Goffman ha descritto le regole morali che rendono possibile la nostra interazione con gli altri grazie alle maschere con cui ci presentiamo, celebrando il reciproco rispetto delle nostre identità sociali. Quando ci presentiamo agli altri, e gli altri si presentano a noi, entrambi indossiamo un’apparenza espressiva che esponiamo alla reciprocità degli sguardi. Non è solo questione di giudizio, ma un problema di adeguatezza alla situazione sociale in cui a vicenda ci rendiamo identificabili. Nell’incontro in presenza – quale quello descritto da Simmel o i tanti descritti da Goffman – numerosi indizi simbolici sono a nostra disposizione per cercare di capire chi e come sia il nostro interlocutore e come a sua volta ci veda, si aspetti da noi, cosa cerchi di nascondere di sé e cosa cerchi di mostrare, in maniera da dimenticare la mascherata e, come dice Goffman, essere capaci di tornare al punto centrale dell’interazione in quel momento. Le cose si complicano in quella che Thompson chiama l’interazione mediata online: nei social media prevedere chi siano, e quando o come ci siano gli interlocutori possibili è molto più complicato; i possibili equivoci (e gaffes correlate) si moltiplicano. Si ricorre perciò ad espedienti strategici che sono oggi oggetto di studio e persino di controversia. In ogni caso, sembra siano necessarie nuove competenze su una scena ibrida che non smette di essere sociale: chiede relazione, offre semplicità di adesione e, insieme, complicazione. Il più delle volte resta oscura, specie perché, alla capacità umana di cercare di prevedere cosa l’altro veda di noi, accompagna - e talora sostituisce - l’occhio vigile di macchine intelligenti che incamerano dati e con operazioni algoritmiche leggono tracce di miliardi di maschere, presentandoci di volta in volta i confini delle scene d’interazione che i loro calcoli hanno reso plausibili per noi. Abbiamo così l’impressione di saperci muovere «con agio e disinvoltura», mentre, forse, un nuovo ordine dell’interazione sceglie per noi chi siamo e con chi vogliamo relazionarci.
Lalli, P. (2022). Maschere e mascherate. Il balletto delle identità nelle relazioni con gli altri. LA CHIAVE DI SOPHIA, 17(Febbrai-Maggio 2022), 45-47.
Maschere e mascherate. Il balletto delle identità nelle relazioni con gli altri
Lalli Pina
2022
Abstract
Goffman ha descritto le regole morali che rendono possibile la nostra interazione con gli altri grazie alle maschere con cui ci presentiamo, celebrando il reciproco rispetto delle nostre identità sociali. Quando ci presentiamo agli altri, e gli altri si presentano a noi, entrambi indossiamo un’apparenza espressiva che esponiamo alla reciprocità degli sguardi. Non è solo questione di giudizio, ma un problema di adeguatezza alla situazione sociale in cui a vicenda ci rendiamo identificabili. Nell’incontro in presenza – quale quello descritto da Simmel o i tanti descritti da Goffman – numerosi indizi simbolici sono a nostra disposizione per cercare di capire chi e come sia il nostro interlocutore e come a sua volta ci veda, si aspetti da noi, cosa cerchi di nascondere di sé e cosa cerchi di mostrare, in maniera da dimenticare la mascherata e, come dice Goffman, essere capaci di tornare al punto centrale dell’interazione in quel momento. Le cose si complicano in quella che Thompson chiama l’interazione mediata online: nei social media prevedere chi siano, e quando o come ci siano gli interlocutori possibili è molto più complicato; i possibili equivoci (e gaffes correlate) si moltiplicano. Si ricorre perciò ad espedienti strategici che sono oggi oggetto di studio e persino di controversia. In ogni caso, sembra siano necessarie nuove competenze su una scena ibrida che non smette di essere sociale: chiede relazione, offre semplicità di adesione e, insieme, complicazione. Il più delle volte resta oscura, specie perché, alla capacità umana di cercare di prevedere cosa l’altro veda di noi, accompagna - e talora sostituisce - l’occhio vigile di macchine intelligenti che incamerano dati e con operazioni algoritmiche leggono tracce di miliardi di maschere, presentandoci di volta in volta i confini delle scene d’interazione che i loro calcoli hanno reso plausibili per noi. Abbiamo così l’impressione di saperci muovere «con agio e disinvoltura», mentre, forse, un nuovo ordine dell’interazione sceglie per noi chi siamo e con chi vogliamo relazionarci.File | Dimensione | Formato | |
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