Quando, nelle lezioni di esegesi neotestamentaria del suo primo anno bonnense (1924/1925), Erik Peterson definisce Paolo di Tarso come «l’apostolo dell’eccezione (der Apostel der Ausnahme)», il pensiero del lettore corre al primo dei Quattro capitoli sulla dottrina della sovranità di Carl Schmitt, datato 1922. Benché l’amico Schmitt non sia citato, il tipo di autorità extra-istituzionale che Peterson attribuisce alla posizione apostolica paolina, definibile solo alla luce di una contrapposizione con l’autorità dei Dodici, sembra un calco teologico del concetto giuridico schmittiano di eccezione. Ma il sospetto non tarda a insinuarsi. Fino a che punto si può dire che Peterson trasponga in ambito teologico, per la sua descrizione dell’apostolato paolino, proprio la categoria giuridica di eccezione di Schmitt? E se invece il debito maggiore che l’esegesi neotestamentaria e l’ecclesiologia di Peterson contraggono con Schmitt risiedesse altrove – per esempio, nella rappresentazione della decisione sovrana che ha fondato la Chiesa? Infine, in che misura si può dire che Peterson si mantenga costantemente fedele alla determinazione schmittiana della forma giuridico-politica della Chiesa? Il presente contributo intende sondare l’ecclesiologia petersoniana degli anni bonnensi come il terreno su cui misurare quella “giusta distanza”, tra il pensiero teologico-politico del teologo e quello del giurista, la cui determinazione predisponga a un’interpretazione non mitica del conflitto apertosi nel 1935 con la pubblicazione del Monoteismo.

E. Urciuoli (2016). Un’ordinaria eccezione: Erik Peterson interprete di Carl Schmitt (1924-1933). RIVISTA DI STORIA DEL CRISTIANESIMO, 13(1), 109-132.

Un’ordinaria eccezione: Erik Peterson interprete di Carl Schmitt (1924-1933)

E. Urciuoli
2016

Abstract

Quando, nelle lezioni di esegesi neotestamentaria del suo primo anno bonnense (1924/1925), Erik Peterson definisce Paolo di Tarso come «l’apostolo dell’eccezione (der Apostel der Ausnahme)», il pensiero del lettore corre al primo dei Quattro capitoli sulla dottrina della sovranità di Carl Schmitt, datato 1922. Benché l’amico Schmitt non sia citato, il tipo di autorità extra-istituzionale che Peterson attribuisce alla posizione apostolica paolina, definibile solo alla luce di una contrapposizione con l’autorità dei Dodici, sembra un calco teologico del concetto giuridico schmittiano di eccezione. Ma il sospetto non tarda a insinuarsi. Fino a che punto si può dire che Peterson trasponga in ambito teologico, per la sua descrizione dell’apostolato paolino, proprio la categoria giuridica di eccezione di Schmitt? E se invece il debito maggiore che l’esegesi neotestamentaria e l’ecclesiologia di Peterson contraggono con Schmitt risiedesse altrove – per esempio, nella rappresentazione della decisione sovrana che ha fondato la Chiesa? Infine, in che misura si può dire che Peterson si mantenga costantemente fedele alla determinazione schmittiana della forma giuridico-politica della Chiesa? Il presente contributo intende sondare l’ecclesiologia petersoniana degli anni bonnensi come il terreno su cui misurare quella “giusta distanza”, tra il pensiero teologico-politico del teologo e quello del giurista, la cui determinazione predisponga a un’interpretazione non mitica del conflitto apertosi nel 1935 con la pubblicazione del Monoteismo.
2016
E. Urciuoli (2016). Un’ordinaria eccezione: Erik Peterson interprete di Carl Schmitt (1924-1933). RIVISTA DI STORIA DEL CRISTIANESIMO, 13(1), 109-132.
E. Urciuoli
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