Parlare della responsabilità sociale dell’università nel nuovo contesto “post-ideologico” significa fare i conti con l’assenza di un paradigma ampiamente condiviso. L’analisi della realtà del nostro tempo fa oggi i conti con l’usura consumistica e ideologica dei tempi moderni. Il clima culturale appare sempre più spesso rispecchiare un vuoto, l’assenza di una paideia. Una assenza che non ha solo radici epistemologiche, generate dalla difficoltà di interpretare adeguatamente la realtà contemporanea, ma che va ad intrecciarsi con la costante proposta di modelli e paradigmi “nuovi” prodotti all’interno della dinamica dell’industria culturale e della loro competizione, mediatica prima ancora che espistemica. La questione della definizione della società non è priva di conseguenze sul piano epistemologico e sul piano educativo. Tuttavia la questione decisiva va colta nell’uso strumentale della comunicazione e del suo potere di persuasione, al fine di realizzare una piena egemonia culturale. Questo potere persuasivo, e perciò di consenso e di scelta politica, come nell’età della sofistica (il passaggio dalle armi della retorica a quelle dell’imbonimento televisivo non muta i termini di una questione che è “politica” e “metafisica” al tempo stesso, come già Platone nel Sofista metteva in evidenza) si gioca nella dimensione della comunicazione e cioè del linguaggio, delle sue tecniche e della loro valenza “ideologica”. Ed usare una determinata terminologia, per definire la società e i suoi problemi sociali, ha una notevole implicazione nella definizione dei suoi processi formativi, degli obbiettivi conseguenti. La definizione del tipo di uomo, del genere di umanità desiderata e desiderabile ha piena cittadinanza nella riflessione pedagogica, e in questo senso interessa alla pedagogia comprendere pienamente le implicazioni di alcune scelte epistemologiche e di paradigmi sorti in altri contesti disciplinari affini e/o contigui. In particolare riguardo alla definizione dell’Università e delle sue responsabilità sociali. Affermare che il problema dell’università oggi è quello di allargare la base culturale e di contribuire allo sviluppo significa definirne i compiti e definire le figure professionali al suo interno. In una fase storica nella quale si rileva un mutamento di governante del sistema universitario che possiamo metaforicamente (ma non troppo) avvicinare al modello taylorista delle fabbriche di Ford nel primo Novecento c’è proprio da ripensare alle stesse figure di ricercatore e di docente universitario, tenendo conto che proprio nell’Università esistono archetipi e figure mal disposte alla standardizzazione imperante nell’era del taylorismo applicato ai processi formativi. Tuttavia alcune parole d’ordine come “capitale culturale” e “società della conoscenza” hanno buone possibilità di raccogliere consenso e aggregare progetti differenti proprio per la mancanza di quella chiarificazione dialettica cui già Socrate collocava il falso sapere (il sofista). Non è casuale il riferimento ad una delle figure vive della nostra storia culturale che da secoli rappresenta il modello intellettuale che ha ben sintetizzato la tensione etica verso il bene e il vero che dovrebbe animare la ricerca intellettuale. La ricerca è responsabile in primo luogo verso ciò che è bene e che tale è riconosciuto dall’intellettuale a volte anche contro l’opinione dei più e gli interessi “immediati” di alcuni.

CAPUTO M. (2008). Ricerca scientifica e responsabilità sociale: riflessioni epistemologiche e deontologiche sulla professione intellettuale. LECCE : Pensa MultiMedia Editore.

Ricerca scientifica e responsabilità sociale: riflessioni epistemologiche e deontologiche sulla professione intellettuale

CAPUTO, MICHELE
2008

Abstract

Parlare della responsabilità sociale dell’università nel nuovo contesto “post-ideologico” significa fare i conti con l’assenza di un paradigma ampiamente condiviso. L’analisi della realtà del nostro tempo fa oggi i conti con l’usura consumistica e ideologica dei tempi moderni. Il clima culturale appare sempre più spesso rispecchiare un vuoto, l’assenza di una paideia. Una assenza che non ha solo radici epistemologiche, generate dalla difficoltà di interpretare adeguatamente la realtà contemporanea, ma che va ad intrecciarsi con la costante proposta di modelli e paradigmi “nuovi” prodotti all’interno della dinamica dell’industria culturale e della loro competizione, mediatica prima ancora che espistemica. La questione della definizione della società non è priva di conseguenze sul piano epistemologico e sul piano educativo. Tuttavia la questione decisiva va colta nell’uso strumentale della comunicazione e del suo potere di persuasione, al fine di realizzare una piena egemonia culturale. Questo potere persuasivo, e perciò di consenso e di scelta politica, come nell’età della sofistica (il passaggio dalle armi della retorica a quelle dell’imbonimento televisivo non muta i termini di una questione che è “politica” e “metafisica” al tempo stesso, come già Platone nel Sofista metteva in evidenza) si gioca nella dimensione della comunicazione e cioè del linguaggio, delle sue tecniche e della loro valenza “ideologica”. Ed usare una determinata terminologia, per definire la società e i suoi problemi sociali, ha una notevole implicazione nella definizione dei suoi processi formativi, degli obbiettivi conseguenti. La definizione del tipo di uomo, del genere di umanità desiderata e desiderabile ha piena cittadinanza nella riflessione pedagogica, e in questo senso interessa alla pedagogia comprendere pienamente le implicazioni di alcune scelte epistemologiche e di paradigmi sorti in altri contesti disciplinari affini e/o contigui. In particolare riguardo alla definizione dell’Università e delle sue responsabilità sociali. Affermare che il problema dell’università oggi è quello di allargare la base culturale e di contribuire allo sviluppo significa definirne i compiti e definire le figure professionali al suo interno. In una fase storica nella quale si rileva un mutamento di governante del sistema universitario che possiamo metaforicamente (ma non troppo) avvicinare al modello taylorista delle fabbriche di Ford nel primo Novecento c’è proprio da ripensare alle stesse figure di ricercatore e di docente universitario, tenendo conto che proprio nell’Università esistono archetipi e figure mal disposte alla standardizzazione imperante nell’era del taylorismo applicato ai processi formativi. Tuttavia alcune parole d’ordine come “capitale culturale” e “società della conoscenza” hanno buone possibilità di raccogliere consenso e aggregare progetti differenti proprio per la mancanza di quella chiarificazione dialettica cui già Socrate collocava il falso sapere (il sofista). Non è casuale il riferimento ad una delle figure vive della nostra storia culturale che da secoli rappresenta il modello intellettuale che ha ben sintetizzato la tensione etica verso il bene e il vero che dovrebbe animare la ricerca intellettuale. La ricerca è responsabile in primo luogo verso ciò che è bene e che tale è riconosciuto dall’intellettuale a volte anche contro l’opinione dei più e gli interessi “immediati” di alcuni.
2008
La responsabilità sociale dell'Università per le Professioni. Atti della VI Biennale Internazionale sulla Didattica Universitaria. Padova, 13-15 dicembre 2006
135
142
CAPUTO M. (2008). Ricerca scientifica e responsabilità sociale: riflessioni epistemologiche e deontologiche sulla professione intellettuale. LECCE : Pensa MultiMedia Editore.
CAPUTO M.
File in questo prodotto:
Eventuali allegati, non sono esposti

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/74171
 Attenzione

Attenzione! I dati visualizzati non sono stati sottoposti a validazione da parte dell'ateneo

Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact