Note su Moravia viaggiatore e la tradizione del Grand Tour

All’interno dell’ampio novero dei reportages di viaggio di Moravia, che si presenta come un imponente e variegato corpus di articoli, pubblicati in gran parte sul «Corriere della sera» (ma anche sulla «Gazzetta del popolo» e sulla «Stampa») è possibile ravvisare una autentica passione per il viaggio come forma primaria di conoscenza, una sorta di «curiosità antropologica», come la definisce Enzo Siciliano, che rileva anche, di questa passione, la coloritura esotista. La riflessione di Moravia sui paesi extraeuropei si fa però col passare degli anni più complessa, fino ad accogliere la consapevolezza dell’avvenuta contaminazione di culture e civiltà lontane da parte del dominio occidentale, che troviamo espressa con chiarezza nei resoconti africani. Nel caso di Moravia occorre ricordare che egli scrive in prossimità della revisione dei concetti di alterità, differenza, cultura in sede etnografica e di critica postcoloniale ed è sempre più consapevole dei limiti dello sguardo del turista europeo. Per questo il suo rapporto con i paesi esotici non può che essere controverso, essi restano la via per compiere un viaggio nello spazio e nel tempo, ma il pittoresco, l’esotico promesso dall’immaginazione cartografica educata dai libri di viaggio e di avventure si scontra con la realtà della crescente globalizzazione. Occorre riconoscere che accanto alla persuasione che l’europeo possa spiegare tutto attraverso i propri raffinati strumenti di analisi, sta il richiamo ad un umanesimo antropologico positivamente impegnato in una faticosa opera di invito alla tolleranza e alla comprensione. Il personaggio-viaggiatore che mette ordine, dota di senso, attribuisce un significato a ciò che incontra è quello stesso che riconosce se stesso nell’altro, disposto a tratti a mettere in discussione la sua stessa concezione dell’umano.