La mistica islamica si classifica grossomodo in due tendenze principali, dette dell’“ebbrezza” (sukriyya) e della “sobrietà” (ṣaḥwiyya). Sul versante del sufismo dell’“ebbrezza” la letteratura persiana presenta numerose figure di cui forse la più famosa è il poeta Rūmī (XIII sec.). Sul versante della “sobrietà” è invece più opportuno collocare uno dei più grandi pensatori arabi dell’Islam sunnita, Abū Ḥāmid al-Ġazālī (XII sec.), importante teologo e giurista che ha tentato di integrare il sufismo nell’ortodossia islamica. In entrambi gli autori, tuttavia, l’amore nelle sue varie sfaccettature è onnipresente, inteso sia come amore per Dio e di conseguenza per il creato, la cui bellezza e perfezione addita/conduce a quella divina, sia attraverso l’ampio spazio che dedicano al concetto della misericordia (raḥma) di Dio, di cui presentano, seppure in modi e gradi differenti, una visione inclusiva dell’“altro”, inteso come il “non musulmano”. Al-Ġazālī, ad esempio, nel “Ravvivamento delle scienze religiose” (Iḥyā’ ‘ulūm al-dīn), pone l’amore come l’ultima e la più elevata stazione spirituale del cammino mistico che conduce a Dio, e precisa che amare Dio significa amarne l’intera creazione. Nel “Trattato sui più bei nomi di Dio” (al-Maqṣad al-asnà fī šarḥ maʿānī asmā’ Allāh al-ḥusnà), inoltre, attraverso una puntuale analisi dei termini al-raḥmān e al-raḥīm (comunemente tradotti come “il Clemente” e “il Misericordioso”), egli sviluppa una concezione universale della misericordia divina in grado di garantire potenzialmente la salvezza anche agli appartenenti a fedi diverse dall’Islam, come si evince in particolare nel “Criterio decisivo di distinzione tra l’Islam e la miscredenza” (Fayṣal al-tafriqa bayna al-Islām wa’l-zandaqa). L’inclusione dell’altro nella misericordia divina, tuttavia, non si manifesta solo a livello escatologico: nelle sue opere al-Ġazālī presenta infatti una serie di regole di “buon vicinato” che fondano, pur con qualche limitazione, un’etica umanistica qualificabile come universale, basata sul riconoscimento dell’altro in quanto creatura di Dio, e che è dunque in grado di offrire una base teologica interessante anche all’attuale dibattito sui diritti umani e il dialogo interreligioso. Quanto a Rūmī, egli pone una particolare enfasi sullo “sguardo amoroso e onniavvolgente” di Dio verso tutte le creature che Lo invocano. E in questo senso, un aspetto che esemplifica l’approccio di Rūmī è la sua attenzione verso il diverso: la diversità/molteplicità non solo non compromette l’Unicità divina ma nella sua prospettiva persino la conferma. La grande apertura della visione di Rūmī per cui Dio, il Misericorde e il Clemente, accoglie il diverso nel seno dell’Unicità, è documentabile in diversi aneddoti della sua opera, e in massimo grado in quelli del suo capolavoro il “Poema spirituale” (Mathnavī-ye ma‘navī), da cui sarà tratta l’opportuna esemplificazione. Nel presente contributo ci soffermiamo dunque sui diversi modi in cui i due autori integrano l’“altro” nelle rispettive visioni, unendo l’approccio linguistico a quello culturale, l’analisi letteraria a quella teologica, con una particolare attenzione alla pregnanza semantica della terminologia islamica utilizzata dai due autori.
Ines Peta, Nahid Norozi (2022). L’inclusione dell’Altro nella misericordia (raḥma) divina in al-Ġazālī e in Rūmī. Milano : Meltemi.
L’inclusione dell’Altro nella misericordia (raḥma) divina in al-Ġazālī e in Rūmī
Ines Peta
;Nahid Norozi
2022
Abstract
La mistica islamica si classifica grossomodo in due tendenze principali, dette dell’“ebbrezza” (sukriyya) e della “sobrietà” (ṣaḥwiyya). Sul versante del sufismo dell’“ebbrezza” la letteratura persiana presenta numerose figure di cui forse la più famosa è il poeta Rūmī (XIII sec.). Sul versante della “sobrietà” è invece più opportuno collocare uno dei più grandi pensatori arabi dell’Islam sunnita, Abū Ḥāmid al-Ġazālī (XII sec.), importante teologo e giurista che ha tentato di integrare il sufismo nell’ortodossia islamica. In entrambi gli autori, tuttavia, l’amore nelle sue varie sfaccettature è onnipresente, inteso sia come amore per Dio e di conseguenza per il creato, la cui bellezza e perfezione addita/conduce a quella divina, sia attraverso l’ampio spazio che dedicano al concetto della misericordia (raḥma) di Dio, di cui presentano, seppure in modi e gradi differenti, una visione inclusiva dell’“altro”, inteso come il “non musulmano”. Al-Ġazālī, ad esempio, nel “Ravvivamento delle scienze religiose” (Iḥyā’ ‘ulūm al-dīn), pone l’amore come l’ultima e la più elevata stazione spirituale del cammino mistico che conduce a Dio, e precisa che amare Dio significa amarne l’intera creazione. Nel “Trattato sui più bei nomi di Dio” (al-Maqṣad al-asnà fī šarḥ maʿānī asmā’ Allāh al-ḥusnà), inoltre, attraverso una puntuale analisi dei termini al-raḥmān e al-raḥīm (comunemente tradotti come “il Clemente” e “il Misericordioso”), egli sviluppa una concezione universale della misericordia divina in grado di garantire potenzialmente la salvezza anche agli appartenenti a fedi diverse dall’Islam, come si evince in particolare nel “Criterio decisivo di distinzione tra l’Islam e la miscredenza” (Fayṣal al-tafriqa bayna al-Islām wa’l-zandaqa). L’inclusione dell’altro nella misericordia divina, tuttavia, non si manifesta solo a livello escatologico: nelle sue opere al-Ġazālī presenta infatti una serie di regole di “buon vicinato” che fondano, pur con qualche limitazione, un’etica umanistica qualificabile come universale, basata sul riconoscimento dell’altro in quanto creatura di Dio, e che è dunque in grado di offrire una base teologica interessante anche all’attuale dibattito sui diritti umani e il dialogo interreligioso. Quanto a Rūmī, egli pone una particolare enfasi sullo “sguardo amoroso e onniavvolgente” di Dio verso tutte le creature che Lo invocano. E in questo senso, un aspetto che esemplifica l’approccio di Rūmī è la sua attenzione verso il diverso: la diversità/molteplicità non solo non compromette l’Unicità divina ma nella sua prospettiva persino la conferma. La grande apertura della visione di Rūmī per cui Dio, il Misericorde e il Clemente, accoglie il diverso nel seno dell’Unicità, è documentabile in diversi aneddoti della sua opera, e in massimo grado in quelli del suo capolavoro il “Poema spirituale” (Mathnavī-ye ma‘navī), da cui sarà tratta l’opportuna esemplificazione. Nel presente contributo ci soffermiamo dunque sui diversi modi in cui i due autori integrano l’“altro” nelle rispettive visioni, unendo l’approccio linguistico a quello culturale, l’analisi letteraria a quella teologica, con una particolare attenzione alla pregnanza semantica della terminologia islamica utilizzata dai due autori.File | Dimensione | Formato | |
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