May Ayim (1960-1996) era nata e cresciuta in Germania. Si sentiva tedesca ed il suo tedesco era ineccepibile. Eppure, spesso si sentiva chiedere: Woher kommst du? ‘Di dove sei?’. La sua risposta «sono nata qui» di solito cadeva nel vuoto. Di conseguenza alla prima domanda faceva solitamente seguito una seconda: Wann gehst du zurück? ‘Quando torni a casa?’ (cfr. Ayim 2002: 108). Questo breve – e a prima vista assurdo – scambio dialogico diventa comprensibile se si tiene conto della persistente equiparazione fra nazione e popolo nell’immaginario collettivo: «After the Humboldts and the Grimms, ‹nation› had become the term that linked the linguistic-philological classification of cultural traditions and the anthropological classification of racial backgrounds» (Leerssen 2007: 379). La convinzione che una determinata nazione sia formata da un determinato popolo a sua volta implica che le persone della stessa nazionalità condividano gli stessi tratti somatici. Nel caso specifico, per essere riconosciuti come tedeschi il requisito sine qua non è quello di essere bianchi. May Ayim non lo era, in quanto oltre alla madre tedesca, aveva un padre ghanese. Perciò, agli occhi dei suoi connazionali era e rimaneva la straniera. Essere una persona di colore ancora oggi significa vivere quotidianamente rifiuto, emarginazione e discriminazione a causa di un razzismo più o meno celato. May Ayim di queste esperienze negative ha fatto la forza trainante della sua vita combattendole con il suo impegno civile, il suo lavoro e i suoi scritti. Proprio questa sua situazione esistenziale, cioè il colore della pelle, diventa infatti il motore della sua scrittura, sia letteraria sia di ricerca sociale.
Il filtro del colore: la scrittrice afro-tedesca May Ayim
RIEGER, MARIA ANTOINETTE
2009
Abstract
May Ayim (1960-1996) era nata e cresciuta in Germania. Si sentiva tedesca ed il suo tedesco era ineccepibile. Eppure, spesso si sentiva chiedere: Woher kommst du? ‘Di dove sei?’. La sua risposta «sono nata qui» di solito cadeva nel vuoto. Di conseguenza alla prima domanda faceva solitamente seguito una seconda: Wann gehst du zurück? ‘Quando torni a casa?’ (cfr. Ayim 2002: 108). Questo breve – e a prima vista assurdo – scambio dialogico diventa comprensibile se si tiene conto della persistente equiparazione fra nazione e popolo nell’immaginario collettivo: «After the Humboldts and the Grimms, ‹nation› had become the term that linked the linguistic-philological classification of cultural traditions and the anthropological classification of racial backgrounds» (Leerssen 2007: 379). La convinzione che una determinata nazione sia formata da un determinato popolo a sua volta implica che le persone della stessa nazionalità condividano gli stessi tratti somatici. Nel caso specifico, per essere riconosciuti come tedeschi il requisito sine qua non è quello di essere bianchi. May Ayim non lo era, in quanto oltre alla madre tedesca, aveva un padre ghanese. Perciò, agli occhi dei suoi connazionali era e rimaneva la straniera. Essere una persona di colore ancora oggi significa vivere quotidianamente rifiuto, emarginazione e discriminazione a causa di un razzismo più o meno celato. May Ayim di queste esperienze negative ha fatto la forza trainante della sua vita combattendole con il suo impegno civile, il suo lavoro e i suoi scritti. Proprio questa sua situazione esistenziale, cioè il colore della pelle, diventa infatti il motore della sua scrittura, sia letteraria sia di ricerca sociale.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.