Tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, lo sviluppo industriale produsse in tutta Europa una struttura territoriale polarizzata, che aveva i nuovi elementi trainanti nelle grandi città, avanguardie della modernità e obiettivo di migrazioni sempre più massicce. Si trattava di un’epoca di profonde e traumatiche trasformazioni, che stavano conducendo dalla “società del passato” verso una società industriale sempre più dominata da relazioni impersonali. Epoca nella quale il lavoro si affermò come occasione e tramite per la costruzione di relazioni comunitarie, per fare comunità e garantire forme vitali di coesione sociale. Rispetto a questo scenario, profonde trasformazioni sono avvenute lungo il Novecento nel rapporto tra politica, società e mondo del lavoro. I sistemi di Welfare State, affermatisi in tutti i Paesi occidentali nel periodo tra i due conflitti mondiali, hanno vissuto il loro apice nel Secondo dopoguerra (la cosiddetta Golden Age), rimanendo in auge fino al passaggio tra anni Sessanta e Settanta. Nei decenni successivi, però, tutto è cambiato. Negli anni Novanta si è palesata in tutta la sua gravità la crisi del modello europeo di democrazia industriale e welfarista. Infine, a partire dai primi anni Duemila, in concomitanza con il problema epocale dei fenomeni migratori extracomunitari, si è evidenziato il problema (vera e propria questione di civiltà) di individui e lavoratori senza cittadinanza. A questo punto, rispondendo alla domanda sul “che fare?”, ci sembra di poter individuare nella creazione di nuovi spazi sociali e di nuove forme associative del lavoro le chiavi affinché il futuro possa essere meglio del presente.

Carlo De Maria (2017). Lavoro e comunità in una prospettiva storica. GRAPHIE, 79, 46-47.

Lavoro e comunità in una prospettiva storica

Carlo De Maria
2017

Abstract

Tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, lo sviluppo industriale produsse in tutta Europa una struttura territoriale polarizzata, che aveva i nuovi elementi trainanti nelle grandi città, avanguardie della modernità e obiettivo di migrazioni sempre più massicce. Si trattava di un’epoca di profonde e traumatiche trasformazioni, che stavano conducendo dalla “società del passato” verso una società industriale sempre più dominata da relazioni impersonali. Epoca nella quale il lavoro si affermò come occasione e tramite per la costruzione di relazioni comunitarie, per fare comunità e garantire forme vitali di coesione sociale. Rispetto a questo scenario, profonde trasformazioni sono avvenute lungo il Novecento nel rapporto tra politica, società e mondo del lavoro. I sistemi di Welfare State, affermatisi in tutti i Paesi occidentali nel periodo tra i due conflitti mondiali, hanno vissuto il loro apice nel Secondo dopoguerra (la cosiddetta Golden Age), rimanendo in auge fino al passaggio tra anni Sessanta e Settanta. Nei decenni successivi, però, tutto è cambiato. Negli anni Novanta si è palesata in tutta la sua gravità la crisi del modello europeo di democrazia industriale e welfarista. Infine, a partire dai primi anni Duemila, in concomitanza con il problema epocale dei fenomeni migratori extracomunitari, si è evidenziato il problema (vera e propria questione di civiltà) di individui e lavoratori senza cittadinanza. A questo punto, rispondendo alla domanda sul “che fare?”, ci sembra di poter individuare nella creazione di nuovi spazi sociali e di nuove forme associative del lavoro le chiavi affinché il futuro possa essere meglio del presente.
2017
Carlo De Maria (2017). Lavoro e comunità in una prospettiva storica. GRAPHIE, 79, 46-47.
Carlo De Maria
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