La sfiducia nel mercato e la rivendicazione del primato della politica sull’economia furono uno dei principi primi dell’ideologia fascista. Sul piano politico, con il regime si assistette a un evidente rafforzamento delle politiche pubbliche e della sfera d’intervento dello Stato, nelle sue diverse articolazioni. Più che il risultato di un definitivo primato della politica, prodotto da una presunta «rivoluzione fascista», però, quel cambiamento costituì l’effetto dei processi che investirono le economie e le società del mondo industrializzato. Non solo, ma se per tutti gli anni Venti e, con ancora maggiore forza, negli anni Trenta, la crisi del mercato – crisi innanzitutto culturale e sociale – continuò a dominare discorsi e dibattiti, in concreto il rapporto tra il capitalismo italiano e il regime non vide affatto soccombere il primo. Insomma, se il fascismo mirava ad affermare il primato della politica, per rendersi autonomo, nelle sue scelte e nelle sue decisioni, dalle forze economiche e dalle istituzioni tradizionali che lo avevano sostenuto nel suo consolidamento al potere, quell’obiettivo fu largamente declamato, ma rimase in buona sostanza irrealizzato. Il saggio intende interrogarsi con questi nodi tematici. Esso è strutturato in tre sezioni. La prima ripercorre la successione dei cambiamenti negli indirizzi fondamentali della politica economica italiana negli anni Venti e Trenta – il triennio liberista e privatizzatore, la svolta di Quota 90, gli interventi per fronteggiare gli effetti della crisi finanziaria e industriale dei primi anni Trenta, la svolta autarchica – mettendola in relazione ai cambiamenti che in quegli anni investirono l’economia internazionale e con le scelte dei governi degli altri paesi industrializzati. Almeno nelle direttrici di fondo, infatti, le grandi strategie del governo fascista furono nella sostanza allineate con gli orientamenti assunti dagli altri paesi industrializzati dell’Occidente capitalistico: i problemi di volta in volta fronteggiati erano condivisi, e vennero affrontati in un contesto che rimaneva comunque altamente integrato e ricorrendo a soluzioni, concezioni e strumenti comuni ben più di quanto le retoriche dei nazionalismi consentissero di ammettere. La seconda esamina l’evoluzione dei redditi, dei consumi e delle politiche sociali. Il costante incremento del divario di ricchezza e opportunità tra i diversi settori della società costituì uno degli elementi peculiari dell’Italia fascista, e uno dei principali fattori di differenziazione rispetto al resto dell’Occidente industrializzato. Da un lato, le classi lavoratrici subirono ripetuti tagli dei salari e una forte compressione dei consumi, dall’altro, le classi medie urbane sperimentarono significativi cambiamenti nella vita materiale, anche per effetto delle politiche del consenso messe in campo dal regime. La terza sezione volge lo sguardo al primo termine del binomio richiamato dal titolo del saggio, lo Stato. Si ripercorreranno sinteticamente le linee fondamentali delle sue modalità di funzionamento e delle sue dinamiche interne, per chiedersi se e in quale misura esso abbia effettivamente incarnato il primato della politica e l’autonomia dalle forze economiche e sociali. Al contrario di quanto sostenuto dall’ideologia politica e giuridica del fascismo, negli anni tra le due guerre gli interessi privati, cioè i grandi gruppi industriali e finanziari e le organizzazioni imprenditoriali, acquisirono una presenza e un ruolo nella formulazione degli indirizzi e delle politiche del tutto inediti. Si tratta, anche in questo caso, almeno nei suoi lineamenti essenziali, di un processo che non caratterizzò solo l’Italia, ma che si sviluppò in tutte le economie più avanzate dell’Occidente.

Gagliardi, A. (2022). Il mercato e i limiti dello stato fascista. ANNALI - FONDAZIONE GIANGIACOMO FELTRINELLI, 56, 137-162.

