Il Citomegalovirus (CMV) è la principale causa di infezione congenita nei paesi sviluppati. L’infezione in utero è conseguenza per lo più di un’infezione materna primaria con un rischio di trasmissione materno-fetale variabile tra il 20 e il 50%. Le conseguenze dell’infezione in utero sono rilevanti. Infatti, anche se solo il 10% degli infetti presenta sintomi alla nascita, le manifestazioni cliniche possono essere talmente gravi da comportare un 30% di mortalità perinatale ed importanti sequele neurologiche nella maggior parte di quanti sopravvivono. Inoltre anche i nati asintomatici, in una quota variabile tra il 5 e il 15%, non sono esenti da sequele a distanza consistenti prevalentemente in ritardo psicomotorio e sordità. Premesso che ad oggi non è disponibile un vaccino per l’immunizzazione attiva della donna in età riproduttiva e che i dati relativi alla somministrazione preventiva di immunoglobuline specifiche a donne gravide con infezione primaria, pur promettenti, attendono conferma dai risultati di studi randomizzati su ampi numeri, la gestione prenatale mira essenzialmente all’identificazione dell’infezione nella gravida e nel feto, presupposti per un pronto riconoscimento dell’infezione postnatale. Per l’identificazione della gravida infetta l’unica via percorribile, data la mancanza di sintomi di rilievo, è lo screening sierologico, ma molti problemi legati all’affidabilità diagnostica delle indagini sierologiche routinarie ne hanno messo in discussione l’opportunità. Anche le aspettative riposte nella diagnosi prenatale di infezione fetale, mediante l’analisi del liquido amniotico, sono state deluse per le non infrequenti discordanze con la diagnosi postnatale. Inoltre non c’era comunque modo di avanzare un giudizio prognostico sull’eventuale compromissione post-natale, riguardante di norma non più di un terzo degli infetti. Recenti esperienze consentono oggi una gestione più soddisfacente. In primo luogo è possibile identificare, tra le gravide con sospetta infezione citomegalica allo screening, quelle effettivamente a rischio di trasmettere l’infezione al feto a cui soltanto riservare la diagnosi prenatale invasiva. Inoltre, le nuove tecniche di biologia molecolare messe a punto sul liquido amniotico e verificate contestualmente ai rilievi clinici pre- e post-natali, consentono, attraverso la quantificazione del DNA virale, l’identificazione di un cut-off oltre il quale alla certezza dell’infezione fetale si associa un’alta probabilità di manifestazioni cliniche post-natali. In altre parole, la diagnosi prenatale invasiva consente, se negativa, di escludere l’infezione congenita scoraggiando eventuali interruzioni della gravidanza per la sola ansia di avere contratto l’infezione e permettendo così alla gravida di proseguire la gestazione con più serenità; al contrario, in caso di positività, di identificare i feti infettati con una probabilità del 100% e di individuare tra gli infetti quelli ad alto rischio di sviluppare la malattia, circoscrivendo così ad un numero veramente ristretto di casi l’eventuale interruzione della gravidanza. Questi risultati - che hanno importanti implicazioni: sul piano della ricerca – offrono di fatto alla coppia a rischio di dare alla luce un figlio con infezione citomegalica preziose informazioni sul corretto iter procedurale pre- e post-natale e una quantificazione più precisa del rischio feto-neonatale. In definitiva , pur persistendo nella gestione prenatale ancora grosse difficoltà - prima tra tutte la mancanza di una terapia validata - è stato possibile disegnare un percorso diagnostico innovativo che consente di valutare precocemente in gravidanza il rischio fetale per infezione da CMV e di attuare correttamente subito dopo la nascita gli accertamenti per escludere o confermare l’infezione e modulare secondo un preciso calendario i controlli successivi dei nati infetti.

Guerra B., Vagnoni S., Puccetti C., Strada I., Simonazzi G., Lazzarotto T., et al. (2008). La gestione clinica dell’infezione da citomegalovirus in gravidanza.

