Stati di infiammazione progressivi e costanti nel tempo sono alla base dell’insorgenza di patologie cronico-degenerative, quali obesità, sindrome metabolica, diabete di tipo 2 e malattie cardiovascolari [1]. Tali livelli di infiammazione sono di lieve entità (low grade), senza sintomi visibili (silenti), ma persistenti, producendo col tempo effetti sistemici. La prolungata esposizione a un livello di infiammazione di basso grado influenza anche l’invecchiamento dell’organismo e la sua aspettativa di vita in buona salute (inflamm-aging) [2]. L’alimentazione e il tipo di dieta adottata sono fattori critici in grado di influenzare, sia positivamente che negativamente, la capacità dell’organismo a far fronte, tramite processi riparativi, a situazioni di infiammazione cronica. La letteratura scientifica ha evidenziato come alcuni alimenti o categorie di alimenti abbiano un effetto modesto sui livelli di espressione di singole molecole infiammatorie, quali proteina C reattiva, interleuchina 6 e tumor necrosis factor α (TNF-α) [3]. La composizione della dieta si è invece dimostrata in grado di influenzare significativamente l’insorgenza dell’infiammazione cronica di basso grado. Evidenze sperimentali indicano come, ad esempio, l’assunzione di carboidrati a maggior indice glicemico (cioè digeriti, metabolizzati e assorbiti più velocemente) e di acidi grassi saturi siano associati ad un aumento dell’infiammazione sistemica. L’assunzione di fibra alimentare, acidi grassi polinsaturi n-3 e monoinsaturi e carotenoidi è stata invece dimostrata essere associata a bassi livelli di marker infiammatori circolanti [4,5]. Negli ultimi anni sono state condotte diverse ricerche per studiare il possibile effetto pro-infiammatorio di latte e latticini. Da un’analisi sistematica della letteratura è stato però concluso che i derivati del latte presentano proprietà antinfiammatorie sia nelle persone sane, non affette da allergie al latte, che nei soggetti affetti da dismetabolismi [6]. Alcuni studi in ambito di nutrizione preventiva hanno inoltre dimostrato che alcuni componenti bioattivi degli alimenti, quali i polifenoli, sono in grado di modulare pathway coinvolti nella risoluzione dell’infiammazione, mostrando una tipica response to injury ed evocando una risposta riparativa promettente e desiderabile in processi infiammatori cronici [7-9]. In numerosi studi osservazionali e in trial clinici, i pattern alimentari caratterizzati da un elevato rapporto tra acidi grassi insaturi e saturi, abbondante consumo di frutta, verdura, legumi e cereali, come nel modello alimentare mediterraneo, hanno mostrato effetti protettivi e preventivi verso l’infiammazione cronica di basso grado se confrontato con i modelli alimentari tipici del Nord America e del Nord Europa [10,11]. Le basi molecolari e metaboliche sono molto complesse e non ancora del tutto chiarite, in quanto il livello di infiammazione derivante dall’adozione di abitudini alimentari scorrette è basso e non sempre i classici biomarcatori di infiammazione sistemica possono essere messi in relazione con tale livello silente [12,13]. L’influenza dei pattern alimentari sugli stati di infiammazione cellulare sistemica è certa ma complessa. Dal punto di vista della prevenzione primaria, modelli alimentari equilibrati e prudenti come la dieta mediterranea rimangono sicuramente un cardine per aumentare l’aspettativa di vita in buona salute [14]. Riferimenti bibliografici: [1] Hunter P (2012) EMBO Rep 13:968-970. [2] Calder PC, Bosco N et al. (2017) Ageing Res Rev 40:95-119. [3] Lyons CL, Kennedy EB, Roche HM (2016) Nutrients 8: article 247. [4] Barbaresko J, Koch M et al. (2013) Nutr Rev 71:511-527. [5] Galland L (2010) Nutr Clin Pract 25:634-640. [6] Bordoni A, Danesi F et al. (2017) Crit Rev Food Sci Nutr 57:2497-2525. [7] Danesi F, Ferguson LR (2017) Nutrients 9: article 958. [8] Afman L, Milenkovic D, Roche HM (2014) Mol Nutr Food Res 58:1708-1720. [9] Derlindati E, Montanini B et al. 39° Congresso Nazionale della Società Italiana di Nutrizione Umana, Napoli 19–21 novembre 2018, p. 5. [10] Bonaccio M, Pounis G et al. (2017) Br J Clin Pharmacol 83:107-113. [11] Tosti V, Bertozzi B, Fontana L (2018) J Gerontol A Biol Sci Med Sci 73:318-326. [12] Calle MC, Andersen CJ (2019) Dis Markers 2019: article 3102870. [13] Del Giudice M, Gangestad SW (2018) Brain Behav Immun 70:61-75. [14] Schulze MB, Martinez-Gonzalez MA et al. (2018) BMJ 361: article k2396.

Francesca Danesi (2019). La dieta come determinante nei processi di infiammazione: effetti positivi e negativi.

