Le problematiche relative alla fase terminale dell’esistenza umana interessano – oltre, beninteso, alla medicina – anche campi scientifici e speculativi diversi quali l’etica, la normativa giuridica, i doveri della società, la filosofia. Nei tempi più recenti, alla luce dei progressi della scienza che hanno messo a disposizione della medicina strumenti diagnostici sofisticati ed elaborate terapie che permettono di prolungare la vita molto più di quanto fosse possibile in passato, il confronto con tali problematiche sul piano etico e normativo si è fatto ancora più complesso. Se, infatti, tali nuovi strumenti aumentano le possibilità di mantenimento in vita del paziente potendo effettivamente ritardare il momento del trapasso, d’altra parte, come è noto, non sempre il loro utilizzo porta anche ad aumentare le prospettive di miglioramento della salute del paziente, potendo anzi portare, in certi casi, solo a prolungarne la sofferenza. Nell’ambito della discussione bioetica internazionale, su casi come questo vengono generalmente a scontrarsi due tipi di approccio: l’indirizzo che privilegia la “sacralità della vita”, intesa come bene assoluto e incommensurabile, e quello che focalizza invece sulla “qualità della vita”, e che pone quindi attenzione anche e soprattutto al contenuto della stessa . La tradizione ebraica affronta queste complesse problematiche nell’ottica di un approccio essenzialmente pragmatico: non esiste, infatti, una “teologia ebraica della sofferenza”, mentre si sostiene con forza l’obbligo di tutelare la vita umana. A sua volta, questa posizione di base viene ricavata, nell’ebraismo, partendo da due principi fondamentali: - la visione della vita come valore assoluto e - il concetto della disponibilità limitata che ogni uomo ha nei confronti del proprio corpo.
A. Verza, rav. L. Caro (2008). Le problematiche di fine vita nella concezione ebraica. FIRENZE : Firenze University Press.
Le problematiche di fine vita nella concezione ebraica
VERZA, ANNALISA;
2008
Abstract
Le problematiche relative alla fase terminale dell’esistenza umana interessano – oltre, beninteso, alla medicina – anche campi scientifici e speculativi diversi quali l’etica, la normativa giuridica, i doveri della società, la filosofia. Nei tempi più recenti, alla luce dei progressi della scienza che hanno messo a disposizione della medicina strumenti diagnostici sofisticati ed elaborate terapie che permettono di prolungare la vita molto più di quanto fosse possibile in passato, il confronto con tali problematiche sul piano etico e normativo si è fatto ancora più complesso. Se, infatti, tali nuovi strumenti aumentano le possibilità di mantenimento in vita del paziente potendo effettivamente ritardare il momento del trapasso, d’altra parte, come è noto, non sempre il loro utilizzo porta anche ad aumentare le prospettive di miglioramento della salute del paziente, potendo anzi portare, in certi casi, solo a prolungarne la sofferenza. Nell’ambito della discussione bioetica internazionale, su casi come questo vengono generalmente a scontrarsi due tipi di approccio: l’indirizzo che privilegia la “sacralità della vita”, intesa come bene assoluto e incommensurabile, e quello che focalizza invece sulla “qualità della vita”, e che pone quindi attenzione anche e soprattutto al contenuto della stessa . La tradizione ebraica affronta queste complesse problematiche nell’ottica di un approccio essenzialmente pragmatico: non esiste, infatti, una “teologia ebraica della sofferenza”, mentre si sostiene con forza l’obbligo di tutelare la vita umana. A sua volta, questa posizione di base viene ricavata, nell’ebraismo, partendo da due principi fondamentali: - la visione della vita come valore assoluto e - il concetto della disponibilità limitata che ogni uomo ha nei confronti del proprio corpo.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.