Il libro di Sarah Siciliano alimenta un dibattito già consolidato tra la sociologia del territorio e quella dei processi culturali e comunicativi. Si caratterizza però per alcune efficaci metafore e intelligenti provocazioni; attraverso di queste, e con l’aiuto di tre casi studio, l’autrice riflette in modo originale sul rapporto tra territorio e web, e soprattutto sulle potenzialità di quest’ultimo per rilanciare il primo. L’aspetto di originalità più rilevante, forse, sta proprio nell’uso metaforico che fa l’autrice delle due logiche del web, quella 1.0 e quella 2.0. Se il web 1.0 è un grande appezzamento di terreno in cui ognuno costruisce il proprio orticello che separa dagli altri attraverso un muro di cinta, il web 2.0 è un orto comune in cui ciascun individuo lavora insieme per coltivarlo (p. 41). Ecco quindi che quest’ultimo diventa una metafora del mondo in cui viviamo, dove gli attori sociali possono e vogliono contribuire attivamente a costruire ed accrescere il valore dei luoghi, diventando sia creatori sia fruitori di conoscenze. Il tema della comunità e del cambiamento sociale emergono con forza in questo ragionamento, e sono infatti il focus della prima parte del libro. L’autrice ricostruisce così i due principali aspetti della comunità nel dibattito sociologico: quello territoriale e quello relazionale. Oggi, però, nel mondo dei legami liquidi efficacemente descritto da Bauman, la coincidenza tra i due diventa sempre più labile, perché significati e valori condivisi possono accomunare i singoli membri dovunque essi siano. L’importate però è che ci sia comunicazione: senza di questa non solo “non esistiamo” come esseri umani, ma non ci è neanche possibile alimentare quel capitale sociale che l’autrice intende nell’accezione di Putnam: un collante tra individui che condividono degli interessi e che favorisce la costruzione, il mantenimento e il rafforzamento di relazioni. Qual è allora il “posto del territorio” in questo approccio? L’autrice sembra individuarlo proprio nel concetto di ri-mediazione dei luoghi, che definisce come la traduzione dello spazio fisico in un ambiente virtuale performativo, frutto di una produzione sociale (p. 29). Questa ri-mediazione non solo proietta un patrimonio locale su una scala di visibilità globale, ma offre anche un’inedita possibilità per gli utenti di riappropriarsi dei luoghi che vivono o fruiscono, contribuendo così a crearne una nuova narrazione. Queste ipotesi vengono verificate attraverso gli studi del Lab.COM Unisalento, che hanno esplorato e studiato cinquanta piattaforme web. L’autrice ne seleziona tre, che analizza attraverso una scheda di lettura realizzata combinando il protocollo Altheide, le dieci euristiche di Nielsen e i dieci principi per la qualità dei siti web culturali individuati dal gruppo MINERVA (rete voluta dalla Commissione Europea e presieduta del Ministero per i Beni e le Attività Culturali italiano). Ricordo infine una delle provocazioni più interessanti dell’autrice: quella per cui la vita quotidiana ai tempi del web 2.0 dovrebbe avvicinarsi sempre più all’etica degli hacker, «persone che programmano con entusiasmo» e «ritengono che la condivisione delle informazioni sia un bene positivo di formidabile efficacia, e che sia un dovere etico condividere le loro competenze scrivendo free software e facilitando l’accesso alle informazioni e alle risorse di calcolo ogni qualvolta sia possibile» (p. 59-60). La ri-mediazione dei luoghi prevede questo spirito, ed il web 2.0 sarebbe il mezzo per arrivarci. Lo studio svolto rivela però che, più che un cambiamento tecnologico, serve un cambiamento culturale; per questo, forse, molto non sono ancora pronti.
Gabriele Manella (2019). Sarah Siciliano, Ri-mediare i luoghi. Comunità e cambiamento sociale. FUORI LUOGO, 5(1), 89-90.
