All’inizio del secolo scorso erano numerose le razze suine allevate nel nostro Paese, descritte in modo accurato da Ettore Mascheroni (1927), anche se già dalla seconda metà dell’Ottocento iniziarono in Italia le importazioni di suini di razze inglesi, con l’intento di migliorare la produzione suinicola nazionale, iniziando quell’opera di sostituzione delle razze locali che porterà all’estinzione di molte popolazioni suine italiane e al drastico ridimensionamento di quelle sopravvissute. Fu lo zootecnico prof. Antonio Zanelli che per primo, per incarico del Ministero dell’Agricoltura, effettuò le prime importazioni di suini di razza Yorkshire, presso l’Istituto tecnico agrario di Reggio Emilia. Negli anni Venti nel Piemonte venivano descritte due razze, la Cavour, allevata sulla riva destra del Po che aveva come centro di allevamento la pianura e le colline dell’Astigiano, e la Garlasco che popolava la riva sinistra, concentrandosi in modo particolare nell’alto Vercellese e nella Lomellina. In Lombardia si era già quasi persa traccia della razza Lombarda o Milanese con i due ceppi Lodigiana e Bergamasca-Bresciana. In Emilia era ancora presente la razza Romagnola, mentre la Parmigiana o Reggiana, la Modenese e la Bolognese erano pressochè scomparse. Nel Friuli veniva poi allevata la Friulana, mentre nella Venezia Giulia erano presenti le razze Stiriana e Croata. Passando alle regioni del Centro, in Toscana erano ancora allevate le tre razze, Cinta, Cappuccia e Maremmana, la prima diffusa nel Senese, la seconda nell’Aretino e l’ultima nella Maremma toscana. In Umbria si allevava ancora la popolazione suina cosiddetta Perugina, suddivisa in due ceppi, il primo denominato “da macchia”, il secondo “ di collina e di pianura”. In Abruzzo e Molise c’era la razza Abruzzese e nel Lazio si incontrava la razza Romana, detta anche Maremmana o Macchialiola. Per quanto riguarda l’Italia meridionale in Campania era molto apprezzata la razza Casertana, in Puglia si parlava di razza Pugliese con la sottorazze del Gargano e delle Murge; in Basilicata c’era la razza Cavallina, diffusa anche in Calabria, dove però primeggiava la razza Calabrese. Infine anche nelle isole maggiori si erano selezionate le razze locali, Siciliana e Sarda. Di tutte le popolazioni suine citate dal Mascheroni nel 1927 ne rimangono attualmente solo sei: Romagnola, Cinta Senese, Casertana, Apulo-Calabrese, Nera Siciliana e Sarda. In questi ultimi anni si è assistito ad un nuovo interesse per le razze suine locali italiane e alcune di queste hanno registrato un deciso incremento numerico. Nell'articolo viene riportata sinteticamente la situazione attuale di tali razze. I dati sono aggiornati, ottenuti dalle associazioni allevatori o da indagini effettuate direttamente sul campo. Si fa anche riferimento alle diverse iniziative di tutela e valorizzazione di tali razze baste principalmente sulla promozione delle loro produzioni tipiche.

Il recupero delle razze autoctone allontana il rischio di estinzione

BIGI, DANIELE
2008

Abstract

All’inizio del secolo scorso erano numerose le razze suine allevate nel nostro Paese, descritte in modo accurato da Ettore Mascheroni (1927), anche se già dalla seconda metà dell’Ottocento iniziarono in Italia le importazioni di suini di razze inglesi, con l’intento di migliorare la produzione suinicola nazionale, iniziando quell’opera di sostituzione delle razze locali che porterà all’estinzione di molte popolazioni suine italiane e al drastico ridimensionamento di quelle sopravvissute. Fu lo zootecnico prof. Antonio Zanelli che per primo, per incarico del Ministero dell’Agricoltura, effettuò le prime importazioni di suini di razza Yorkshire, presso l’Istituto tecnico agrario di Reggio Emilia. Negli anni Venti nel Piemonte venivano descritte due razze, la Cavour, allevata sulla riva destra del Po che aveva come centro di allevamento la pianura e le colline dell’Astigiano, e la Garlasco che popolava la riva sinistra, concentrandosi in modo particolare nell’alto Vercellese e nella Lomellina. In Lombardia si era già quasi persa traccia della razza Lombarda o Milanese con i due ceppi Lodigiana e Bergamasca-Bresciana. In Emilia era ancora presente la razza Romagnola, mentre la Parmigiana o Reggiana, la Modenese e la Bolognese erano pressochè scomparse. Nel Friuli veniva poi allevata la Friulana, mentre nella Venezia Giulia erano presenti le razze Stiriana e Croata. Passando alle regioni del Centro, in Toscana erano ancora allevate le tre razze, Cinta, Cappuccia e Maremmana, la prima diffusa nel Senese, la seconda nell’Aretino e l’ultima nella Maremma toscana. In Umbria si allevava ancora la popolazione suina cosiddetta Perugina, suddivisa in due ceppi, il primo denominato “da macchia”, il secondo “ di collina e di pianura”. In Abruzzo e Molise c’era la razza Abruzzese e nel Lazio si incontrava la razza Romana, detta anche Maremmana o Macchialiola. Per quanto riguarda l’Italia meridionale in Campania era molto apprezzata la razza Casertana, in Puglia si parlava di razza Pugliese con la sottorazze del Gargano e delle Murge; in Basilicata c’era la razza Cavallina, diffusa anche in Calabria, dove però primeggiava la razza Calabrese. Infine anche nelle isole maggiori si erano selezionate le razze locali, Siciliana e Sarda. Di tutte le popolazioni suine citate dal Mascheroni nel 1927 ne rimangono attualmente solo sei: Romagnola, Cinta Senese, Casertana, Apulo-Calabrese, Nera Siciliana e Sarda. In questi ultimi anni si è assistito ad un nuovo interesse per le razze suine locali italiane e alcune di queste hanno registrato un deciso incremento numerico. Nell'articolo viene riportata sinteticamente la situazione attuale di tali razze. I dati sono aggiornati, ottenuti dalle associazioni allevatori o da indagini effettuate direttamente sul campo. Si fa anche riferimento alle diverse iniziative di tutela e valorizzazione di tali razze baste principalmente sulla promozione delle loro produzioni tipiche.
2008
D. Bigi
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