Comprendente oltre 700 lingue differenti, collocate principalmente sull’isola di Nuova Guinea e su altre isole circostanti, la famiglia delle lingue indo-pacifiche (o papuane) costituisce uno dei raggruppamenti numericamente più poderosi del globo (ad essa, in effetti, afferisce più del 10% delle lingue del mondo). Allo stesso tempo, però, con soli 2.800.000 parlanti complessivi, la famiglia delle lingue indo-pacifiche si caratterizza per il numero medio estremamente ridotto di locutori associabili ad ogni singolo idioma (poco meno di 5.000). Sull’isola di Nuova Guinea lo spazio fisico di pertinenza di ciascuna lingua ammonta a circa 900 km2; la cifra scende sensibilmente, arrivando ad appena 200 km2, nella regione solcata dal fiume Sepik, dove la concentrazione di parlate differenti è elevatissima. Questi dati bastano a inquadrare il nocciolo essenziale della questione: siamo di fronte ad una famiglia in cui la diversità ha largamente la meglio sull’uniformità. A ciò si aggiunge il fatto che l’interesse della comunità scientifica per le lingue in esame è relativamente recente (risale più o meno alla metà del secolo scorso) e che la documentazione scritta disponibile – sia per lo stato attuale delle lingue, sia in prospettiva diacronica – nella quasi totalità dei casi è assolutamente insufficiente per poter avere un inquadramento davvero esaustivo delle problematiche linguistico-generali e sociolinguistiche connesse ad una zona del globo vasta quanto intricata. In definitiva, date le premesse, le difficoltà nella ricostruzione dei rapporti interni alla famiglia e nella discriminazione tra tratti dovuti a comune filiazione genetica e tratti propagatisi per contatto paiono, allo stato attuale dell’arte, talvolta insormontabili. In sostanza, ci si trova di fronte ad una situazione del tutto atipica (se comparata al quadro con il quale un parlante occidentale è abituato a rapportarsi) alla quale è stata data l’etichetta di “plurilinguismo egualitario”. Sul fatto che le lingue papuane siano tutte effettivamente imparentate permane ancora qualche dubbio che la summenzionata carenza di documentazione con una sufficiente profondità temporale non aiuta a fugare. Sulla base delle attuali conoscenze risulta sostanzialmente impossibile tracciare una rete di relazioni genetiche in grado di includere le oltre 700 lingue della famiglia e, di conseguenza, ricostruire un’unica protolingua. Nella letteratura sul tema, ci si limita di norma a raggruppamenti di minor estensione (oltre 60), ciascuno con una propria lingua madre e con una profondità temporale piuttosto limitata. In definitiva, il tratto davvero comune a tutti gli idiomi in esame è quello di essere parlati nella medesima regione (l’isola di Nuova Guinea e altre isole finitime) e di non afferire alla famiglia austronesiana (tanto che alcuni studiosi ritengono che la denominazione davvero corretta per la famiglia sarebbe quella di “lingue del Pacifico non austronesiane”). Sul piano formale, ciò si riflette nella difficoltà a produrre descrizioni omogenee della “famiglia” in questione: il fatto che l’appartenenza alla famiglia non venga sancita in base a comprovate relazioni di parentela su vasta scala rende quasi superfluo rimarcare come chi intenda produrre una descrizione in chiave non tanto tipologica, ma anche solo comparativa dei tratti peculiari della famiglia rispetto ai singoli livelli di analisi sia destinato ad incontrare non pochi ostacoli. Il presente contributo, che contiene anche un aggiornata rassegna delle lingue papuane attualmente parlate, presenta i tratti ricorrenti tra le lingue della “famiglia”, in riferimento ai livelli fonetico-fonologico, morfologico (con attenzione particolare per i verbi seriali, particolarmente attestati nelle lingue in questione) e sintattico.
Grandi N. (2008). La “famiglia” delle lingue indo-pacifiche (papuane). ROMA : Carocci.
