Una conclusione provvisoria Elementi quantitativi e strutturali compongono oggi un quadro di realtà che non possiamo ignorare. In primo luogo i numeri: tutte le Facoltà hanno oggi migliaia di studenti; i grandi Atenei ne hanno anche 100.000; un Ateneo riconosciuto come “piccolo” ne ha 25.000. In aggiunta, la popolazione universitaria costituisce un universo di studenti provenienti da percorsi secondari molto diversi (alcuni già professionalizzanti) e con livelli di qualificazione personale estremamente differenziati; l’accesso è quasi totalmente aperto (il numero chiuso è presente solo in un numero ridotto di corsi), e quindi lasciato alla scelta dello studente, con iniziative di orientamento modestissime e comunque superficiali. Nelle pieghe del DM 509 si dice che eventuali lacune accertate dalle singole Facoltà, in relazione ai loro specifici obiettivi formativi, potranno essere colmate con attività preparatorie e di recupero, con corsi di livello 0 attivati dalle stesse Università (significa che ciò che non è riuscito agli insegnanti di una scuola secondaria in cinque anni sarebbe possibile ad un accademico in tre mesi?). Al di là delle rinnovate geremiadi circa la crescita dei fuori corso e degli abbandoni fin dal primo anno, e quindi l’inadeguatezza del sistema universitario italiano, il fatto che il sistema accademico copra di fatto la quasi totalità del post-secondario significa che esso si trova ad assumere funzioni del tutto nuove, che esigerebbero una diversa struttura didattica. In pratica, ci servirebbero modelli didattici tutoriali e gruppi di studenti relativamente piccoli, e insieme la possibilità di creare un periodo formativo disciplinare di base unitario (almeno entro la stessa classe di laurea). Ma al momento la struttura generata dalla riforma del 2000 accresce la parcellizzazione degli insegnamenti, abbrevia la durata dei corsi, e dunque del tempo di relazione fra docenti e discenti, al momento che un corso semestrale intensivo dura cinque settimane. E non esiste più, di fatto, nelle laurea triennali, nulla di simile a una tesi di laurea. Per contro, la giornata dello studente frequentante può durare anche otto ore, il numero e il ritmo dei suoi esami si configura “a ciclo continuo”, secondo un modello di efficacia/efficienza (quello stesso nel frattempo messo in crisi nel mondo imprenditoriale e produttivo). Come possiamo dunque prefigurare delle “comunità educative” dentro le Università? Neppure i gruppi di docenti e ricercatori di una stessa area disciplinare, che lavorano nello stesso Ateneo, osano oggi rappresentare se stessi come una comunità di ricerca, ed è difficile riconoscersi perfino una comunità didattica. Il massimo delle nostre aspirazioni, oggi, in un quadro di effettiva libertà di ricerca e di pensiero, è quello di potere offrire ai nostri studenti sufficienti elementi di conoscenza perché essi ricostruiscano sintesi unitarie personali. Ma anche questo obiettivo esige, soprattutto nelle aree disciplinari umanistiche, una riflessione sulle nostre proposte didattiche. Occorre decidere, in altri termini, nella prospettiva di una deontologia dell’insegnamento accademico, di quali contenuti teorico scientifici il “servizio alla persona” debba valersi, e se si intenda ancora “formare l’umanità” prima di professionalizzarla. E’ stato Morin, in un testo relativamente recente, a sottolineare come il primo obiettivo, anche rispetto alla trasmissione della conoscenza scientifica, sia quello di “insegnare la condizione umana”, ed anche che la riforma della cultura passa attraverso il pensiero degli insegnanti . In questo c’è del vero: sarà utile perciò, soprattutto fra i docenti dell’area delle scienze umane e delle scienze dell’educazione, che si torni a riflettere sulle nostre priorità nella proposta didattica in termini di contenuti, di impianti teorici e, in secondo luogo, di metodologia. E’ chiaro che gli stessi elementi strutturali che ho elencato, evidenziandone...

Maria Teresa Moscato (2008). L'università come comunità educativa? Una riflessione pedagogica epdagogica fra esperienza e progetto. ROMA : LAS.

