, che si concentra su alcuni aspetti della realtà e li amplifica al fine di comprenderli meglio. Ciò significa che esso non esiste mai in forma “pura” nella realtà, ma appare sempre mescolato con altre concezioni e pratiche di segno differente. Inoltre, il fatto che alcune tecnologie esistenti appaiano allineate, in certa misura, ai principi del formicaio, non comporta nessuna conseguenza necessaria, perché non tutti gli individui interagiscono allo stesso modo con le medesime tecnologie, e perché ogni tecnologia non agisce mai in modo unilaterale sulle persone, ma si presenta invece sempre in relazione con numerose dinamiche sociali. Dopo aver analizzato il modello del formicaio, sarà possibile avanzare alcune considerazioni relative a possibili sviluppi alternativi. Infatti, chi si ponga come obiettivo la realizzazione di un'intelligenza collettiva che eviti di ricadere nel modello del formicaio e cerchi invece di mantenere come scopo principale la crescita delle persone e dei gruppi, non può evitare di confrontarsi con alcune questioni problematiche. Esistono infatti alcune tendenze di lungo periodo che sembrano andare nella direzione opposta a quella auspicata: si tratta della burocratizzazione delle società e della specializzazione del sapere, che le analisi di Max Weber hanno mostrato essere caratteristiche strutturali delle società moderne. Ciò suscita un interrogativo fondamentale: è possibile realizzare forme di intelligenza collettiva “a misura di essere umano”, che abbiano come priorità la crescita e la valorizzazione degli individui e delle comunità, oppure i processi di burocratizzazione e specializzazione del sapere conducono inevitabilmente ad una diffusione sempre maggiore del modello del formicaio? In ambito educativo, ciò appare decisamente possibile: esistono infatti numerosi approcci pedagogici nei quali la crescita dei singoli e dei gruppi si fonda sul dialogo e lo scambio reciproco, i quali possono essere ripresi per costruire comunità educative che sfruttino le possibilità offerte dalle tecnologie digitali. In questa sede ci si soffermerà in particolare sulle pratiche promosse da Paulo Freire e don Lorenzo Milani, i cui modelli educativi hanno saputo coniugare la valorizzazione della crescita personale e delle capacità dialogiche degli studenti con l'obiettivo di promuovere la loro presa di coscienza rispetto alla realtà sociale e politica. Tuttavia, quando si passa dai contesti educativi alle dinamiche più ampie su cui si reggono le odierne società occidentali, la possibilità di realizzare intelligenze collettive a misura di essere umano appare decisamente più problematica. Seguendo le riflessioni di Simone Weil, si vedrà come l'analisi dei processi di costruzione delle tecnologie e dei saperi appaia destinata a confrontarsi con la cruciale questione del potere, alla radice della quale si trova un dilemma fondamentale: si tratta di scegliere se servirsi di mezzi potenti, che tuttavia rischiano di rivelarsi oppressivi, oppure decidere di utilizzare soltanto mezzi rispettosi degli esseri umani, ma che tendono a rivelarsi deboli e a non reggere la competizione con quelli maggiormente potenti.

L’INTELLIGENZA COLLETTIVA AL TEMPO DELLE PIATTAFORME DIGITALI. Il modello del formicaio: implicazioni pedagogiche e alternative possibili / pietro corazza. - ELETTRONICO. - (2022), pp. 1-439.