La “famiglia” delle lingue indo-pacifiche (papuane)
GRANDI, NICOLA
2008
Abstract
Comprendente oltre 700 lingue differenti, collocate principalmente sull’isola di Nuova Guinea e su altre isole circostanti, la famiglia delle lingue indo-pacifiche (o papuane) costituisce uno dei raggruppamenti numericamente più poderosi del globo (ad essa, in effetti, afferisce più del 10% delle lingue del mondo). Allo stesso tempo, però, con soli 2.800.000 parlanti complessivi, la famiglia delle lingue indo-pacifiche si caratterizza per il numero medio estremamente ridotto di locutori associabili ad ogni singolo idioma (poco meno di 5.000). Sull’isola di Nuova Guinea lo spazio fisico di pertinenza di ciascuna lingua ammonta a circa 900 km2; la cifra scende sensibilmente, arrivando ad appena 200 km2, nella regione solcata dal fiume Sepik, dove la concentrazione di parlate differenti è elevatissima. Questi dati bastano a inquadrare il nocciolo essenziale della questione: siamo di fronte ad una famiglia in cui la diversità ha largamente la meglio sull’uniformità. A ciò si aggiunge il fatto che l’interesse della comunità scientifica per le lingue in esame è relativamente recente (risale più o meno alla metà del secolo scorso) e che la documentazione scritta disponibile – sia per lo stato attuale delle lingue, sia in prospettiva diacronica – nella quasi totalità dei casi è assolutamente insufficiente per poter avere un inquadramento davvero esaustivo delle problematiche linguistico-generali e sociolinguistiche connesse ad una zona del globo vasta quanto intricata. In definitiva, date le premesse, le difficoltà nella ricostruzione dei rapporti interni alla famiglia e nella discriminazione tra tratti dovuti a comune filiazione genetica e tratti propagatisi per contatto paiono, allo stato attuale dell’arte, talvolta insormontabili. In sostanza, ci si trova di fronte ad una situazione del tutto atipica (se comparata al quadro con il quale un parlante occidentale è abituato a rapportarsi) alla quale è stata data l’etichetta di “plurilinguismo egualitario”. Sul fatto che le lingue papuane siano tutte effettivamente imparentate permane ancora qualche dubbio che la summenzionata carenza di documentazione con una sufficiente profondità temporale non aiuta a fugare. Sulla base delle attuali conoscenze risulta sostanzialmente impossibile tracciare una rete di relazioni genetiche in grado di includere le oltre 700 lingue della famiglia e, di conseguenza, ricostruire un’unica protolingua. Nella letteratura sul tema, ci si limita di norma a raggruppamenti di minor estensione (oltre 60), ciascuno con una propria lingua madre e con una profondità temporale piuttosto limitata. In definitiva, il tratto davvero comune a tutti gli idiomi in esame è quello di essere parlati nella medesima regione (l’isola di Nuova Guinea e altre isole finitime) e di non afferire alla famiglia austronesiana (tanto che alcuni studiosi ritengono che la denominazione davvero corretta per la famiglia sarebbe quella di “lingue del Pacifico non austronesiane”). Sul piano formale, ciò si riflette nella difficoltà a produrre descrizioni omogenee della “famiglia” in questione: il fatto che l’appartenenza alla famiglia non venga sancita in base a comprovate relazioni di parentela su vasta scala rende quasi superfluo rimarcare come chi intenda produrre una descrizione in chiave non tanto tipologica, ma anche solo comparativa dei tratti peculiari della famiglia rispetto ai singoli livelli di analisi sia destinato ad incontrare non pochi ostacoli. Il presente contributo, che contiene anche un aggiornata rassegna delle lingue papuane attualmente parlate, presenta i tratti ricorrenti tra le lingue della “famiglia”, in riferimento ai livelli fonetico-fonologico, morfologico (con attenzione particolare per i verbi seriali, particolarmente attestati nelle lingue in questione) e sintattico.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.