La gestione clinica dell’infezione da citomegalovirus in gravidanza

GUERRA, BRUNELLA;VAGNONI, SONIA;PUCCETTI, CHIARA;STRADA, ISABELLA;SIMONAZZI, GIULIANA;LAZZAROTTO, TIZIANA;LANARI, MARCELLO;LANDINI, MARIA PAOLA;RIZZO, NICOLA
2008

Abstract

Il Citomegalovirus (CMV) è la principale causa di infezione congenita nei paesi sviluppati. L’infezione in utero è conseguenza per lo più di un’infezione materna primaria con un rischio di trasmissione materno-fetale variabile tra il 20 e il 50%. Le conseguenze dell’infezione in utero sono rilevanti. Infatti, anche se solo il 10% degli infetti presenta sintomi alla nascita, le manifestazioni cliniche possono essere talmente gravi da comportare un 30% di mortalità perinatale ed importanti sequele neurologiche nella maggior parte di quanti sopravvivono. Inoltre anche i nati asintomatici, in una quota variabile tra il 5 e il 15%, non sono esenti da sequele a distanza consistenti prevalentemente in ritardo psicomotorio e sordità. Premesso che ad oggi non è disponibile un vaccino per l’immunizzazione attiva della donna in età riproduttiva e che i dati relativi alla somministrazione preventiva di immunoglobuline specifiche a donne gravide con infezione primaria, pur promettenti, attendono conferma dai risultati di studi randomizzati su ampi numeri, la gestione prenatale mira essenzialmente all’identificazione dell’infezione nella gravida e nel feto, presupposti per un pronto riconoscimento dell’infezione postnatale. Per l’identificazione della gravida infetta l’unica via percorribile, data la mancanza di sintomi di rilievo, è lo screening sierologico, ma molti problemi legati all’affidabilità diagnostica delle indagini sierologiche routinarie ne hanno messo in discussione l’opportunità. Anche le aspettative riposte nella diagnosi prenatale di infezione fetale, mediante l’analisi del liquido amniotico, sono state deluse per le non infrequenti discordanze con la diagnosi postnatale. Inoltre non c’era comunque modo di avanzare un giudizio prognostico sull’eventuale compromissione post-natale, riguardante di norma non più di un terzo degli infetti. Recenti esperienze consentono oggi una gestione più soddisfacente. In primo luogo è possibile identificare, tra le gravide con sospetta infezione citomegalica allo screening, quelle effettivamente a rischio di trasmettere l’infezione al feto a cui soltanto riservare la diagnosi prenatale invasiva. Inoltre, le nuove tecniche di biologia molecolare messe a punto sul liquido amniotico e verificate contestualmente ai rilievi clinici pre- e post-natali, consentono, attraverso la quantificazione del DNA virale, l’identificazione di un cut-off oltre il quale alla certezza dell’infezione fetale si associa un’alta probabilità di manifestazioni cliniche post-natali. In altre parole, la diagnosi prenatale invasiva consente, se negativa, di escludere l’infezione congenita scoraggiando eventuali interruzioni della gravidanza per la sola ansia di avere contratto l’infezione e permettendo così alla gravida di proseguire la gestazione con più serenità; al contrario, in caso di positività, di identificare i feti infettati con una probabilità del 100% e di individuare tra gli infetti quelli ad alto rischio di sviluppare la malattia, circoscrivendo così ad un numero veramente ristretto di casi l’eventuale interruzione della gravidanza. Questi risultati - che hanno importanti implicazioni: sul piano della ricerca – offrono di fatto alla coppia a rischio di dare alla luce un figlio con infezione citomegalica preziose informazioni sul corretto iter procedurale pre- e post-natale e una quantificazione più precisa del rischio feto-neonatale. In definitiva , pur persistendo nella gestione prenatale ancora grosse difficoltà - prima tra tutte la mancanza di una terapia validata - è stato possibile disegnare un percorso diagnostico innovativo che consente di valutare precocemente in gravidanza il rischio fetale per infezione da CMV e di attuare correttamente subito dopo la nascita gli accertamenti per escludere o confermare l’infezione e modulare secondo un preciso calendario i controlli successivi dei nati infetti.
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Guerra B., Vagnoni S., Puccetti C., Strada I., Simonazzi G., Lazzarotto T., et al. (2008). La gestione clinica dell’infezione da citomegalovirus in gravidanza.
Guerra B.; Vagnoni S.; Puccetti C.; Strada I.; Simonazzi G.; Lazzarotto T.; Gabrielli L.; Lanari M.; Landini M.P.; Rizzo N.
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