La dieta come determinante nei processi di infiammazione: effetti positivi e negativi

Francesca Danesi
2019

Abstract

Stati di infiammazione progressivi e costanti nel tempo sono alla base dell’insorgenza di patologie cronico-degenerative, quali obesità, sindrome metabolica, diabete di tipo 2 e malattie cardiovascolari [1]. Tali livelli di infiammazione sono di lieve entità (low grade), senza sintomi visibili (silenti), ma persistenti, producendo col tempo effetti sistemici. La prolungata esposizione a un livello di infiammazione di basso grado influenza anche l’invecchiamento dell’organismo e la sua aspettativa di vita in buona salute (inflamm-aging) [2]. L’alimentazione e il tipo di dieta adottata sono fattori critici in grado di influenzare, sia positivamente che negativamente, la capacità dell’organismo a far fronte, tramite processi riparativi, a situazioni di infiammazione cronica. La letteratura scientifica ha evidenziato come alcuni alimenti o categorie di alimenti abbiano un effetto modesto sui livelli di espressione di singole molecole infiammatorie, quali proteina C reattiva, interleuchina 6 e tumor necrosis factor α (TNF-α) [3]. La composizione della dieta si è invece dimostrata in grado di influenzare significativamente l’insorgenza dell’infiammazione cronica di basso grado. Evidenze sperimentali indicano come, ad esempio, l’assunzione di carboidrati a maggior indice glicemico (cioè digeriti, metabolizzati e assorbiti più velocemente) e di acidi grassi saturi siano associati ad un aumento dell’infiammazione sistemica. L’assunzione di fibra alimentare, acidi grassi polinsaturi n-3 e monoinsaturi e carotenoidi è stata invece dimostrata essere associata a bassi livelli di marker infiammatori circolanti [4,5]. Negli ultimi anni sono state condotte diverse ricerche per studiare il possibile effetto pro-infiammatorio di latte e latticini. Da un’analisi sistematica della letteratura è stato però concluso che i derivati del latte presentano proprietà antinfiammatorie sia nelle persone sane, non affette da allergie al latte, che nei soggetti affetti da dismetabolismi [6]. Alcuni studi in ambito di nutrizione preventiva hanno inoltre dimostrato che alcuni componenti bioattivi degli alimenti, quali i polifenoli, sono in grado di modulare pathway coinvolti nella risoluzione dell’infiammazione, mostrando una tipica response to injury ed evocando una risposta riparativa promettente e desiderabile in processi infiammatori cronici [7-9]. In numerosi studi osservazionali e in trial clinici, i pattern alimentari caratterizzati da un elevato rapporto tra acidi grassi insaturi e saturi, abbondante consumo di frutta, verdura, legumi e cereali, come nel modello alimentare mediterraneo, hanno mostrato effetti protettivi e preventivi verso l’infiammazione cronica di basso grado se confrontato con i modelli alimentari tipici del Nord America e del Nord Europa [10,11]. Le basi molecolari e metaboliche sono molto complesse e non ancora del tutto chiarite, in quanto il livello di infiammazione derivante dall’adozione di abitudini alimentari scorrette è basso e non sempre i classici biomarcatori di infiammazione sistemica possono essere messi in relazione con tale livello silente [12,13]. L’influenza dei pattern alimentari sugli stati di infiammazione cellulare sistemica è certa ma complessa. Dal punto di vista della prevenzione primaria, modelli alimentari equilibrati e prudenti come la dieta mediterranea rimangono sicuramente un cardine per aumentare l’aspettativa di vita in buona salute [14]. Riferimenti bibliografici: [1] Hunter P (2012) EMBO Rep 13:968-970. [2] Calder PC, Bosco N et al. (2017) Ageing Res Rev 40:95-119. [3] Lyons CL, Kennedy EB, Roche HM (2016) Nutrients 8: article 247. [4] Barbaresko J, Koch M et al. (2013) Nutr Rev 71:511-527. [5] Galland L (2010) Nutr Clin Pract 25:634-640. [6] Bordoni A, Danesi F et al. (2017) Crit Rev Food Sci Nutr 57:2497-2525. [7] Danesi F, Ferguson LR (2017) Nutrients 9: article 958. [8] Afman L, Milenkovic D, Roche HM (2014) Mol Nutr Food Res 58:1708-1720. [9] Derlindati E, Montanini B et al. 39° Congresso Nazionale della Società Italiana di Nutrizione Umana, Napoli 19–21 novembre 2018, p. 5. [10] Bonaccio M, Pounis G et al. (2017) Br J Clin Pharmacol 83:107-113. [11] Tosti V, Bertozzi B, Fontana L (2018) J Gerontol A Biol Sci Med Sci 73:318-326. [12] Calle MC, Andersen CJ (2019) Dis Markers 2019: article 3102870. [13] Del Giudice M, Gangestad SW (2018) Brain Behav Immun 70:61-75. [14] Schulze MB, Martinez-Gonzalez MA et al. (2018) BMJ 361: article k2396.
2019
Atti 73° Convegno Federazione SISVET
1
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Francesca Danesi (2019). La dieta come determinante nei processi di infiammazione: effetti positivi e negativi.
Francesca Danesi
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