Uno dei nuovi obiettivi della repressione individuati dal Directorium di Eymerich e destinato a connotare anche a Bologna l’attività dell’Inquisizione nello scorcio del medioevo fu la negromanzia. Nella seconda metà del Quattrocento l’invocazione demoniaca a scopo divinatorio – questo grosso modo il significato medievale del termine – divenne sostanzialmente il crimine esclusivo di cui si occupò il tribunale felsineo: la dilagante fenomenologia dovette richiedere un notevole sforzo repressivo, impegno che i locali vertici domenicani affrontarono ponendo alla guida dell’officium i più autorevoli e dotti teologi di cui il convento di S. Domenico e l’intera Congregazione di Lombardia disponeva (tra questi, Gaspare Sighicelli, Gabriele Cassafages da Barcellona, Bartolomeo Comazzi e Vincenzo Bandello – entrambi successivamente promossi al generalato dell’Ordine –, nonché Giovanni Cagnazzo da Taggia). L’intensa stagione processuale inaugurata da questi giudici della fede, confermata dalla costruzione di nuove prigioni a partire dal 1452 «ad incarcerandum haereticos et facientes incantationes contra fidem», fu caratterizzata anche da alcune inchieste contro membri di altri Ordini Mendicanti, dal momento che la proliferazione della magia nera in città si doveva non secondariamente ad esponenti del clero, in virtù della necessaria conoscenza del latino per accedere ai testi contenenti formule rituali e propiziatorie. A tal proposito, come evidenziato da studi assai recenti, il pontefice francescano Sisto IV con la bolla Nuntiatum est nobis (1473) incaricò il vicario episcopale di indagare sulle voci riguardanti alcuni frati carmelitani, che avrebbero sostenuto pubblicamente che invocare demoni allo scopo di ottenere responsi su specifici interrogativi non fosse da considerarsi attività eretica. I sospetti eretici potevano tuttavia contare su un’influente rete di protezione, assicurata dagli strettissimi legami tra i vertici della Congregazione carmelitana di Mantova, sotto la cui giurisdizione era recentemente passato il convento bolognese, e la locale signoria, rappresentata anche presso la Curia da Francesco Gonzaga, figlio del Marchese Ludovico III e cardinal legato di Bologna dal 1471. Il porporato, così come il resto della famiglia, non riteneva infatti incompatibile con la fede la pratica di arti magiche. Un processo intentato contro un frate carmelitano provocò lo scontro frontale tra il priore locale, decano della facoltà teologica, e l’Inquisizione, conclusosi con la rimozione del giudice della fede. Il sostegno fattivo in funzione antinquisitoriale prestato da alcuni artigiani riflette il coinvolgimento nelle pratiche negromantiche di una sfera sociale popolare, come testimonia un inedito registro inquisitoriale relativo agli anni del mandato del domenicano Domenico Pirri da Gargnano (1485-1490), poi protagonista nel mantovano nel primo Cinquecento di una veemente azione contro le streghe Il Pirri, che frequentò i più illustri confratelli coevi, quali Giovanni Cagnazzo da Taggia, Leandro Alberti, Silvestro Mazzolini, detto Prierias (di cui fu maestro e di cui probabilmente per primo suscitò l’interesse verso la demonologia e la stregoneria), venne elogiato per le sue doti da Heinrich Kramer – l’autore del Malleus maleficarum – nel Clippeum, pubblicato nel 1501. I processi bolognesi condotti dal frate domenicano, oggetto prevalente dello studio, restituiscono una plastica e immediata evidenza della connotazione plurale della fenomenologia eterodossa al centro dei dibattiti teologici presso lo Studium di S. Domenico, convento la cui élite intellettuale fornì al tribunale un supporto anche d’ordine pratico, attraverso una qualificata consulenza giuridica al contempo procedurale e processuale. La predominante tendenza all’ingiunzione di pene penitenziali, anziché giudiziarie – per mutuare una categoria propria della manualistica inquisitoriale – testimonia la cautela dei giudici della fede bolognesi verso una forma diffusa di dissenso religioso, pur se equiparato all’eresia propriamente detta. Una rarissima condanna al rogo di fine Quattrocento nasconde infatti ragioni d’altra natura, fondamentalmente legate alla tutela della famiglia signorile dei Bentivoglio.

«Ad extirpandas sortilegiorum, divinatorum ac malleficorum iniquas operationes». Riflessi teorico-pratici della repressione nello specchio di un registro quattrocentesco dell’Inquisizione bolognese / riccardo parmeggiani. - In: RIVISTA STORICA ITALIANA. - ISSN 0035-7073. - STAMPA. - CXXIX:III(2017), pp. 842-862.

