La traduzione della Divina Commedia è una operazione solo superficialmente linguistica: essa, in realtà, si rivela come un’impresa ‘culturale’ di più vasto respiro, particolarmente dura ed impegnativa in quanto destinata a posare un ponte tra due patrimoni di conoscenze e, più in generale, tra due mondi radicalmente differenti. L’aspetto più problematico riguarda il piano del contenuto, più che quello dell’espressione e concerne, specificamente, la effettiva, reale fruibilità del testo da parte di lettori con un retroterra culturale diametralmente opposto a quello dei suoi destinatari originali. Le questioni connesse alla resa del termine Dio e delle perifrasi cui Dante ricorre per riferirsi ad esso sono in questo senso esemplari, in quanto coinvolgono una nozione che nell’immaginario cinese ha un’articolazione – ed una posizione - del tutto differente da quella esibita in Occidente. Nella traduzione della Commedia la scelta è caduta su shàngdì, termine marginale (ma non del tutto estraneo) nella versione cinese di matrice cristiana delle Sacre Scritture, e, invece, ampiamente utilizzato dalla Chiesa Protestante. Questa scelta, in realtà, stupisce solo in parte, in quanto l’apparato di credenze e leggende associate a shàngdì offre molti più elementi di contatto con la raffigurazione del Paradiso dantesco e con la visione di Dio che da esso emerge di quanto non facciano i termini ad esso alternativi. Quindi, paradossalmente, l’esigenza di privilegiare trasparenza ed immediatezza sul piano del contenuto ha, come conseguenza, uno scollamento, marcato, sul piano dell’espressione tra la Scritture, fonte primaria di Dante ed il poema. Ma questo allontanamento, solo superficialmente linguistico, della Divina dalla Bibbia contribuisce, forse non volutamente, ad attenuare le difficoltà inevitabilmente legate all’inserimento del poema in un contesto culturale meno predisposto ad accoglierne le implicazioni teologiche. E, di conseguenza, a far diminuire la distanza tra Dio e shàngdì.
Bulfoni C., Grandi N. (2006). La denominazione di Dio nelle traduzioni cinesi del Paradiso dantesco. CESENA - ROMA : Caissa Italia.
La denominazione di Dio nelle traduzioni cinesi del Paradiso dantesco
GRANDI, NICOLA
2006
Abstract
La traduzione della Divina Commedia è una operazione solo superficialmente linguistica: essa, in realtà, si rivela come un’impresa ‘culturale’ di più vasto respiro, particolarmente dura ed impegnativa in quanto destinata a posare un ponte tra due patrimoni di conoscenze e, più in generale, tra due mondi radicalmente differenti. L’aspetto più problematico riguarda il piano del contenuto, più che quello dell’espressione e concerne, specificamente, la effettiva, reale fruibilità del testo da parte di lettori con un retroterra culturale diametralmente opposto a quello dei suoi destinatari originali. Le questioni connesse alla resa del termine Dio e delle perifrasi cui Dante ricorre per riferirsi ad esso sono in questo senso esemplari, in quanto coinvolgono una nozione che nell’immaginario cinese ha un’articolazione – ed una posizione - del tutto differente da quella esibita in Occidente. Nella traduzione della Commedia la scelta è caduta su shàngdì, termine marginale (ma non del tutto estraneo) nella versione cinese di matrice cristiana delle Sacre Scritture, e, invece, ampiamente utilizzato dalla Chiesa Protestante. Questa scelta, in realtà, stupisce solo in parte, in quanto l’apparato di credenze e leggende associate a shàngdì offre molti più elementi di contatto con la raffigurazione del Paradiso dantesco e con la visione di Dio che da esso emerge di quanto non facciano i termini ad esso alternativi. Quindi, paradossalmente, l’esigenza di privilegiare trasparenza ed immediatezza sul piano del contenuto ha, come conseguenza, uno scollamento, marcato, sul piano dell’espressione tra la Scritture, fonte primaria di Dante ed il poema. Ma questo allontanamento, solo superficialmente linguistico, della Divina dalla Bibbia contribuisce, forse non volutamente, ad attenuare le difficoltà inevitabilmente legate all’inserimento del poema in un contesto culturale meno predisposto ad accoglierne le implicazioni teologiche. E, di conseguenza, a far diminuire la distanza tra Dio e shàngdì.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.