L'espressione “avanguardia” precede quella di "Nuovo Teatro" e sia l'una che l'altra corrispondono a fenomeni storici distinti. Indubitabile e oggettiva se applicata al Novecento nel complesso, questa semplice asserzione, di carattere terminologico, storico e storiografico, aderisce in modo molto più incerto e problematico agli eventi che riguardano gli indirizzi della cultura teatrale a partire dal Convegno di Ivrea del '68. In questo più circoscritto campo d'osservazione, l'espressione “Nuovo Teatro” viene prima del decisivo recupero della nozione di “avanguardia”, che viene generalmente utilizzata come etichetta preposta alle contemporanee innovazioni artistiche solo a partire dall'edizione dei due fortunati volumi di Franco Quadri L'Avanguardia teatrale in Italia (materiali 1960-1976), (Torino, Einaudi, 1977). Poi, intorno al 1987, le puntualizzazioni di De Marinis e dello stesso Quadri avrebbero nuovamente cambiato le carte in tavola rilanciando l'espressione Nuovo Teatro in quanto nozione a larghe maglie, elastica e capiente. Schematizzando, vediamo emergere, col Convegno di Ivrea, la nozione guida di Nuovo Teatro; a questa, a circa dieci anni di distanza, subentra il concetto di avanguardia (espressione già storica e riattivata dallo sperimentalismo linguistico delle pratiche sceniche); ancora dieci anni, e neppure il connaturato eclettismo del termine avanguardia evita la sua sostituzione con la nozione, ancora più capiente e sincretica, di Nuovo Teatro. Poiché le parole hanno sempre a che fare con le svolte delle storia, sia che le registrino sia che vi partecipino, il presente contributo si propone di analizzare gli usi strategici di Nuovo Teatro e di avanguardia, confrontando tali nozioni ai posizionamenti culturali del teatro d'innovazione negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta. Nel primo decennio, la coabitazione di istanze linguistiche e politiche suggerisce l'adozione d'una etichetta – quale, appunto, Nuovo Teatro – non apertamente schierata a favore dei valori puramente artistici; nel secondo, l'eclissi del teatro ideologico e il riflusso nel privato lascia il campo libero alle categorie culturali dell'avanguardia; nel terzo, la pressione esercitata dai gruppi emergenti e l'imporsi di distinti modelli teatrali, ora strettamente connessi al vivere del mondo sociale ora assorbiti dalla ricerca dei principi e dall'affermazione del nuovo, riporta in auge l'esigenza d'una etichetta meno culturalmente connotata e tendenzialmente onnicomprensiva. Per Giuseppe Bartolucci, la nozione di Nuove Teatro include sia l'apparire di inedite pratiche di "scrittura scenica" che le poetiche del teatro ragazzi, mentre quella di avanguardia separa la trasformazione dei linguaggi dall'intereventismo sociale dei gruppi di base. In modo analogo, per Franco Quadri, l'etichetta Nuovo Teatro comprende tanto le tradizioni del nuovo che il teatro politico di Dario Fo, mentre il rilancio delle avanguardie comporta un riassetto storiografico, che individua in Carmelo Bene l'origine e il riferimento della svolta teatrale italiana. Piuttosto, le divergenze fra i due influenti critici si producono allorchè Quadri, nel celebre saggio Avanguardia? Nuovo teatro (in AA. VV., Le forze in campo, Modena, Mucchi, 1987), torna ad aprirsi alle varientà del contemporaneo e festeggia il ritorno al testo. Scelta che avrebbe influito sulle scelte editoriali della Ubulibri, sull'impatto teatrale del Premio Riccione e sulle fasi di apprendistato e lancio scenico dei giovani drammaturghi degli anni Novanta. All'opposto, Bartolucci risponde alla riproposizione della nozione di "Nuovo Teatro" con il radicalismo delle "postavanguardie" e avvalorando la rimozione storiografica degli anni Ottanta.

Usi strategici delle espressioni Nuovo Teatro e avanguardia quali concetti guida delle leve emergenti negli anni Sessanta, Settanta, Ottanta.

