Perché narrare fiabe? La fiaba è uno strumento che può generare paura nei nostri piccoli uditori di storie fantastiche? Possono le storie fiabesche educare le nuove generazioni? Da cosa dipende il valore delle fiabe? Queste domande insinuano un sospetto inquietante su un genere narrativo alquanto presente nella nostra vita, per quanto in significati e forme di volta in volta diversi. Una riflessione pedagogica sulla fiaba deve oggi fare i conti con emergenti e ricorrenti denunce della violenza, del sessismo, delle fobie implicite nei racconti fiabeschi, sostanzialmente accusati di proporre modelli identificativi, norme comportamentali, visioni del mondo correlate a definizione di ruoli sociali, in qualche modo funzionali ad un mondo adulto “manipolatore”, “violento”, in totale conflitto con le nuove generazioni. Ma c’è una accusa radicale all’educazione stessa che, nella seconda metà del ‘900, ha trovato negli studi sulla “pedagogia nera” numerose ragioni di critica al pensiero pedagogico e alle prassi educative, giungendo a negare qualunque significato positivo al termine educazione, teorizzando l’impossibilità di educare senza violenza. La questione perciò non è solo la presenza della violenza nelle fiabe ma il senso e il significato della stessa violenza, in termini più radicali del male che è presente nell’esistenza umana in termini non riducibili alla sua presenza nelle narrazioni. La fiaba può diventare strumento di una pedagogia della seduzione e della paura perché ciò può riscontrarsi a livello intrapsichico così come a livello esperienziale/esistenziale. Ma può anche svolgere una funzione di contenimento/padroneggiamento della paura (così come di altri sentimenti) e della violenza, laddove la fiaba pone al bambino dilemmi esistenziali in termini chiari e concisi, elementarità che “permette al bambino di afferrare il problema nella sua forma più essenziale, mentre una trama più complessa gli renderebbe le cose confuse”. La fiaba può pertanto rappresentare uno strumento di ricerca del significato e può aiutare a dar senso anche a ciò che a prima vista non sembra possederlo, alla stessa violenza della vita e al dolore e alla sofferenza che ne consegue.
Caputo Michele (2018). La fiaba: pedagogia della paura?. SERVITIUM, 239, 75-84.
La fiaba: pedagogia della paura?
Caputo Michele
2018
Abstract
Perché narrare fiabe? La fiaba è uno strumento che può generare paura nei nostri piccoli uditori di storie fantastiche? Possono le storie fiabesche educare le nuove generazioni? Da cosa dipende il valore delle fiabe? Queste domande insinuano un sospetto inquietante su un genere narrativo alquanto presente nella nostra vita, per quanto in significati e forme di volta in volta diversi. Una riflessione pedagogica sulla fiaba deve oggi fare i conti con emergenti e ricorrenti denunce della violenza, del sessismo, delle fobie implicite nei racconti fiabeschi, sostanzialmente accusati di proporre modelli identificativi, norme comportamentali, visioni del mondo correlate a definizione di ruoli sociali, in qualche modo funzionali ad un mondo adulto “manipolatore”, “violento”, in totale conflitto con le nuove generazioni. Ma c’è una accusa radicale all’educazione stessa che, nella seconda metà del ‘900, ha trovato negli studi sulla “pedagogia nera” numerose ragioni di critica al pensiero pedagogico e alle prassi educative, giungendo a negare qualunque significato positivo al termine educazione, teorizzando l’impossibilità di educare senza violenza. La questione perciò non è solo la presenza della violenza nelle fiabe ma il senso e il significato della stessa violenza, in termini più radicali del male che è presente nell’esistenza umana in termini non riducibili alla sua presenza nelle narrazioni. La fiaba può diventare strumento di una pedagogia della seduzione e della paura perché ciò può riscontrarsi a livello intrapsichico così come a livello esperienziale/esistenziale. Ma può anche svolgere una funzione di contenimento/padroneggiamento della paura (così come di altri sentimenti) e della violenza, laddove la fiaba pone al bambino dilemmi esistenziali in termini chiari e concisi, elementarità che “permette al bambino di afferrare il problema nella sua forma più essenziale, mentre una trama più complessa gli renderebbe le cose confuse”. La fiaba può pertanto rappresentare uno strumento di ricerca del significato e può aiutare a dar senso anche a ciò che a prima vista non sembra possederlo, alla stessa violenza della vita e al dolore e alla sofferenza che ne consegue.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.