Sono trascorsi ormai diciassette anni dall’entrata in vigore del d.lgs. 231/01, un tempo sufficientemente ampio da consentire di gettare uno sguardo retrospettivo alle questioni di maggiore interesse che si sono sviluppate attorno alla disciplina della responsabilità amministrativa da reato degli enti collettivi. Seguendo una distinzione ormai classica tra parte generale e parte speciale del decreto, il contributo si sofferma su alcuni nervi scoperti della disciplina 231, quali le ricadute sostanziali e processuali della qualificazione della responsabilità dell’ente quale tertium genus, gli incerti confini della colpa di organizzazione e la difficoltà – forse una vera e propria utopia – di redigere un modello organizzativo “efficace”, nonché il diverso atteggiarsi del criterio dell’interesse e del vantaggio tra reati dolosi e colposi. Con riguardo alla parte speciale, invece, si prendono in considerazione due aspetti per certi versi tra loro speculari, entrambi incidenti sul principio di specialità delle incriminazioni presupposto. Già a partire dal 2009, quando nella trama del decreto è stato inserito l’art. 24 ter, che estende la responsabilità degli enti ai reati di criminalità organizzata, infatti, si è discusso se l’ente potesse rispondere anche dei reati-scopo di un sodalizio criminoso, quesito al quale la Cassazione ha dato risposta negativa. Oggi il problema si ripropone, in termini diversi e più insidiosi, con riferimento alla responsabilità dei soggetti metaindividuali per il delitto di autoriciclaggio, che può avere quale reato presupposto qualsiasi delitto non colposo.

Diciassette anni di responsabilità degli enti: una retrospettiva

Tommaso Guerini
2018

Abstract

Sono trascorsi ormai diciassette anni dall’entrata in vigore del d.lgs. 231/01, un tempo sufficientemente ampio da consentire di gettare uno sguardo retrospettivo alle questioni di maggiore interesse che si sono sviluppate attorno alla disciplina della responsabilità amministrativa da reato degli enti collettivi. Seguendo una distinzione ormai classica tra parte generale e parte speciale del decreto, il contributo si sofferma su alcuni nervi scoperti della disciplina 231, quali le ricadute sostanziali e processuali della qualificazione della responsabilità dell’ente quale tertium genus, gli incerti confini della colpa di organizzazione e la difficoltà – forse una vera e propria utopia – di redigere un modello organizzativo “efficace”, nonché il diverso atteggiarsi del criterio dell’interesse e del vantaggio tra reati dolosi e colposi. Con riguardo alla parte speciale, invece, si prendono in considerazione due aspetti per certi versi tra loro speculari, entrambi incidenti sul principio di specialità delle incriminazioni presupposto. Già a partire dal 2009, quando nella trama del decreto è stato inserito l’art. 24 ter, che estende la responsabilità degli enti ai reati di criminalità organizzata, infatti, si è discusso se l’ente potesse rispondere anche dei reati-scopo di un sodalizio criminoso, quesito al quale la Cassazione ha dato risposta negativa. Oggi il problema si ripropone, in termini diversi e più insidiosi, con riferimento alla responsabilità dei soggetti metaindividuali per il delitto di autoriciclaggio, che può avere quale reato presupposto qualsiasi delitto non colposo.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/680557
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