Le danze di società e quelle ospitate nella cornice del cosiddetto “spettacolo leggero” (vale a dire all’interno di cabaret, caffè-concerto, riviste o tabarin) costituiscono un ambito in cui il Primo Conflitto Mondiale ha generato effetti particolarmente vistosi, non solo in termini di pratiche, gusti e tendenze, ma anche rispetto a una ben più ampia dinamica di confronto interculturale. Sia attraverso il grande successo dei balli jazz di matrice afro-americana, sia in seguito alla massiccia presenza, sui palcoscenici di varietà, di danzatrici tedesche (o comunque di origine mitteleuropea), l’Italia degli Anni Venti si trova dinanzi a inedite modalità di concepire la danza e il corpo danzante, le quali, nella percezione collettiva, appaiono sovente come una sorta di “minaccia” proveniente dall’estero, quasi che lo “straniero”, indipendentemente dal fatto di aver vinto la guerra o meno, si servisse della danza per esercitare una forma di dominio culturale al di fuori dei propri confini geografici. Di tutto questo è possibile trovare riscontro sulle pagine di quotidiani e periodici italiani grazie ai contributi di autori che, soprattutto negli anni successivi all’affermazione del regime fascista, si sono dedicati alla questione ravvisandovi non poche implicazioni sociali e politiche. L'articolo apre uno squarcio su un simile fenomeno presentando alcuni degli articoli che, sul finire degli Anni Venti, lo scrittore e giornalista Marco Ramperti ha riservato al tema della danza nei suoi rapporti con gli esiti della Prima Guerra Mondiale
Giulia Taddeo (2015). “L’ora di Dalila”: danza e società post-bellica nel giornalismo italiano degli Anni Venti. NUOVA CORVINA, 28, 50-62.
“L’ora di Dalila”: danza e società post-bellica nel giornalismo italiano degli Anni Venti
Giulia Taddeo
2015
Abstract
Le danze di società e quelle ospitate nella cornice del cosiddetto “spettacolo leggero” (vale a dire all’interno di cabaret, caffè-concerto, riviste o tabarin) costituiscono un ambito in cui il Primo Conflitto Mondiale ha generato effetti particolarmente vistosi, non solo in termini di pratiche, gusti e tendenze, ma anche rispetto a una ben più ampia dinamica di confronto interculturale. Sia attraverso il grande successo dei balli jazz di matrice afro-americana, sia in seguito alla massiccia presenza, sui palcoscenici di varietà, di danzatrici tedesche (o comunque di origine mitteleuropea), l’Italia degli Anni Venti si trova dinanzi a inedite modalità di concepire la danza e il corpo danzante, le quali, nella percezione collettiva, appaiono sovente come una sorta di “minaccia” proveniente dall’estero, quasi che lo “straniero”, indipendentemente dal fatto di aver vinto la guerra o meno, si servisse della danza per esercitare una forma di dominio culturale al di fuori dei propri confini geografici. Di tutto questo è possibile trovare riscontro sulle pagine di quotidiani e periodici italiani grazie ai contributi di autori che, soprattutto negli anni successivi all’affermazione del regime fascista, si sono dedicati alla questione ravvisandovi non poche implicazioni sociali e politiche. L'articolo apre uno squarcio su un simile fenomeno presentando alcuni degli articoli che, sul finire degli Anni Venti, lo scrittore e giornalista Marco Ramperti ha riservato al tema della danza nei suoi rapporti con gli esiti della Prima Guerra MondialeI documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.