Il mercato e i limiti dello stato fascista

Gagliardi, A
2022

Abstract

La sfiducia nel mercato e la rivendicazione del primato della politica sull’economia furono uno dei principi primi dell’ideologia fascista. Sul piano politico, con il regime si assistette a un evidente rafforzamento delle politiche pubbliche e della sfera d’intervento dello Stato, nelle sue diverse articolazioni. Più che il risultato di un definitivo primato della politica, prodotto da una presunta «rivoluzione fascista», però, quel cambiamento costituì l’effetto dei processi che investirono le economie e le società del mondo industrializzato. Non solo, ma se per tutti gli anni Venti e, con ancora maggiore forza, negli anni Trenta, la crisi del mercato – crisi innanzitutto culturale e sociale – continuò a dominare discorsi e dibattiti, in concreto il rapporto tra il capitalismo italiano e il regime non vide affatto soccombere il primo. Insomma, se il fascismo mirava ad affermare il primato della politica, per rendersi autonomo, nelle sue scelte e nelle sue decisioni, dalle forze economiche e dalle istituzioni tradizionali che lo avevano sostenuto nel suo consolidamento al potere, quell’obiettivo fu largamente declamato, ma rimase in buona sostanza irrealizzato. Il saggio intende interrogarsi con questi nodi tematici. Esso è strutturato in tre sezioni. La prima ripercorre la successione dei cambiamenti negli indirizzi fondamentali della politica economica italiana negli anni Venti e Trenta – il triennio liberista e privatizzatore, la svolta di Quota 90, gli interventi per fronteggiare gli effetti della crisi finanziaria e industriale dei primi anni Trenta, la svolta autarchica – mettendola in relazione ai cambiamenti che in quegli anni investirono l’economia internazionale e con le scelte dei governi degli altri paesi industrializzati. Almeno nelle direttrici di fondo, infatti, le grandi strategie del governo fascista furono nella sostanza allineate con gli orientamenti assunti dagli altri paesi industrializzati dell’Occidente capitalistico: i problemi di volta in volta fronteggiati erano condivisi, e vennero affrontati in un contesto che rimaneva comunque altamente integrato e ricorrendo a soluzioni, concezioni e strumenti comuni ben più di quanto le retoriche dei nazionalismi consentissero di ammettere. La seconda esamina l’evoluzione dei redditi, dei consumi e delle politiche sociali. Il costante incremento del divario di ricchezza e opportunità tra i diversi settori della società costituì uno degli elementi peculiari dell’Italia fascista, e uno dei principali fattori di differenziazione rispetto al resto dell’Occidente industrializzato. Da un lato, le classi lavoratrici subirono ripetuti tagli dei salari e una forte compressione dei consumi, dall’altro, le classi medie urbane sperimentarono significativi cambiamenti nella vita materiale, anche per effetto delle politiche del consenso messe in campo dal regime. La terza sezione volge lo sguardo al primo termine del binomio richiamato dal titolo del saggio, lo Stato. Si ripercorreranno sinteticamente le linee fondamentali delle sue modalità di funzionamento e delle sue dinamiche interne, per chiedersi se e in quale misura esso abbia effettivamente incarnato il primato della politica e l’autonomia dalle forze economiche e sociali. Al contrario di quanto sostenuto dall’ideologia politica e giuridica del fascismo, negli anni tra le due guerre gli interessi privati, cioè i grandi gruppi industriali e finanziari e le organizzazioni imprenditoriali, acquisirono una presenza e un ruolo nella formulazione degli indirizzi e delle politiche del tutto inediti. Si tratta, anche in questo caso, almeno nei suoi lineamenti essenziali, di un processo che non caratterizzò solo l’Italia, ma che si sviluppò in tutte le economie più avanzate dell’Occidente.
2022
Gagliardi, A. (2022). Il mercato e i limiti dello stato fascista. ANNALI - FONDAZIONE GIANGIACOMO FELTRINELLI, 56, 137-162.
Gagliardi, A
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/897342
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