La “lezione” più importante del libro "Scenari dello Stretto" è probabilmente quella ricordata nell’introduzione di Giandomenico Amendola: l’importanza della categoria della specificità nella ricerca sociale. Si tratta di una lezione quanto mai in sintonia con la sociologia del territorio, che riporta all’esi-genza di ragionare sempre sulle condizioni che legano determinati fenomeni. Queste condizioni possono essere molto diverse già a pochi chilometri di distanza, tanto più se c’è di mezzo uno stretto come in questo caso di studio. In tutta la prima parte del lavoro, anche se l’autrice non lo riprende esplicitamente, c’è poi l’impressione che abbia “fatto proprio” uno degli approcci adottato da Mario Small nel suo "Villa Victoria. Povertà e capitale sociale in un quartiere di Boston (2011): quello “storicamente informato”. L’importanza di conoscere il passato per capire il presente sembra emergere in modo netto, tant’è che l’autrice risale indietro di molti secoli pur di delineare alcuni elementi che hanno reso tanto diverse realtà vicine tra loro. Nelle prime pagine, rifacendosi ad Edgar Morin, Licia Lipari parla infatti di coesistenza di elementi differenti ed eterogenei nella re-gione mediterranea, talvolta contraddittori e talvolta complementari. Riprende poi anche Fernand Braudel e il suo riferimento a tre grandi civiltà che hanno caratterizzato la storia mediterranea: quella arabo-islamica, quella occidentale e quella orientale. Questa ricostruzione storica, naturalmente, ha un ruolo ben preciso che sembra proprio il “cuore” del lavoro di Licia Lipari: la ricerca delle specifiche risposte che i territori hanno dato alle sfide che hanno affrontato, da quelle più “storiche” a quelle più recenti come l’aumento della mobilità quotidiana di merci, capitali e individui, la diver-sità di funzioni tra le varie parti del territorio, la crescente interdipendenza tra di esse, ecc. Attraverso questo filo conduttore, l’autrice prova a capire chi ha saputo rispondere “meglio” e chi “peggio” a queste sfide, chi ha saputo emergere e chi è rimasto ai margini, chi si è reinventato e chi ha continuato nella direzione di sviluppo già intrapresa prima. Nella seconda parte del lavoro, l’attenzione si concentra sul Mediterraneo italiano, focalizzandosi sulle città metropolitane di Napoli, Bari e Cagliari. Il policentrismo viene indicato come chiave di lettura di questi territori e buona parte della ricerca è proprio legata a ricostruirne le variabili discriminanti, atraverso una mappatura per ricostruire criticità e opportunità degli ultimi anni nelle aree oggetto di studio, ricorrendo anche a fonti di dati satellitari (Corine Land Cover e Night Light) nonché all’uso delle tecnologie GIS. Emergono quindi realtà metropolitane assai diverse tra loro, ma ac-comunate da un inserimento debole nel comparto industriale prima e da una carenza di servizi innovativi e di diffusione di tecnologie avanzate poi. Il trasferimento di ingenti fondi statali ha inoltre creato la dipendenza delle economie locali da entrate esterne, favorendo quasi inevitabilmente problemi di clientelismo e di corruzione. Vengono infine a mancare, secondo l’analisi dell’autrice, due presupposti fondamentali per lo sviluppo di questi territori: la fiducia diffusa ed un tessuto sociale propositivo. Nella terza parte si studia quindi l’area dello Stretto, un’area che da Reggio Calabria giunge alla Piana di Gioia Tauro e alla Locride e che da Messina, attraverso flussi di pendolari e di merci, si dipana sino a Taormina e Giardini Naxos sulla costa ionica e sino a Brolo su quella tirrenica. Anche qui l’autrice fa una ricostruzione storica dell’area e ricostruisce i problemi del presente. Lo fa attraverso una serie di indicatori che le permettono di ricostruire la morfologia della popola-zione, delle principali attività economiche e dei flussi di persone e merci nell’area. Ne viene fuori un quadro con alcune centralità previste ed altre emergenti, con potenzialità e criticità ben diverse tra la zona reggina e quelle messinese nonostante ci sia solo un braccio di mare a separarle. Se questa è la situazione, che fare? Le risposte delle città ai processi di globalizzazione sono molteplici e l’area dello Stretto non fa certo eccezione. Con la sua compresenza di diverse velocità e modalità di sviluppo, può fare da punto privilegiato di dinamiche “tipiche” più in generale di molte regioni mediterranee, dalla mancanza di programmazione e coordinamento ai forti contrasti che compongono un circolo vizioso apparentemente senza uscita. Sicuramente, però, la sua natura policentrica può costituire un valore aggiunto, anche sembrano mancare quelli reti di complementarietà che rendono un’area più competitiva nel suo insieme (pp. 107-108). Ancora una volta, poi, si riversano delle speranze nel turismo, che nella zona è presente ma ha sicuramente molti margini di miglioramento vista anche la sua posizione strategica. In questo quadro così complesso, l’idea di “mediterraneità” e la coesistenza di differenze che la caratterizza potrebbe essere una chiave di volta capace di generare quel senso di appartenenza al territorio, oltre che rappresentare una ricorsa per lo sviluppo di un turismo rispettoso e responsabile (p. 127).
Gabriele Manella (2020). Lipari L. Scenari dello Stretto. Attrattività, mutamenti e nuova morfologia socio-territoriale. Milano: Franco Angeli, 2019. SOCIOLOGIA URBANA E RURALE., 121, 161-162 [10.3280/SUR2020-121012].