L'università come comunità educativa? Una riflessione pedagogica epdagogica fra esperienza e progetto

MOSCATO, MARIA TERESA
2008

Abstract

Una conclusione provvisoria Elementi quantitativi e strutturali compongono oggi un quadro di realtà che non possiamo ignorare. In primo luogo i numeri: tutte le Facoltà hanno oggi migliaia di studenti; i grandi Atenei ne hanno anche 100.000; un Ateneo riconosciuto come “piccolo” ne ha 25.000. In aggiunta, la popolazione universitaria costituisce un universo di studenti provenienti da percorsi secondari molto diversi (alcuni già professionalizzanti) e con livelli di qualificazione personale estremamente differenziati; l’accesso è quasi totalmente aperto (il numero chiuso è presente solo in un numero ridotto di corsi), e quindi lasciato alla scelta dello studente, con iniziative di orientamento modestissime e comunque superficiali. Nelle pieghe del DM 509 si dice che eventuali lacune accertate dalle singole Facoltà, in relazione ai loro specifici obiettivi formativi, potranno essere colmate con attività preparatorie e di recupero, con corsi di livello 0 attivati dalle stesse Università (significa che ciò che non è riuscito agli insegnanti di una scuola secondaria in cinque anni sarebbe possibile ad un accademico in tre mesi?). Al di là delle rinnovate geremiadi circa la crescita dei fuori corso e degli abbandoni fin dal primo anno, e quindi l’inadeguatezza del sistema universitario italiano, il fatto che il sistema accademico copra di fatto la quasi totalità del post-secondario significa che esso si trova ad assumere funzioni del tutto nuove, che esigerebbero una diversa struttura didattica. In pratica, ci servirebbero modelli didattici tutoriali e gruppi di studenti relativamente piccoli, e insieme la possibilità di creare un periodo formativo disciplinare di base unitario (almeno entro la stessa classe di laurea). Ma al momento la struttura generata dalla riforma del 2000 accresce la parcellizzazione degli insegnamenti, abbrevia la durata dei corsi, e dunque del tempo di relazione fra docenti e discenti, al momento che un corso semestrale intensivo dura cinque settimane. E non esiste più, di fatto, nelle laurea triennali, nulla di simile a una tesi di laurea. Per contro, la giornata dello studente frequentante può durare anche otto ore, il numero e il ritmo dei suoi esami si configura “a ciclo continuo”, secondo un modello di efficacia/efficienza (quello stesso nel frattempo messo in crisi nel mondo imprenditoriale e produttivo). Come possiamo dunque prefigurare delle “comunità educative” dentro le Università? Neppure i gruppi di docenti e ricercatori di una stessa area disciplinare, che lavorano nello stesso Ateneo, osano oggi rappresentare se stessi come una comunità di ricerca, ed è difficile riconoscersi perfino una comunità didattica. Il massimo delle nostre aspirazioni, oggi, in un quadro di effettiva libertà di ricerca e di pensiero, è quello di potere offrire ai nostri studenti sufficienti elementi di conoscenza perché essi ricostruiscano sintesi unitarie personali. Ma anche questo obiettivo esige, soprattutto nelle aree disciplinari umanistiche, una riflessione sulle nostre proposte didattiche. Occorre decidere, in altri termini, nella prospettiva di una deontologia dell’insegnamento accademico, di quali contenuti teorico scientifici il “servizio alla persona” debba valersi, e se si intenda ancora “formare l’umanità” prima di professionalizzarla. E’ stato Morin, in un testo relativamente recente, a sottolineare come il primo obiettivo, anche rispetto alla trasmissione della conoscenza scientifica, sia quello di “insegnare la condizione umana”, ed anche che la riforma della cultura passa attraverso il pensiero degli insegnanti . In questo c’è del vero: sarà utile perciò, soprattutto fra i docenti dell’area delle scienze umane e delle scienze dell’educazione, che si torni a riflettere sulle nostre priorità nella proposta didattica in termini di contenuti, di impianti teorici e, in secondo luogo, di metodologia. E’ chiaro che gli stessi elementi strutturali che ho elencato, evidenziandone...
2008
L'università come comunità educativa. Il paradigma dell'educazione integrale
177
190
Maria Teresa Moscato (2008). L'università come comunità educativa? Una riflessione pedagogica epdagogica fra esperienza e progetto. ROMA : LAS.
Maria Teresa Moscato
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/64501
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