L’INTELLIGENZA COLLETTIVA AL TEMPO DELLE PIATTAFORME DIGITALI. Il modello del formicaio: implicazioni pedagogiche e alternative possibili

pietro corazza
2022

Abstract

Alcuni recenti sviluppi nell’ambito delle tecnologie digitali si legano a cambiamenti sociali estremamente rilevanti, arrivando così a sollevare questioni cruciali per la riflessione pedagogica. La comparsa del Web permette a coloro che lo utilizzano l'accesso ad un'abbondanza di informazioni senza precedenti, creando nuove opportunità ma al tempo stesso riproponendo con particolare urgenza alcune questioni: prima fra tutte, la necessità di trovare metodi che consentano di selezionare le informazioni rilevanti e connetterle in un quadro dotato di senso, ovvero di utilizzarle per produrre conoscenze. In questo contesto, è prioritario interrogarsi su come avvenga tale processo di selezione e integrazione: chi lo conduce, secondo quali criteri e in vista di quali obiettivi? Nei primi anni di diffusione del Web, si è pensato che questa tecnologia avrebbe avviato una fase di radicale "disintermediazione”: siccome sulla rete tutti possono diffondere contenuti a costi molto bassi, si credeva che finalmente sarebbe stato possibile produrre e accedere alle informazioni in modo più libero e democratico, senza il filtro delle istituzioni tradizionalmente deputate alla mediazione della cultura (mass media, scuola, partiti, istituzioni religiose, ecc.). Tuttavia, dopo tre decenni dalla comparsa del Web è necessario constatare che questa speranza si è realizzata soltanto in minima parte. Certamente i vecchi mediatori hanno perso la centralità di cui godevano, ma ciò non significa che siano scomparsi i mediatori tout court: piuttosto, quelli vecchi sono stati sostituiti o affiancati da nuovi mediatori, la cui attività è spesso meno esplicita, ma non meno influente. Questi nuovi mediatori sono le piattaforme digitali, le quali rappresentano una particolare tipologia di azienda che basa il proprio business sull'acquisizione e l'elaborazione dei dati provenienti dagli utenti. Osservando lo sviluppo di questo tipo di aziende emerge una chiara tendenza alla formazione di monopoli: i dati e i profitti (ed il potere che da essi deriva) tendono a concentrarsi nelle mani di pochissime grandi aziende, piuttosto che ad essere redistribuiti tra la popolazione come affermano i teorici della disintermediazione. Il funzionamento delle piattaforme digitali presenta alcune caratteristiche che hanno implicazioni educative e socio-politiche non trascurabili. Il tema di fondo è come esse utilizzino le enormi moli di dati di cui dispongono per produrre conoscenze: ciò che rende tali processi particolarmente meritevoli di essere indagati è il fatto che si basano in misura sempre crescente su pratiche di automatizzazione del lavoro cognitivo, svolte da sistemi algoritmici, che secondo Umberto Margiotta stanno provocando «una rivoluzione culturale nel campo dell’educazione, dell’istruzione e della formazione». Per contribuire alla comprensione delle trasformazioni in atto, ci si soffermerà in particolare su un concetto che sta ritornando fortemente in auge nell'ambito delle piattaforme, quello di intelligenza collettiva: si tratta dell'idea che la collaborazione all'interno di un gruppo sia in grado, in determinate condizioni, di esprimere un'intelligenza superiore a quella dei suoi singoli membri, anche dei più esperti o capaci tra loro. Se l'intuizione alla base dell'idea di intelligenza collettiva appare relativamente semplice, è tuttavia importante sottolineare che sono possibili diversi modi di declinare tale concetto, soprattutto oggi che le possibilità offerte dal Web aprono scenari inediti: come viene immaginata questa intelligenza? Che ruolo viene attribuito agli esseri umani all'interno dei processi di costruzione della conoscenza? Nel corso della riflessione verrà individuato come riferimento un particolare modello in direzione del quale il concetto di intelligenza collettiva può essere sviluppato, che Pierre Lévy ha descritto con il termine “formicaio”. Il formicaio è da considerarsi come una sorta di tipo ideale in senso weberiano, ovvero come un quadro concettuale che non corrisponde a nessuna realtà storica specifica, ma può servire come termine di paragone per valutare le diverse forme sociali reali. Tale modello esprime una concezione dell'intelligenza collettiva in cui la priorità è data all'elaborazione centralizzata dei dati, alla quale le persone contribuiscono in modo inconsapevole e persino ottuso, come le formiche all'interno di un formicaio: gli scopi dell'intelligenza collettiva non comprendono la crescita personale degli individui né il loro apprendimento, l'obiettivo è unicamente quello di perfezionare le conoscenze detenute da chi controlla la piattaforma, le quali vengono concepite come di natura superiore rispetto a quelle prodotte dai singoli esseri umani. Attualmente, lo sviluppo