L’opera e la ricezione. Qui risiede il circolo della storia, virtuoso e al contempo vizioso: la ricezione determina la consacrazione o, meglio, la canonizzazione dell’opera, là dove un’opera senza ricezione sarebbe da considerarsi come un paradosso, una contradictio in termini. Eppure, l’opera vive di vita propria ed è in grado di attendere o, eventualmente, disattendere i tempi della ricezione. L’anamnesi della memoria può, a volte, portare un riparo alla nemesi storica e lungo il filo degli anni – dei secoli – l’opera aspetta pazientemente che una ricezione benevola l’accolga. Lo stesso vale anche – e soprattutto – per il presente che si fa storia, la storiografia contemporanea, di cui il caso «Enzo Melandri» costituisce, a nostro avviso, un esempio illustre per quanto emblematico. Ecco la difficoltà: rintracciare i confini entro cui la ricerca di Melandri viene a costituirsi in una autonoma costellazione di pensiero all’interno del panorama filosofico contemporaneo, per poi rendere conto – una volta definita l’eventuale originalità – dell’oblio cui tale riflessione sembra essersi stranamente destinata. Il nostro intento è di riconoscere il merito del filosofo, evitando di classificarlo all’interno della stucchevole categoria dei «geni incompresi». Nel caso di Melandri dovremo pertanto capire se la mancata o, nella migliore delle ipotesi, parziale ricezione sia imputabile a una semplice anomalia, dovuta alla cecità dell’accademia italiana, oppure se sia l’opera stessa a essersi ritrovata, in un certo senso, costretta a scontare la «cattiva gestione» del suo autore vita natural durante. La risposta – parafrasando un’acuta osservazione di Giorgio Agamben – è complessa e implica un intreccio dei due ordini di ragioni. Se, infatti, è pur vero che certi vizi dell’apparato universitario hanno praticamente azzerato in modo del tutto ingiustificato l’effetto di risonanza che ci si poteva legittimamente aspettare da un «capolavoro della filosofia europea del novecento», quale la Linea e il Circolo – il lavoro che meglio rappresenta lo slancio teoretico di cui Melandri era capace – è altresì vero che lo stesso Melandri, per dirla in breve, non si rivelò mai un abile amministratore del suo lascito filosofico. Lo stile estremamente variegato e apparentemente digressivo, l’ampiezza sterminata dei riferimenti, il frequente rinvio a una varietà sorprendente di discipline contribuiscono ad accentuare un effetto vertiginoso che provoca, in certi momenti, un irritante contrasto tra l’aspirazione universalizzante e l’apparente a-sistematicità della sua scrittura. I meandri di Melandri, potremmo allora dire, parafrasando una boutade dall'assonanza fin troppo facile, a cui Umberto Eco non ha saputo resistere. Sarebbe tuttavia sufficiente effettuare un semplice scorcio d’insieme sulle tematiche trattate; sfogliare l’indice delle opere per cogliere con un solo colpo d’occhio la cogente attualità delle questioni e la fecondità del metodo. La filosofia all’immagine della civetta di Minerva – qualcuno ha detto – comincia il suo volo soltanto sul far del crepuscolo, tingendo il suo grigio con il grigio della vita che invecchia e svanisce. Ecco perché oggi, a maggior ragione, ha tanto più senso tentare di ristabilire le coordinate del pensiero di Melandri, nell’urgenza di una ricezione più adeguata. Rivolgiamo così una preghiera di riconciliazione al presente che si fa storia, alla civetta di Minerva. Intenderemo «Melandri» non più come un nome proprio, bensì come un aggettivo, che indica una galassia filosofica o, meglio, un universo di pensiero, al cui interno – a dispetto della complessità di cui si compone – emerge un rilevante «centro gravitazionale». Il nucleo tematico in cui confluiscono le varie diramazioni della ricerca può essere, per l’essenziale, racchiuso – questo è il senso della nostra lettura – nel sintagma «analogia». Attraverso il fil rouge dell’analogia risulterà, infatti, possibile ripercorrere il percorso filosofico e intellettuale di Enzo Melandri, entro quell’arco di tempo che va dal 1960 con la pubblicazione di Logica e Esperienza in Husserl fino al 1990, anno in cui la riflessione si chiude circolarmente sulla prima delle Logische Untersuchungen husserliane. Tra questi due estremi l’apice della riflessione si individua, come già accennato, in La Linea e il Circolo del 1968, il cui sottotitolo – dal sapore vagamente wittgensteiniano – recita: Studio logico-filosofico sull'analogia.

Enzo Melandri e il labirinto delle analogie / Emanuele Mariani. - In: SEGNI E COMPRENSIONE. - ISSN 1121-6530. - STAMPA. - 24:(2010), pp. 97-106.