Sarah Siciliano, Ri-mediare i luoghi. Comunità e cambiamento sociale
Gabriele Manella
2019
Abstract
Il libro di Sarah Siciliano alimenta un dibattito già consolidato tra la sociologia del territorio e quella dei processi culturali e comunicativi. Si caratterizza però per alcune efficaci metafore e intelligenti provocazioni; attraverso di queste, e con l’aiuto di tre casi studio, l’autrice riflette in modo originale sul rapporto tra territorio e web, e soprattutto sulle potenzialità di quest’ultimo per rilanciare il primo. L’aspetto di originalità più rilevante, forse, sta proprio nell’uso metaforico che fa l’autrice delle due logiche del web, quella 1.0 e quella 2.0. Se il web 1.0 è un grande appezzamento di terreno in cui ognuno costruisce il proprio orticello che separa dagli altri attraverso un muro di cinta, il web 2.0 è un orto comune in cui ciascun individuo lavora insieme per coltivarlo (p. 41). Ecco quindi che quest’ultimo diventa una metafora del mondo in cui viviamo, dove gli attori sociali possono e vogliono contribuire attivamente a costruire ed accrescere il valore dei luoghi, diventando sia creatori sia fruitori di conoscenze. Il tema della comunità e del cambiamento sociale emergono con forza in questo ragionamento, e sono infatti il focus della prima parte del libro. L’autrice ricostruisce così i due principali aspetti della comunità nel dibattito sociologico: quello territoriale e quello relazionale. Oggi, però, nel mondo dei legami liquidi efficacemente descritto da Bauman, la coincidenza tra i due diventa sempre più labile, perché significati e valori condivisi possono accomunare i singoli membri dovunque essi siano. L’importate però è che ci sia comunicazione: senza di questa non solo “non esistiamo” come esseri umani, ma non ci è neanche possibile alimentare quel capitale sociale che l’autrice intende nell’accezione di Putnam: un collante tra individui che condividono degli interessi e che favorisce la costruzione, il mantenimento e il rafforzamento di relazioni. Qual è allora il “posto del territorio” in questo approccio? L’autrice sembra individuarlo proprio nel concetto di ri-mediazione dei luoghi, che definisce come la traduzione dello spazio fisico in un ambiente virtuale performativo, frutto di una produzione sociale (p. 29). Questa ri-mediazione non solo proietta un patrimonio locale su una scala di visibilità globale, ma offre anche un’inedita possibilità per gli utenti di riappropriarsi dei luoghi che vivono o fruiscono, contribuendo così a crearne una nuova narrazione. Queste ipotesi vengono verificate attraverso gli studi del Lab.COM Unisalento, che hanno esplorato e studiato cinquanta piattaforme web. L’autrice ne seleziona tre, che analizza attraverso una scheda di lettura realizzata combinando il protocollo Altheide, le dieci euristiche di Nielsen e i dieci principi per la qualità dei siti web culturali individuati dal gruppo MINERVA (rete voluta dalla Commissione Europea e presieduta del Ministero per i Beni e le Attività Culturali italiano). Ricordo infine una delle provocazioni più interessanti dell’autrice: quella per cui la vita quotidiana ai tempi del web 2.0 dovrebbe avvicinarsi sempre più all’etica degli hacker, «persone che programmano con entusiasmo» e «ritengono che la condivisione delle informazioni sia un bene positivo di formidabile efficacia, e che sia un dovere etico condividere le loro competenze scrivendo free software e facilitando l’accesso alle informazioni e alle risorse di calcolo ogni qualvolta sia possibile» (p. 59-60). La ri-mediazione dei luoghi prevede questo spirito, ed il web 2.0 sarebbe il mezzo per arrivarci. Lo studio svolto rivela però che, più che un cambiamento tecnologico, serve un cambiamento culturale; per questo, forse, molto non sono ancora pronti.File | Dimensione | Formato | |
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