della maggior parte delle piattaforme digitali appare guidato da principi analoghi a quelli del formicaio, ma questo fatto solleva alcune questioni fortemente problematiche. Infatti una componente chiave del funzionamento della piattaforme è costituito dalle tecniche di profilazione, le quali si fondano in larga misura su una concezione dell'essere umano di derivazione comportamentista, che si disinteressa dell'interiorità e considera gli esseri umani solo in base al loro comportamento, focalizzandosi soprattutto su come questo possa essere influenzato attraverso stimoli appositamente studiati. Un altro apporto determinante proviene dalle scienze cognitive: esse esprimono generalmente uno approccio allo studio della mente dal quale viene escluso il concetto di coscienza, ed alcune ricerche recenti appartenenti all'ambito neuroscientifico arrivano a mettere in discussione l'idea stessa di libero arbitrio. Questa concezione dell'essere umano racchiude in sé implicazioni filosofiche e politiche potenzialmente dirompenti: le persone finiscono per essere concepite alla stregua di algoritmi, risultando perciò intrinsecamente manipolabili, mentre la società assume l'aspetto di un laboratorio, nel quale gli esperti e i tecnici che detengono il controllo delle piattaforme aspirano ad orientare il comportamento degli individui, e si ritengono legittimati a farlo, nella convinzione di possedere una conoscenza di livello superiore rispetto a quella delle persone comuni. Tutto ciò pone due questioni altamente problematiche per la pedagogia. In primo luogo, la messa in discussione del “libero arbitrio e l'idea che le persone siano assimilabili ad algoritmi appaiono incompatibili con un'educazione volta a promuovere lo sviluppo del pensiero critico, poiché questa si basa sul presupposto che le persone siano, almeno in parte, autonome e capaci di scegliere per sé stesse. In secondo luogo, la pretesa che l'intelligenza collettiva elaborata dalle piattaforme sia superiore a quella dei singoli esseri umani suscita alcune domande che spingono a ripensare il concetto di apprendimento: «dove avviene l'apprendimento più significativo nelle nostre società? Che tipi di sistemi portano avanti tale apprendimento? Come il “nostro” apprendimento (di cittadini/e, studenti/esse, lavoratori/rici) si intreccia con i processi attraverso cui imparano le macchine? Chi in ultima istanza beneficia dei risultati dell'apprendimento?». Se si adotta la prospettiva del formicaio, le risposte sono abbastanza chiare: i soggetti primari dell'apprendimento sono i sistemi algoritmici delle piattaforme, non le persone da cui vengono estratti i dati, le quali rivestono semplicemente il ruolo di ingranaggi utili al funzionamento di tali sistemi. In questo modo, viene largamente a cadere la dimensione educativa legata ai processi di costruzione della conoscenza: educare gli esseri umani non è più una priorità, se diventa possibile far sì che l'apprendimento e l'elaborazione di conoscenze siano sempre più portati avanti dalle macchine. O meglio: educare l'intera popolazione non è più una priorità, ma rimane un trattamento riservato ad una ristretta élite che deve essere in grado di progettare e gestire le piattaforme. Il modello del formicaio sembra dunque presupporre una concezione della società difficilmente compatibile con la democrazia e, di conseguenza, con un approccio democratico all'educazione. La democrazia si basa infatti sul presupposto che l'intera cittadinanza sia in grado di sviluppare una propria opinione politica e di agire di conseguenza, mentre, nella prospettiva del formicaio, l'autodeterminazione degli individui potrebbe ridursi in modo considerevole: i cittadini sono infatti concepiti primariamente come organismi influenzabili, che le piattaforme digitali tentano di orientare nelle direzioni che ritengono più vantaggiose. Inoltre, per produrre conoscenza attraverso le piattaforme non è necessario che tutti gli utenti che contribuiscono all'intelligenza collettiva siano consapevoli del processo, anche perché si tratta di un sistema altamente complesso: i gestori delle piattaforme sostengono di essere gli unici in grado di comprenderne il funzionamento, e dunque gli unici legittimati a decidere in che direzione orientarlo. L'approccio educativo che deriva da questa impostazione risulta pertanto decisamente anti-democratico: si tratterebbe di fornire un'educazione di qualità solamente ad una élite di individui destinati alla gestione delle piattaforme, trascurando o destinando solo scarse risorse al resto della popolazione. Come osserva Mario Caligiuri, se si procede lungo questa direzione, «sullo sfondo non tanto lontano potrebbe intravedersi una separazione castale tra i pochi individui indispensabili che possiedono un’educazione di eccellenza e controllano l‘intelligenza artificiale e i moltissimi che invece avranno minori risorse educative, limitando le opportunità e accentuando