Fin dal passaggio tra Otto e Novecento, l’attenzione alla salute della donna nell’ambiente industriale si dimostrò ben presente nel dibattito medico-scientifico ed ebbe, però, come preoccupazione prevalente il tema della procreazione e della salute dei nascituri. Il punto centrale non era combattere lo sfruttamento e migliorare le condizioni di lavoro delle operaie, ma sottolineare e stigmatizzare i problemi che ne potevano sorgere in termini di riduzione della fertilità e di salute dei figli, in una cornice generale di diffidenza e di contrarietà verso il lavoro extradomestico delle donne. Nonostante questi limiti, la stagione riformatrice di inizio Novecento, alla quale è dedicato il primo paragrafo del saggio, ebbe comunque il merito di porre il tema della salute nei luoghi di lavoro come questione sociale di primaria importanza. Nel clima autoritario tra le due guerre mondiali emerse il rapporto tra medicina del lavoro, selezione del personale e controllo sociale, che viene tematizzato nel secondo paragrafo del saggio. Per quanto concerne la relazione tra genere e salute, l’approccio del fascismo trovò radicamento in un terreno culturale preesistente. Le pesanti continuità che si misurano nella transizione tra fascismo e Repubblica (descritte e analizzate nel paragrafo terzo del saggio), conoscono una cesura fondamentale tra anni Sessanta e Settanta, quando cominciò a prendere forma una critica al femminile all’operato dei medici di fabbrica. La nuova stagione della medicina del lavoro che si aprì nella seconda metà degli anni Sessanta viene qui affrontata nel quarto paragrafo del saggio. Un rinnovamento non risolutivo che lascerà ancora negli ultimi decenni del Novecento alcune questioni in sospeso nella definizione stessa dei contorni giuridici e professionali del medico di fabbrica.

L’evoluzione della medicina del lavoro e la figura del medico di fabbrica nel Novecento

Carlo De Maria
2020

Abstract

Fin dal passaggio tra Otto e Novecento, l’attenzione alla salute della donna nell’ambiente industriale si dimostrò ben presente nel dibattito medico-scientifico ed ebbe, però, come preoccupazione prevalente il tema della procreazione e della salute dei nascituri. Il punto centrale non era combattere lo sfruttamento e migliorare le condizioni di lavoro delle operaie, ma sottolineare e stigmatizzare i problemi che ne potevano sorgere in termini di riduzione della fertilità e di salute dei figli, in una cornice generale di diffidenza e di contrarietà verso il lavoro extradomestico delle donne. Nonostante questi limiti, la stagione riformatrice di inizio Novecento, alla quale è dedicato il primo paragrafo del saggio, ebbe comunque il merito di porre il tema della salute nei luoghi di lavoro come questione sociale di primaria importanza. Nel clima autoritario tra le due guerre mondiali emerse il rapporto tra medicina del lavoro, selezione del personale e controllo sociale, che viene tematizzato nel secondo paragrafo del saggio. Per quanto concerne la relazione tra genere e salute, l’approccio del fascismo trovò radicamento in un terreno culturale preesistente. Le pesanti continuità che si misurano nella transizione tra fascismo e Repubblica (descritte e analizzate nel paragrafo terzo del saggio), conoscono una cesura fondamentale tra anni Sessanta e Settanta, quando cominciò a prendere forma una critica al femminile all’operato dei medici di fabbrica. La nuova stagione della medicina del lavoro che si aprì nella seconda metà degli anni Sessanta viene qui affrontata nel quarto paragrafo del saggio. Un rinnovamento non risolutivo che lascerà ancora negli ultimi decenni del Novecento alcune questioni in sospeso nella definizione stessa dei contorni giuridici e professionali del medico di fabbrica.
2020
Genere, salute e lavoro dal fascismo alla Repubblica. Spazi urbani e contesti industriali
21
40
Carlo De Maria
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