Lipari L. Scenari dello Stretto. Attrattività, mutamenti e nuova morfologia socio-territoriale. Milano: Franco Angeli, 2019.
Gabriele Manella
2020
Abstract
La “lezione” più importante del libro "Scenari dello Stretto" è probabilmente quella ricordata nell’introduzione di Giandomenico Amendola: l’importanza della categoria della specificità nella ricerca sociale. Si tratta di una lezione quanto mai in sintonia con la sociologia del territorio, che riporta all’esi-genza di ragionare sempre sulle condizioni che legano determinati fenomeni. Queste condizioni possono essere molto diverse già a pochi chilometri di distanza, tanto più se c’è di mezzo uno stretto come in questo caso di studio. In tutta la prima parte del lavoro, anche se l’autrice non lo riprende esplicitamente, c’è poi l’impressione che abbia “fatto proprio” uno degli approcci adottato da Mario Small nel suo "Villa Victoria. Povertà e capitale sociale in un quartiere di Boston (2011): quello “storicamente informato”. L’importanza di conoscere il passato per capire il presente sembra emergere in modo netto, tant’è che l’autrice risale indietro di molti secoli pur di delineare alcuni elementi che hanno reso tanto diverse realtà vicine tra loro. Nelle prime pagine, rifacendosi ad Edgar Morin, Licia Lipari parla infatti di coesistenza di elementi differenti ed eterogenei nella re-gione mediterranea, talvolta contraddittori e talvolta complementari. Riprende poi anche Fernand Braudel e il suo riferimento a tre grandi civiltà che hanno caratterizzato la storia mediterranea: quella arabo-islamica, quella occidentale e quella orientale. Questa ricostruzione storica, naturalmente, ha un ruolo ben preciso che sembra proprio il “cuore” del lavoro di Licia Lipari: la ricerca delle specifiche risposte che i territori hanno dato alle sfide che hanno affrontato, da quelle più “storiche” a quelle più recenti come l’aumento della mobilità quotidiana di merci, capitali e individui, la diver-sità di funzioni tra le varie parti del territorio, la crescente interdipendenza tra di esse, ecc. Attraverso questo filo conduttore, l’autrice prova a capire chi ha saputo rispondere “meglio” e chi “peggio” a queste sfide, chi ha saputo emergere e chi è rimasto ai margini, chi si è reinventato e chi ha continuato nella direzione di sviluppo già intrapresa prima. Nella seconda parte del lavoro, l’attenzione si concentra sul Mediterraneo italiano, focalizzandosi sulle città metropolitane di Napoli, Bari e Cagliari. Il policentrismo viene indicato come chiave di lettura di questi territori e buona parte della ricerca è proprio legata a ricostruirne le variabili discriminanti, atraverso una mappatura per ricostruire criticità e opportunità degli ultimi anni nelle aree oggetto di studio, ricorrendo anche a fonti di dati satellitari (Corine Land Cover e Night Light) nonché all’uso delle tecnologie GIS. Emergono quindi realtà metropolitane assai diverse tra loro, ma ac-comunate da un inserimento debole nel comparto industriale prima e da una carenza di servizi innovativi e di diffusione di tecnologie avanzate poi. Il trasferimento di ingenti fondi statali ha inoltre creato la dipendenza delle economie locali da entrate esterne, favorendo quasi inevitabilmente problemi di clientelismo e di corruzione. Vengono infine a mancare, secondo l’analisi dell’autrice, due presupposti fondamentali per lo sviluppo di questi territori: la fiducia diffusa ed un tessuto sociale propositivo. Nella terza parte si studia quindi l’area dello Stretto, un’area che da Reggio Calabria giunge alla Piana di Gioia Tauro e alla Locride e che da Messina, attraverso flussi di pendolari e di merci, si dipana sino a Taormina e Giardini Naxos sulla costa ionica e sino a Brolo su quella tirrenica. Anche qui l’autrice fa una ricostruzione storica dell’area e ricostruisce i problemi del presente. Lo fa attraverso una serie di indicatori che le permettono di ricostruire la morfologia della popola-zione, delle principali attività economiche e dei flussi di persone e merci nell’area. Ne viene fuori un quadro con alcune centralità previste ed altre emergenti, con potenzialità e criticità ben diverse tra la zona reggina e quelle messinese nonostante ci sia solo un braccio di mare a separarle. Se questa è la situazione, che fare? Le risposte delle città ai processi di globalizzazione sono molteplici e l’area dello Stretto non fa certo eccezione. Con la sua compresenza di diverse velocità e modalità di sviluppo, può fare da punto privilegiato di dinamiche “tipiche” più in generale di molte regioni mediterranee, dalla mancanza di programmazione e coordinamento ai forti contrasti che compongono un circolo vizioso apparentemente senza uscita. Sicuramente, però, la sua natura policentrica può costituire un valore aggiunto, anche sembrano mancare quelli reti di complementarietà che rendono un’area più competitiva nel suo insieme (pp. 107-108). Ancora una volta, poi, si riversano delle speranze nel turismo, che nella zona è presente ma ha sicuramente molti margini di miglioramento vista anche la sua posizione strategica. In questo quadro così complesso, l’idea di “mediterraneità” e la coesistenza di differenze che la caratterizza potrebbe essere una chiave di volta capace di generare quel senso di appartenenza al territorio, oltre che rappresentare una ricorsa per lo sviluppo di un turismo rispettoso e responsabile (p. 127).File | Dimensione | Formato | |
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