Il battesimo infantile non sembra essere stata una pratica comune e standardizzata sin dall’inizio dell’era cristiana: a sostegno di questo, può essere evidenziata la mancanza di una teologia battesimale condivisa fra le chiese greca e latina, in particolare all’epoca (fine IV-inizi V sec.) in cui questa pratica venne maggiormente dibattuta. Nella visione occidentale post-agostiniana, il nascituro è contaminato dal peccato di Adamo per il fatto stesso del suo concepimento carnale, e necessita quindi del battesimo per cancellarlo e poter aspirare alla Salvezza. Al contrario, la visione orientale risulta molto più sfumata e dubitativa rispetto alla trasmissione del peccato originale ai singoli individui, e quindi anche rispetto al destino delle anime dei bambini non battezzati. Un contributo all’analisi di questo tema può essere fornito dalla concezione dell’infanzia a partire dal mondo antico fino a quello protobizantino (VII-VIII sec.), evidenziando elementi di continuità con la tradizione culturale classica maggiormente conservati nell’Oriente greco rispetto all’Occidente latino: in particolare, dalle fonti documentarie ed archeologiche sembra emergere il persistere di uno status particolare dell’infante, un essere “irrazionale” e “ai margini” della società. L’importanza della consapevolezza e della partecipazione personale del battezzando nel ricevere il sacramento, cosi come era nel battesimo delle origini, insieme al radicamento della convinzione che i bambini molto piccoli (in genere sotto i tre anni) non potessero efficacemente e razionalmente esprimere una propria volontà, sono forse fattori che hanno contribuito a ritardare generalmente il momento del battesimo dei più giovani nell’uso dei fedeli greco-orientali.
Lucia Maria Orlandi (In stampa/Attività in corso). Il battesimo degli infanti. Aspetti culturali e sociali del pedobattesimo a Bisanzio fra IV e VII secolo. BIZANTINISTICA, 18, 1-21.
Il battesimo degli infanti. Aspetti culturali e sociali del pedobattesimo a Bisanzio fra IV e VII secolo.
Lucia Maria Orlandi
In corso di stampa
Abstract
Il battesimo infantile non sembra essere stata una pratica comune e standardizzata sin dall’inizio dell’era cristiana: a sostegno di questo, può essere evidenziata la mancanza di una teologia battesimale condivisa fra le chiese greca e latina, in particolare all’epoca (fine IV-inizi V sec.) in cui questa pratica venne maggiormente dibattuta. Nella visione occidentale post-agostiniana, il nascituro è contaminato dal peccato di Adamo per il fatto stesso del suo concepimento carnale, e necessita quindi del battesimo per cancellarlo e poter aspirare alla Salvezza. Al contrario, la visione orientale risulta molto più sfumata e dubitativa rispetto alla trasmissione del peccato originale ai singoli individui, e quindi anche rispetto al destino delle anime dei bambini non battezzati. Un contributo all’analisi di questo tema può essere fornito dalla concezione dell’infanzia a partire dal mondo antico fino a quello protobizantino (VII-VIII sec.), evidenziando elementi di continuità con la tradizione culturale classica maggiormente conservati nell’Oriente greco rispetto all’Occidente latino: in particolare, dalle fonti documentarie ed archeologiche sembra emergere il persistere di uno status particolare dell’infante, un essere “irrazionale” e “ai margini” della società. L’importanza della consapevolezza e della partecipazione personale del battezzando nel ricevere il sacramento, cosi come era nel battesimo delle origini, insieme al radicamento della convinzione che i bambini molto piccoli (in genere sotto i tre anni) non potessero efficacemente e razionalmente esprimere una propria volontà, sono forse fattori che hanno contribuito a ritardare generalmente il momento del battesimo dei più giovani nell’uso dei fedeli greco-orientali.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.