Anche se non mancano, tramandate da una certa storiografia, figure di pontefici e di cardinali dalle abitudini alimentari morigerate e rispettosi dei dettami e delle proibizioni della dottrina cattolica, il lusso non era affatto estraneo alle cucine papali. Al contrario l’abbondanza, la varietà e la qualità delle vivande che trovavano posto sulla tavola del pontefice non avevano nulla da invidiare a quelle dei banchetti che si tenevano alle corti principesche. Il banchetto, specie quello pubblico, costituiva un momento di esternazione e affermazione del proprio prestigio e del proprio potere e le occasioni per imbandire lussuosamente la tavola erano le più disparate, dai banchetti nuziali a quelli organizzati in ossequio a ospiti di rilievo quali re, ambasciatori e principi. Né erano di minor pregio gli alimenti consumati quotidianamente dal papa e dalla sua familia, cucinati dalle mani di cuochi esperti. Non mancarono, tuttavia, esempi di incitazione ad un maggior contenimento delle abitudini alimentari. È il caso di Pio II, che nel 1460 redarguì severamente i suoi cardinali richiamandoli ad un contegno più consono al loro alto grado tanto a tavola quanto negli svaghi, nelle vesti e in generale nel tenore di vita. Sebbene le misure restrittive in materia di fasto a tavola, elaborate da Pio II nell’ambito del suo più ampio progetto di riforma della curia, non trovassero con ogni probabilità attuazione, tale esempio permette di spostare l’indagine sul campo della normativa volta a reprimere o quanto meno a moderare l’ostentazione del lusso. Le leggi suntuarie romane affrontarono la questione del lusso a tavola, seppure limitando la loro area di intervento al banchetto nuziale, sottoposto a limitazioni che agli occhi di Marco Antonio Altieri - nostalgico dei valori e delle tradizioni del passato glorioso di Roma - apparvero come l’affossamento dell’identità municipale. Provvedimenti relativi al banchetto al di fuori delle nozze non sembrano essere stati promulgati. D’altra parte sembrava più urgente intervenire, anche su sollecitazione dei predicatori, sui banchetti nuziali che, essendo molto dispendiosi, potevano ritardare il momento delle nozze con tutto ciò che di “scandaloso” ne poteva conseguire. Ecco perché quasi tutti i papi del XV secolo, sensibili alle implicazioni morali, emanarono provvedimenti suntuari che, in modo più o meno dettagliato, affrontarono la questione del banchetto nuziale. D’altro canto però la legislazione sui banchetti risultava abbastanza ridotta rispetto a quella destinata a limitare il lusso in generale, probabilmente perché il papa rappresentava comunque colui che doveva assicurare al suo popolo il necessario sostentamento. La misura volta a limitare il cibo sarebbe dunque risultata quanto meno impopolare, ma in più lesiva dell’immagine del papa-padre affettuoso che si prende cura dei propri figli e del loro pane quotidiano.
Campanini Antonella (2010). Il papa e la tavola: tra lusso e moderazione. Roma : Istituto Storico Italiano per il Medio Evo.
Il papa e la tavola: tra lusso e moderazione
Campanini Antonella
2010
Abstract
Anche se non mancano, tramandate da una certa storiografia, figure di pontefici e di cardinali dalle abitudini alimentari morigerate e rispettosi dei dettami e delle proibizioni della dottrina cattolica, il lusso non era affatto estraneo alle cucine papali. Al contrario l’abbondanza, la varietà e la qualità delle vivande che trovavano posto sulla tavola del pontefice non avevano nulla da invidiare a quelle dei banchetti che si tenevano alle corti principesche. Il banchetto, specie quello pubblico, costituiva un momento di esternazione e affermazione del proprio prestigio e del proprio potere e le occasioni per imbandire lussuosamente la tavola erano le più disparate, dai banchetti nuziali a quelli organizzati in ossequio a ospiti di rilievo quali re, ambasciatori e principi. Né erano di minor pregio gli alimenti consumati quotidianamente dal papa e dalla sua familia, cucinati dalle mani di cuochi esperti. Non mancarono, tuttavia, esempi di incitazione ad un maggior contenimento delle abitudini alimentari. È il caso di Pio II, che nel 1460 redarguì severamente i suoi cardinali richiamandoli ad un contegno più consono al loro alto grado tanto a tavola quanto negli svaghi, nelle vesti e in generale nel tenore di vita. Sebbene le misure restrittive in materia di fasto a tavola, elaborate da Pio II nell’ambito del suo più ampio progetto di riforma della curia, non trovassero con ogni probabilità attuazione, tale esempio permette di spostare l’indagine sul campo della normativa volta a reprimere o quanto meno a moderare l’ostentazione del lusso. Le leggi suntuarie romane affrontarono la questione del lusso a tavola, seppure limitando la loro area di intervento al banchetto nuziale, sottoposto a limitazioni che agli occhi di Marco Antonio Altieri - nostalgico dei valori e delle tradizioni del passato glorioso di Roma - apparvero come l’affossamento dell’identità municipale. Provvedimenti relativi al banchetto al di fuori delle nozze non sembrano essere stati promulgati. D’altra parte sembrava più urgente intervenire, anche su sollecitazione dei predicatori, sui banchetti nuziali che, essendo molto dispendiosi, potevano ritardare il momento delle nozze con tutto ciò che di “scandaloso” ne poteva conseguire. Ecco perché quasi tutti i papi del XV secolo, sensibili alle implicazioni morali, emanarono provvedimenti suntuari che, in modo più o meno dettagliato, affrontarono la questione del banchetto nuziale. D’altro canto però la legislazione sui banchetti risultava abbastanza ridotta rispetto a quella destinata a limitare il lusso in generale, probabilmente perché il papa rappresentava comunque colui che doveva assicurare al suo popolo il necessario sostentamento. La misura volta a limitare il cibo sarebbe dunque risultata quanto meno impopolare, ma in più lesiva dell’immagine del papa-padre affettuoso che si prende cura dei propri figli e del loro pane quotidiano.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.