Come tutte le città esistenti, anche la città analoga di Aldo Rossi, una città senza luogo né tempo, è l’esito di un lungo processo di gestazione, che sottende un atto di fondazione e un intenso periodo di successive stratificazioni, in questo caso di natura teorica e concettuale. Nell’enunciare i fondamenti della teoria della “città per parti” , Aldo Rossi aveva rinunciato ad accettare la pericolosa scissione tra architettura e città, e di conseguenza tra progetto e realtà, che a metà degli anni Sessanta si istituiva attraverso il lavoro dei radicali e la riscoperta dell’utopia quale possibile alternativa al funzionalismo e alla dottrina dei maestri dell’International Style. L’altra, oppositiva modernità della ricerca rossiana –una terza modernità formulata con rigore disciplinare nelle pagine de L’architettura della città – riconosce in prima istanza il tessuto urbano come un fatto indipendente, irriproducibile, disomogeneo e non classificabile in schemi geometrici regolamentati e assoluti. Osservata come “una grande opera”, la città viene analizzata nella sua varietà morfologica in quanto risultato imprevisto di una combinazione arbitraria e polivalente di architetture individuali, misurata sia nella dimensione spaziale attraverso i suoi “brani” fisici costitutivi, sia in quella temporale con “i momenti diversi” che hanno contribuito alle sue periodizzazioni e alla sua esasperata conformazione. Il secondo intrinseco assunto filtrato con la teoria della “città per parti” esaurisce, assassinandolo, ogni modello urbano unitario e precostituito di derivazione classica. Nello scarto tra la tradizionale abitudine a disegnare la città perimetrata e identificata attraverso una volontà di forma –la forma urbis di Palmanova e della Ville Radieuse– e la nuova moderna visione del mosaico di Rossi orientata verso la concatenatio, il messaggio è fin troppo esplicito: la città non può essere pensata nella sua interezza o esaurirsi in una forma spaziale compiuta. Questa perdita delle certezze totalitarie incluse antecedentemente nel modello avvalla il recupero della pluralità, prediligendo la complessità invece della linearità e introducendo l’indeterminato in sostituzione della modularità metropolitana, di ascendenza ippodamea e gropiusiana. Spostando la riscoperta lezione di Boullée sul piano urbano, Aldo Rossi intuisce che la città, non possedendo una sola e ovvia atmosfera, produce infinite tensioni e nessi sterminati tra le cose. La sua struttura esprime molteplici e talvolta autoreferenziali caratteri, condizionando la decifrazione fondata sulla differenza dei fatti urbani, costruita sui settori morfologici e alimentata da modalità autobiografiche e inconsce, intessendo un insuperato rapporto tra forma e immagine a discapito della funzione. Tali “parti”, ulteriormente scomponibili in “pezzi”, sono classificate in elenchi formali e predisposte per essere ricollocate in un ordine alternativo e non previsto, attraverso il procedimento additivo.
M. Agnoletto (2008). Osservazioni sulla città analoga. BOLOGNA : Bononia University Press.
Osservazioni sulla città analoga
AGNOLETTO, MATTEO
2008
Abstract
Come tutte le città esistenti, anche la città analoga di Aldo Rossi, una città senza luogo né tempo, è l’esito di un lungo processo di gestazione, che sottende un atto di fondazione e un intenso periodo di successive stratificazioni, in questo caso di natura teorica e concettuale. Nell’enunciare i fondamenti della teoria della “città per parti” , Aldo Rossi aveva rinunciato ad accettare la pericolosa scissione tra architettura e città, e di conseguenza tra progetto e realtà, che a metà degli anni Sessanta si istituiva attraverso il lavoro dei radicali e la riscoperta dell’utopia quale possibile alternativa al funzionalismo e alla dottrina dei maestri dell’International Style. L’altra, oppositiva modernità della ricerca rossiana –una terza modernità formulata con rigore disciplinare nelle pagine de L’architettura della città – riconosce in prima istanza il tessuto urbano come un fatto indipendente, irriproducibile, disomogeneo e non classificabile in schemi geometrici regolamentati e assoluti. Osservata come “una grande opera”, la città viene analizzata nella sua varietà morfologica in quanto risultato imprevisto di una combinazione arbitraria e polivalente di architetture individuali, misurata sia nella dimensione spaziale attraverso i suoi “brani” fisici costitutivi, sia in quella temporale con “i momenti diversi” che hanno contribuito alle sue periodizzazioni e alla sua esasperata conformazione. Il secondo intrinseco assunto filtrato con la teoria della “città per parti” esaurisce, assassinandolo, ogni modello urbano unitario e precostituito di derivazione classica. Nello scarto tra la tradizionale abitudine a disegnare la città perimetrata e identificata attraverso una volontà di forma –la forma urbis di Palmanova e della Ville Radieuse– e la nuova moderna visione del mosaico di Rossi orientata verso la concatenatio, il messaggio è fin troppo esplicito: la città non può essere pensata nella sua interezza o esaurirsi in una forma spaziale compiuta. Questa perdita delle certezze totalitarie incluse antecedentemente nel modello avvalla il recupero della pluralità, prediligendo la complessità invece della linearità e introducendo l’indeterminato in sostituzione della modularità metropolitana, di ascendenza ippodamea e gropiusiana. Spostando la riscoperta lezione di Boullée sul piano urbano, Aldo Rossi intuisce che la città, non possedendo una sola e ovvia atmosfera, produce infinite tensioni e nessi sterminati tra le cose. La sua struttura esprime molteplici e talvolta autoreferenziali caratteri, condizionando la decifrazione fondata sulla differenza dei fatti urbani, costruita sui settori morfologici e alimentata da modalità autobiografiche e inconsce, intessendo un insuperato rapporto tra forma e immagine a discapito della funzione. Tali “parti”, ulteriormente scomponibili in “pezzi”, sono classificate in elenchi formali e predisposte per essere ricollocate in un ordine alternativo e non previsto, attraverso il procedimento additivo.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.