In due lettere, ancora inedite, che risalgono ai primi mesi del 1972, Leda Vaccaro, compagna dell’architetto (che era scomparso neppure due anni prima), tratteggiava con ponderata saggezza i caratteri salienti delle architetture di Giuseppe (famigliarmente chiamato Peppino) e a proposito delle realizzazioni degli anni Trenta – la Scuola di Ingegneria a Bologna e il Palazzo delle Poste a Napoli – scriveva che questi “furono i primi edifici che indicarono il suo stile … più libero il primo, e più vincolato a costruzioni d’ambiente cittadino il secondo”. Per entrambi, Leda faceva notare quanto quelli rappresentassero la risoluzione moderna di una tradizione ottocentesca, a cui il progettista non poteva che dare una risposta in chiave monumentale. C’è poco da aggiungere a queste frasi, degne di uno storico, scritte da qualcuno che aveva conosciuto da vicino il lavoro del professionista e la limpida coscienza dell’uomo. Nelle parole di Leda si coglie l’essenza di quei progetti e il senso dei due registri, che guidavano allora (né furono successivamente disattesi) il lavoro progettuale di Vaccaro: l’adesione sincera allo “stile” moderno e la sua profonda conoscenza di quel proto-razionalismo ottocentesco, di cui la scuola bolognese, in cui era stato educato, era stato un solido baluardo. Nel percorso di conoscenza della figura di Vaccaro si colloca la realizzazione, presso il Laboratorio di modellistica della Facoltà di Architettura, del modello, in scala 1:200, dell’edificio della Scuola di Ingegneria. Si tratta di una ricostruzione filologica, sulla base di disegni d’archivio, di foto d’epoca e di una restituzione in digitale, dell’oggetto architettonico nel suo impianto originale, una condizione quest’ultima assai manomessa, purtroppo, da successivi ampliamenti e modificazioni sia volumetriche, sia ambientali. Il modello ha permesso ai ricercatori di prendere coscienza di alcuni dispositivi progettuali altrimenti poco percepibili; valga per tutti la scoperta della diversità dimensionale dei tipi di serramenti impiegati dall’architetto, diversità necessaria per adeguarsi al ritmo della maglia strutturale e alle specificità funzionali degli ambienti. Chiudo queste brevi note riportando un giudizio di Bruno Zevi, che aveva conosciuto Vaccaro assai bene, e che in questa ricerca, di cui le tappe sono appena state tracciate, ci ha guidato: “Negli anni Trenta fu un rigoroso razionalista … Più tardi, lavorò sempre con onestà ed è morto povero. Credo dunque che sia una figura che merita di essere studiata, anche perché il suo iter è tipico dei migliori architetti italiani”.

M. Casciato (2008). Appunti per una ricerca su Giuseppe Vaccaro (Bologna 1896 – Roma 1970). GRAPHIE, X, 34-37.

Appunti per una ricerca su Giuseppe Vaccaro (Bologna 1896 – Roma 1970)

CASCIATO, MARISTELLA
2008

Abstract

In due lettere, ancora inedite, che risalgono ai primi mesi del 1972, Leda Vaccaro, compagna dell’architetto (che era scomparso neppure due anni prima), tratteggiava con ponderata saggezza i caratteri salienti delle architetture di Giuseppe (famigliarmente chiamato Peppino) e a proposito delle realizzazioni degli anni Trenta – la Scuola di Ingegneria a Bologna e il Palazzo delle Poste a Napoli – scriveva che questi “furono i primi edifici che indicarono il suo stile … più libero il primo, e più vincolato a costruzioni d’ambiente cittadino il secondo”. Per entrambi, Leda faceva notare quanto quelli rappresentassero la risoluzione moderna di una tradizione ottocentesca, a cui il progettista non poteva che dare una risposta in chiave monumentale. C’è poco da aggiungere a queste frasi, degne di uno storico, scritte da qualcuno che aveva conosciuto da vicino il lavoro del professionista e la limpida coscienza dell’uomo. Nelle parole di Leda si coglie l’essenza di quei progetti e il senso dei due registri, che guidavano allora (né furono successivamente disattesi) il lavoro progettuale di Vaccaro: l’adesione sincera allo “stile” moderno e la sua profonda conoscenza di quel proto-razionalismo ottocentesco, di cui la scuola bolognese, in cui era stato educato, era stato un solido baluardo. Nel percorso di conoscenza della figura di Vaccaro si colloca la realizzazione, presso il Laboratorio di modellistica della Facoltà di Architettura, del modello, in scala 1:200, dell’edificio della Scuola di Ingegneria. Si tratta di una ricostruzione filologica, sulla base di disegni d’archivio, di foto d’epoca e di una restituzione in digitale, dell’oggetto architettonico nel suo impianto originale, una condizione quest’ultima assai manomessa, purtroppo, da successivi ampliamenti e modificazioni sia volumetriche, sia ambientali. Il modello ha permesso ai ricercatori di prendere coscienza di alcuni dispositivi progettuali altrimenti poco percepibili; valga per tutti la scoperta della diversità dimensionale dei tipi di serramenti impiegati dall’architetto, diversità necessaria per adeguarsi al ritmo della maglia strutturale e alle specificità funzionali degli ambienti. Chiudo queste brevi note riportando un giudizio di Bruno Zevi, che aveva conosciuto Vaccaro assai bene, e che in questa ricerca, di cui le tappe sono appena state tracciate, ci ha guidato: “Negli anni Trenta fu un rigoroso razionalista … Più tardi, lavorò sempre con onestà ed è morto povero. Credo dunque che sia una figura che merita di essere studiata, anche perché il suo iter è tipico dei migliori architetti italiani”.
2008
M. Casciato (2008). Appunti per una ricerca su Giuseppe Vaccaro (Bologna 1896 – Roma 1970). GRAPHIE, X, 34-37.
M. Casciato
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