RIASSUNTO. Da quando, negli anni Venti, apparve nelle stazioni ferroviarie e ai crocicchi delle metropoli, la cabina per fototessere ha saputo attirare l’attenzione dell’uomo della strada e dell’artista. Affollatissimo è il catalogo degli artisti – pittori, scrittori, fotografi, creatori di installazioni e performance, nonché registi cinematografici e teatrali – che furono folgorati da questa misteriosa macchina. Nondimeno, il suo enorme successo nei primi anni Settanta lascia alquanto stupefatti. Il posto d’onore spetta certo al grande Franco Vaccari, autore per la Biennale veneziana del 1972 di un’Esposizione in tempo reale leggendaria, proseguita poi nell’operazione Photomatic d’Italia. Tra le molte opere menzionabili, risaltano i primi film di Wim Wenders nei quali, con notevole puntualità, il Photomaton viene citato come meravigliosa macchina produttrice di immagini. In questo saggio ci si sofferma sulla sequenza dedicata a una cabina per fototessere in Alice nelle città: analogie sorprendenti, sia nell’elaborazione teorica sia nella prassi poetica, giustificano l’accostamento tra il regista tedesco e l’artista concettuale italiano, non senza volgere un doveroso sguardo alle filosofiche ipotesi del tardo Heidegger. ABSTRACT. Since the 1920s, when it appeared in railway stations and on urban crossroads, the photobooth has managed to capture the attention of both laymen and artists. The catalogue of artists – painters, writers, photographers, installation and performance creators, as well as film and theatre directors – who were bowled over by this mysterious machine is teeming with names. Nonetheless, its huge success in the early 1970s leaves one somewhat astounded. The place of honour must surely go to the great Franco Vaccari, who created, for the 1972 Biennale di Venezia the legendary work Esposizione in tempo reale, which he then followed up in his operation Photomatic d’Italia. Amongst the many noteworthy works, Wim Wenders’s early films stand out, in which, with notable regularity, Photomatic is cited as marvelous image producing machine. This essay will focus on the sequence dedicated to a photo booth in Alice in the Cities: surprising analogies, both in their theoretical elaboration and in their poetic praxis, justify the juxtaposition between the German director and the Italian conceptual artist, not without duly glancing at the philosophical hypotheses of Heidegger’s later work.
Ferdinando Amigoni (2021). Alice nel paese dei Photomaton: Wim Wenders e l'autoritratto fotografico. STATUS QUAESTIONIS, 21, 137-169 [10.13133/2239-1983/17688].
Alice nel paese dei Photomaton: Wim Wenders e l'autoritratto fotografico
Ferdinando Amigoni
2021
Abstract
RIASSUNTO. Da quando, negli anni Venti, apparve nelle stazioni ferroviarie e ai crocicchi delle metropoli, la cabina per fototessere ha saputo attirare l’attenzione dell’uomo della strada e dell’artista. Affollatissimo è il catalogo degli artisti – pittori, scrittori, fotografi, creatori di installazioni e performance, nonché registi cinematografici e teatrali – che furono folgorati da questa misteriosa macchina. Nondimeno, il suo enorme successo nei primi anni Settanta lascia alquanto stupefatti. Il posto d’onore spetta certo al grande Franco Vaccari, autore per la Biennale veneziana del 1972 di un’Esposizione in tempo reale leggendaria, proseguita poi nell’operazione Photomatic d’Italia. Tra le molte opere menzionabili, risaltano i primi film di Wim Wenders nei quali, con notevole puntualità, il Photomaton viene citato come meravigliosa macchina produttrice di immagini. In questo saggio ci si sofferma sulla sequenza dedicata a una cabina per fototessere in Alice nelle città: analogie sorprendenti, sia nell’elaborazione teorica sia nella prassi poetica, giustificano l’accostamento tra il regista tedesco e l’artista concettuale italiano, non senza volgere un doveroso sguardo alle filosofiche ipotesi del tardo Heidegger. ABSTRACT. Since the 1920s, when it appeared in railway stations and on urban crossroads, the photobooth has managed to capture the attention of both laymen and artists. The catalogue of artists – painters, writers, photographers, installation and performance creators, as well as film and theatre directors – who were bowled over by this mysterious machine is teeming with names. Nonetheless, its huge success in the early 1970s leaves one somewhat astounded. The place of honour must surely go to the great Franco Vaccari, who created, for the 1972 Biennale di Venezia the legendary work Esposizione in tempo reale, which he then followed up in his operation Photomatic d’Italia. Amongst the many noteworthy works, Wim Wenders’s early films stand out, in which, with notable regularity, Photomatic is cited as marvelous image producing machine. This essay will focus on the sequence dedicated to a photo booth in Alice in the Cities: surprising analogies, both in their theoretical elaboration and in their poetic praxis, justify the juxtaposition between the German director and the Italian conceptual artist, not without duly glancing at the philosophical hypotheses of Heidegger’s later work.File | Dimensione | Formato | |
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