le diseguaglianze». Questa prospettiva suscita interrogativi cruciali ed urgenti: «È un destino già segnato o si può ancora fare qualcosa? [...] Sarà questa l’inevitabile evoluzione dell’homo sapiens? E l’istruzione pubblica come si pone? È un elemento decisivo per attenuare le diseguaglianze oppure rischia di diventare superflua? Diventerà ancora più funzionale a chi determina gli indirizzi economici e sociali? Oppure rappresenterà lo strumento per evitare che si realizzi questa inaccettabile divaricazione della specie?». Dal punto di vista adottato in questa ricerca, appare inaccettabile rassegnarsi alla prospettiva di una progressiva marginalizzazione della maggioranza degli esseri umani ad una condizione di inferiorità rispetto alle élites che detengono il controllo dei mezzi di produzione materiali e conoscitivi. Pertanto, partendo dalla convinzione che gli sviluppi storici non seguano una traiettoria necessaria e immutabile, ma che sia invece possibile in qualche misura contribuire ad indirizzare il corso degli eventi, appare quantomeno possibile cercare di immaginare un'alternativa al modello del formicaio. Per progettare un'alternativa efficace allo scenario del formicaio, è utile soffermarsi sull’analisi di tale modello per comprendere come mai esso si stia diffondendo così ampiamente e velocemente, quali siano i suoi punti di forza e le esigenze a cui offre risposta. Come si è detto, tale modello non corrisponde ad una realtà concreta, ma costituisce piuttosto un tipo ideale, che si concentra su alcuni aspetti della realtà e li amplifica al fine di comprenderli meglio. Ciò significa che esso non esiste mai in forma “pura” nella realtà, ma appare sempre mescolato con altre concezioni e pratiche di segno differente. Inoltre, il fatto che alcune tecnologie esistenti appaiano allineate, in certa misura, ai principi del formicaio, non comporta nessuna conseguenza necessaria, perché non tutti gli individui interagiscono allo stesso modo con le medesime tecnologie, e perché ogni tecnologia non agisce mai in modo unilaterale sulle persone, ma si presenta invece sempre in relazione con numerose dinamiche sociali. Dopo aver analizzato il modello del formicaio, sarà possibile avanzare alcune considerazioni relative a possibili sviluppi alternativi. Infatti, chi si ponga come obiettivo la realizzazione di un'intelligenza collettiva che eviti di ricadere nel modello del formicaio e cerchi invece di mantenere come scopo principale la crescita delle persone e dei gruppi, non può evitare di confrontarsi con alcune questioni problematiche. Esistono infatti alcune tendenze di lungo periodo che sembrano andare nella direzione opposta a quella auspicata: si tratta della burocratizzazione delle società e della specializzazione del sapere, che le analisi di Max Weber hanno mostrato essere caratteristiche strutturali delle società moderne. Ciò suscita un interrogativo fondamentale: è possibile realizzare forme di intelligenza collettiva “a misura di essere umano”, che abbiano come priorità la crescita e la valorizzazione degli individui e delle comunità, oppure i processi di burocratizzazione e specializzazione del sapere conducono inevitabilmente ad una diffusione sempre maggiore del modello del formicaio? In ambito educativo, ciò appare decisamente possibile: esistono infatti numerosi approcci pedagogici nei quali la crescita dei singoli e dei gruppi si fonda sul dialogo e lo scambio reciproco, i quali possono essere ripresi per costruire comunità educative che sfruttino le possibilità offerte dalle tecnologie digitali. In questa sede ci si soffermerà in particolare sulle pratiche promosse da Paulo Freire e don Lorenzo Milani, i cui modelli educativi hanno saputo coniugare la valorizzazione della crescita personale e delle capacità dialogiche degli studenti con l'obiettivo di promuovere la loro presa di coscienza rispetto alla realtà sociale e politica. Tuttavia, quando si passa dai contesti educativi alle dinamiche più ampie su cui si reggono le odierne società occidentali, la possibilità di realizzare intelligenze collettive a misura di essere umano appare decisamente più problematica. Seguendo le riflessioni di Simone Weil, si vedrà come l'analisi dei processi di costruzione delle tecnologie e dei saperi appaia destinata a confrontarsi con la cruciale questione del potere, alla radice della quale si trova un dilemma fondamentale: si tratta di scegliere se servirsi di mezzi potenti, che tuttavia rischiano di rivelarsi oppressivi, oppure decidere di utilizzare soltanto mezzi rispettosi degli esseri umani, ma che tendono a rivelarsi deboli e a non reggere la competizione con quelli maggiormente potenti.
2022
439
L’INTELLIGENZA COLLETTIVA AL TEMPO DELLE PIATTAFORME DIGITALI. Il modello del formicaio: implicazioni pedagogiche e alternative possibili / pietro corazza. - ELETTRONICO. - (2022), pp. 1-439.
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