Gerardo Guccini
2019

Abstract

L'espressione “avanguardia” precede quella di "Nuovo Teatro" e sia l'una che l'altra corrispondono a fenomeni storici distinti. Indubitabile e oggettiva se applicata al Novecento nel complesso, questa semplice asserzione, di carattere terminologico, storico e storiografico, aderisce in modo molto più incerto e problematico agli eventi che riguardano gli indirizzi della cultura teatrale a partire dal Convegno di Ivrea del '68. In questo più circoscritto campo d'osservazione, l'espressione “Nuovo Teatro” viene prima del decisivo recupero della nozione di “avanguardia”, che viene generalmente utilizzata come etichetta preposta alle contemporanee innovazioni artistiche solo a partire dall'edizione dei due fortunati volumi di Franco Quadri L'Avanguardia teatrale in Italia (materiali 1960-1976), (Torino, Einaudi, 1977). Poi, intorno al 1987, le puntualizzazioni di De Marinis e dello stesso Quadri avrebbero nuovamente cambiato le carte in tavola rilanciando l'espressione Nuovo Teatro in quanto nozione a larghe maglie, elastica e capiente. Schematizzando, vediamo emergere, col Convegno di Ivrea, la nozione guida di Nuovo Teatro; a questa, a circa dieci anni di distanza, subentra il concetto di avanguardia (espressione già storica e riattivata dallo sperimentalismo linguistico delle pratiche sceniche); ancora dieci anni, e neppure il connaturato eclettismo del termine avanguardia evita la sua sostituzione con la nozione, ancora più capiente e sincretica, di Nuovo Teatro. Poiché le parole hanno sempre a che fare con le svolte delle storia, sia che le registrino sia che vi partecipino, il presente contributo si propone di analizzare gli usi strategici di Nuovo Teatro e di avanguardia, confrontando tali nozioni ai posizionamenti culturali del teatro d'innovazione negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta. Nel primo decennio, la coabitazione di istanze linguistiche e politiche suggerisce l'adozione d'una etichetta – quale, appunto, Nuovo Teatro – non apertamente schierata a favore dei valori puramente artistici; nel secondo, l'eclissi del teatro ideologico e il riflusso nel privato lascia il campo libero alle categorie culturali dell'avanguardia; nel terzo, la pressione esercitata dai gruppi emergenti e l'imporsi di distinti modelli teatrali, ora strettamente connessi al vivere del mondo sociale ora assorbiti dalla ricerca dei principi e dall'affermazione del nuovo, riporta in auge l'esigenza d'una etichetta meno culturalmente connotata e tendenzialmente onnicomprensiva. Per Giuseppe Bartolucci, la nozione di Nuove Teatro include sia l'apparire di inedite pratiche di "scrittura scenica" che le poetiche del teatro ragazzi, mentre quella di avanguardia separa la trasformazione dei linguaggi dall'intereventismo sociale dei gruppi di base. In modo analogo, per Franco Quadri, l'etichetta Nuovo Teatro comprende tanto le tradizioni del nuovo che il teatro politico di Dario Fo, mentre il rilancio delle avanguardie comporta un riassetto storiografico, che individua in Carmelo Bene l'origine e il riferimento della svolta teatrale italiana. Piuttosto, le divergenze fra i due influenti critici si producono allorchè Quadri, nel celebre saggio Avanguardia? Nuovo teatro (in AA. VV., Le forze in campo, Modena, Mucchi, 1987), torna ad aprirsi alle varientà del contemporaneo e festeggia il ritorno al testo. Scelta che avrebbe influito sulle scelte editoriali della Ubulibri, sull'impatto teatrale del Premio Riccione e sulle fasi di apprendistato e lancio scenico dei giovani drammaturghi degli anni Novanta. All'opposto, Bartolucci risponde alla riproposizione della nozione di "Nuovo Teatro" con il radicalismo delle "postavanguardie" e avvalorando la rimozione storiografica degli anni Ottanta.
2019
Gerardo Guccini
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/736476
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