Questo saggio intende argomentare e illustrare empiricamente l’inevitabile radicamento delle scienze sociali applicate nello specifico ordine morale entro cui le ricerche sono ideate e portate a compimento. Il tema è stato così magistralmente trattato da filosofi della scienza e sociologi della conoscenza scientifica che è sensato chiedersi se una studiosa di educazione abbia qualcosa da aggiungere a riguardo. Probabilmente no. Tuttavia, questo insieme di questioni e soprattutto la loro sistematica rimozione dalla ribalta della ricerca (i.e. progettazione, richiesta di finanziamenti, disseminazione e uso dei risultati) hanno un tale impatto sulle scienze applicate – tra queste, segnatamente, le scienze dell’apprendimento e dello sviluppo – che sarebbe insensato non preoccuparsene. Di là dalla (facilmente riconoscibile) “moralità” degli scopi della ricerca (i.e. il loro essere informati a precisi ordini valoriali), intendo illustrare la dimensione ben più sottile e invisibile relativa alla moralità insita nelle procedure. Lungi dall’essere mere tecniche, i metodi di raccolta e analisi dei dati, così come il vocabolario utilizzato per disseminare i risultati non sono dispositivi per rilevare e riportare fatti (qualunque cosa ciò significhi), ma sono fin dall’inizio e inevitabilmente forme di costituzione di quei fatti teoricamente e moralmente orientate. L’analisi che propongo si inserisce in un lungo solco di riflessioni epistemologiche che dalla Crisi delle Scienze Europee (1954/1961) arriva sino agli studi sociali delle scienze. Le prime sezioni di questo saggio sono dedicate a tracciare questa genealogia intellettuale. Mostrerò come il senso ultimo delle riflessioni compendiate nella Crisi dipenda dall’accento che i vari interpreti hanno messo su questo o quel passaggio di un testo la cui coesione e coerenza sembra ricostruita ex post dallo sguardo (orientato) del lettore. Non è dunque un caso se le riflessioni di Husserl sulle scienze e il mondo della vita abbiano (paradossalmente) nutrito sia le speranze di una rifondazione delle scienze tale da garantirne per sempre l’indipendenza dalle ideologie (evitando di ammantare vere e proprie forme di propaganda delle mentite spoglie della neutralità scientifica), sia lo scetticismo di coloro che, sostenendo l’inemendabile dipendenza delle scienze dal contesto della loro produzione, hanno indicato e continuano ad indicare la natura inevitabilmente contaminata dei loro prodotti.

Le scienze come pratiche morali: lezioni dalla fenomenologia

Letizia Caronia
2018

Abstract

Questo saggio intende argomentare e illustrare empiricamente l’inevitabile radicamento delle scienze sociali applicate nello specifico ordine morale entro cui le ricerche sono ideate e portate a compimento. Il tema è stato così magistralmente trattato da filosofi della scienza e sociologi della conoscenza scientifica che è sensato chiedersi se una studiosa di educazione abbia qualcosa da aggiungere a riguardo. Probabilmente no. Tuttavia, questo insieme di questioni e soprattutto la loro sistematica rimozione dalla ribalta della ricerca (i.e. progettazione, richiesta di finanziamenti, disseminazione e uso dei risultati) hanno un tale impatto sulle scienze applicate – tra queste, segnatamente, le scienze dell’apprendimento e dello sviluppo – che sarebbe insensato non preoccuparsene. Di là dalla (facilmente riconoscibile) “moralità” degli scopi della ricerca (i.e. il loro essere informati a precisi ordini valoriali), intendo illustrare la dimensione ben più sottile e invisibile relativa alla moralità insita nelle procedure. Lungi dall’essere mere tecniche, i metodi di raccolta e analisi dei dati, così come il vocabolario utilizzato per disseminare i risultati non sono dispositivi per rilevare e riportare fatti (qualunque cosa ciò significhi), ma sono fin dall’inizio e inevitabilmente forme di costituzione di quei fatti teoricamente e moralmente orientate. L’analisi che propongo si inserisce in un lungo solco di riflessioni epistemologiche che dalla Crisi delle Scienze Europee (1954/1961) arriva sino agli studi sociali delle scienze. Le prime sezioni di questo saggio sono dedicate a tracciare questa genealogia intellettuale. Mostrerò come il senso ultimo delle riflessioni compendiate nella Crisi dipenda dall’accento che i vari interpreti hanno messo su questo o quel passaggio di un testo la cui coesione e coerenza sembra ricostruita ex post dallo sguardo (orientato) del lettore. Non è dunque un caso se le riflessioni di Husserl sulle scienze e il mondo della vita abbiano (paradossalmente) nutrito sia le speranze di una rifondazione delle scienze tale da garantirne per sempre l’indipendenza dalle ideologie (evitando di ammantare vere e proprie forme di propaganda delle mentite spoglie della neutralità scientifica), sia lo scetticismo di coloro che, sostenendo l’inemendabile dipendenza delle scienze dal contesto della loro produzione, hanno indicato e continuano ad indicare la natura inevitabilmente contaminata dei loro prodotti.
2018
Il senso della realtà. L'orizzonte della fenomenologia nello studio del mondo sociale
25
69
Letizia Caronia
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/655858
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