«Ad extirpandas sortilegiorum, divinatorum ac malleficorum iniquas operationes». Riflessi teorico-pratici della repressione nello specchio di un registro quattrocentesco dell’Inquisizione bolognese

riccardo parmeggiani
2017

Abstract

Uno dei nuovi obiettivi della repressione individuati dal Directorium di Eymerich e destinato a connotare anche a Bologna l’attività dell’Inquisizione nello scorcio del medioevo fu la negromanzia. Nella seconda metà del Quattrocento l’invocazione demoniaca a scopo divinatorio – questo grosso modo il significato medievale del termine – divenne sostanzialmente il crimine esclusivo di cui si occupò il tribunale felsineo: la dilagante fenomenologia dovette richiedere un notevole sforzo repressivo, impegno che i locali vertici domenicani affrontarono ponendo alla guida dell’officium i più autorevoli e dotti teologi di cui il convento di S. Domenico e l’intera Congregazione di Lombardia disponeva (tra questi, Gaspare Sighicelli, Gabriele Cassafages da Barcellona, Bartolomeo Comazzi e Vincenzo Bandello – entrambi successivamente promossi al generalato dell’Ordine –, nonché Giovanni Cagnazzo da Taggia). L’intensa stagione processuale inaugurata da questi giudici della fede, confermata dalla costruzione di nuove prigioni a partire dal 1452 «ad incarcerandum haereticos et facientes incantationes contra fidem», fu caratterizzata anche da alcune inchieste contro membri di altri Ordini Mendicanti, dal momento che la proliferazione della magia nera in città si doveva non secondariamente ad esponenti del clero, in virtù della necessaria conoscenza del latino per accedere ai testi contenenti formule rituali e propiziatorie. A tal proposito, come evidenziato da studi assai recenti, il pontefice francescano Sisto IV con la bolla Nuntiatum est nobis (1473) incaricò il vicario episcopale di indagare sulle voci riguardanti alcuni frati carmelitani, che avrebbero sostenuto pubblicamente che invocare demoni allo scopo di ottenere responsi su specifici interrogativi non fosse da considerarsi attività eretica. I sospetti eretici potevano tuttavia contare su un’influente rete di protezione, assicurata dagli strettissimi legami tra i vertici della Congregazione carmelitana di Mantova, sotto la cui giurisdizione era recentemente passato il convento bolognese, e la locale signoria, rappresentata anche presso la Curia da Francesco Gonzaga, figlio del Marchese Ludovico III e cardinal legato di Bologna dal 1471. Il porporato, così come il resto della famiglia, non riteneva infatti incompatibile con la fede la pratica di arti magiche. Un processo intentato contro un frate carmelitano provocò lo scontro frontale tra il priore locale, decano della facoltà teologica, e l’Inquisizione, conclusosi con la rimozione del giudice della fede. Il sostegno fattivo in funzione antinquisitoriale prestato da alcuni artigiani riflette il coinvolgimento nelle pratiche negromantiche di una sfera sociale popolare, come testimonia un inedito registro inquisitoriale relativo agli anni del mandato del domenicano Domenico Pirri da Gargnano (1485-1490), poi protagonista nel mantovano nel primo Cinquecento di una veemente azione contro le streghe Il Pirri, che frequentò i più illustri confratelli coevi, quali Giovanni Cagnazzo da Taggia, Leandro Alberti, Silvestro Mazzolini, detto Prierias (di cui fu maestro e di cui probabilmente per primo suscitò l’interesse verso la demonologia e la stregoneria), venne elogiato per le sue doti da Heinrich Kramer – l’autore del Malleus maleficarum – nel Clippeum, pubblicato nel 1501. I processi bolognesi condotti dal frate domenicano, oggetto prevalente dello studio, restituiscono una plastica e immediata evidenza della connotazione plurale della fenomenologia eterodossa al centro dei dibattiti teologici presso lo Studium di S. Domenico, convento la cui élite intellettuale fornì al tribunale un supporto anche d’ordine pratico, attraverso una qualificata consulenza giuridica al contempo procedurale e processuale. La predominante tendenza all’ingiunzione di pene penitenziali, anziché giudiziarie – per mutuare una categoria propria della manualistica inquisitoriale – testimonia la cautela dei giudici della fede bolognesi verso una forma diffusa di dissenso religioso, pur se equiparato all’eresia propriamente detta. Una rarissima condanna al rogo di fine Quattrocento nasconde infatti ragioni d’altra natura, fondamentalmente legate alla tutela della famiglia signorile dei Bentivoglio.
2017
«Ad extirpandas sortilegiorum, divinatorum ac malleficorum iniquas operationes». Riflessi teorico-pratici della repressione nello specchio di un registro quattrocentesco dell’Inquisizione bolognese / riccardo parmeggiani. - In: RIVISTA STORICA ITALIANA. - ISSN 0035-7073. - STAMPA. - CXXIX:III(2017), pp. 842-862.
riccardo parmeggiani
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/630728
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