Enzo Melandri e il labirinto delle analogie

Emanuele Mariani
2010

Abstract

L’opera e la ricezione. Qui risiede il circolo della storia, virtuoso e al contempo vizioso: la ricezione determina la consacrazione o, meglio, la canonizzazione dell’opera, là dove un’opera senza ricezione sarebbe da considerarsi come un paradosso, una contradictio in termini. Eppure, l’opera vive di vita propria ed è in grado di attendere o, eventualmente, disattendere i tempi della ricezione. L’anamnesi della memoria può, a volte, portare un riparo alla nemesi storica e lungo il filo degli anni – dei secoli – l’opera aspetta pazientemente che una ricezione benevola l’accolga. Lo stesso vale anche – e soprattutto – per il presente che si fa storia, la storiografia contemporanea, di cui il caso «Enzo Melandri» costituisce, a nostro avviso, un esempio illustre per quanto emblematico. Ecco la difficoltà: rintracciare i confini entro cui la ricerca di Melandri viene a costituirsi in una autonoma costellazione di pensiero all’interno del panorama filosofico contemporaneo, per poi rendere conto – una volta definita l’eventuale originalità – dell’oblio cui tale riflessione sembra essersi stranamente destinata. Il nostro intento è di riconoscere il merito del filosofo, evitando di classificarlo all’interno della stucchevole categoria dei «geni incompresi». Nel caso di Melandri dovremo pertanto capire se la mancata o, nella migliore delle ipotesi, parziale ricezione sia imputabile a una semplice anomalia, dovuta alla cecità dell’accademia italiana, oppure se sia l’opera stessa a essersi ritrovata, in un certo senso, costretta a scontare la «cattiva gestione» del suo autore vita natural durante. La risposta – parafrasando un’acuta osservazione di Giorgio Agamben – è complessa e implica un intreccio dei due ordini di ragioni. Se, infatti, è pur vero che certi vizi dell’apparato universitario hanno praticamente azzerato in modo del tutto ingiustificato l’effetto di risonanza che ci si poteva legittimamente aspettare da un «capolavoro della filosofia europea del novecento», quale la Linea e il Circolo – il lavoro che meglio rappresenta lo slancio teoretico di cui Melandri era capace – è altresì vero che lo stesso Melandri, per dirla in breve, non si rivelò mai un abile amministratore del suo lascito filosofico. Lo stile estremamente variegato e apparentemente digressivo, l’ampiezza sterminata dei riferimenti, il frequente rinvio a una varietà sorprendente di discipline contribuiscono ad accentuare un effetto vertiginoso che provoca, in certi momenti, un irritante contrasto tra l’aspirazione universalizzante e l’apparente a-sistematicità della sua scrittura. I meandri di Melandri, potremmo allora dire, parafrasando una boutade dall'assonanza fin troppo facile, a cui Umberto Eco non ha saputo resistere. Sarebbe tuttavia sufficiente effettuare un semplice scorcio d’insieme sulle tematiche trattate; sfogliare l’indice delle opere per cogliere con un solo colpo d’occhio la cogente attualità delle questioni e la fecondità del metodo. La filosofia all’immagine della civetta di Minerva – qualcuno ha detto – comincia il suo volo soltanto sul far del crepuscolo, tingendo il suo grigio con il grigio della vita che invecchia e svanisce. Ecco perché oggi, a maggior ragione, ha tanto più senso tentare di ristabilire le coordinate del pensiero di Melandri, nell’urgenza di una ricezione più adeguata. Rivolgiamo così una preghiera di riconciliazione al presente che si fa storia, alla civetta di Minerva. Intenderemo «Melandri» non più come un nome proprio, bensì come un aggettivo, che indica una galassia filosofica o, meglio, un universo di pensiero, al cui interno – a dispetto della complessità di cui si compone – emerge un rilevante «centro gravitazionale». Il nucleo tematico in cui confluiscono le varie diramazioni della ricerca può essere, per l’essenziale, racchiuso – questo è il senso della nostra lettura – nel sintagma «analogia». Attraverso il fil rouge dell’analogia risulterà, infatti, possibile ripercorrere il percorso filosofico e intellettuale di Enzo Melandri, entro quell’arco di tempo che va dal 1960 con la pubblicazione di Logica e Esperienza in Husserl fino al 1990, anno in cui la riflessione si chiude circolarmente sulla prima delle Logische Untersuchungen husserliane. Tra questi due estremi l’apice della riflessione si individua, come già accennato, in La Linea e il Circolo del 1968, il cui sottotitolo – dal sapore vagamente wittgensteiniano – recita: Studio logico-filosofico sull'analogia.
2010
Enzo Melandri e il labirinto delle analogie / Emanuele Mariani. - In: SEGNI E COMPRENSIONE. - ISSN 1121-6530. - STAMPA. - 24:(2010), pp. 97-106.
Emanuele Mariani
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