Il bisogno di trasmettere uno schema differenziato di comportamento in base al sesso biologico è trasversale a tutte le società: gli schemi di genere sono funzionali all’organizzazione della realtà sociale. Il fatto che percepiamo la differenziazione sessuale dei ruoli maschili e femminili come socialmente inevitabile, è del resto la prova più evidente del fatto che essa poggia su schemi sociali sedimentati e naturalizzati (Bourdieu 1999), a cui uomini e donne vengono socializzati fin dalla primissima infanzia. Il processo di formazione ai ruoli di genere è talmente precoce che i suoi effetti si manifestano già nei primi anni di vita, proprio per questo rischiano di essere confusi per “naturali”. Al centro di tutto c’è un sistema di aspettative sociali differenziate che gli/le adulti/e mettono in atto ogni giorno per fare in modo che i bambini e le bambine arrivino progressivamente a corrispondere alle immagini che si hanno degli uni e delle altre (Ruspini 2009). Importante a questo proposito sottolineare che, se è vero che storicamente sono state le bambine – future donne – ad essere più penalizzate da questa sorta di “addestramento” ai ruoli di genere (Gianini Belotti 1973), non si deve sottovalutare la portata repressiva che tale processo produce nella formazione dei bambini-maschi. Gli stereotipi di genere risultano infatti limitanti e pressanti nel processo di costruzione identitaria, sia femminile che maschile. Quali sono gli attori che entrano in campo nel pilotare questa caratterizzazione dell'infanzia così rigidamente polarizzata sul dualismo maschile/femminile? La famiglia e la scuola, in quanto principali agenzie di socializzazione, sono tradizionalmente considerate i primi ambiti di formazione di un’identità di genere nei bambini e nelle bambine. Se la famiglia, da un lato, rappresenta un luogo di riproduzione delle più tradizionali visioni del maschile e del femminile, dall’altro, sta assumendo, a seguito di un’accresciuta consapevolezza del valore dell’infanzia e di una “nuova cultura della genitorialità”, nuove configurazioni improntate a un maggiore ascolto del bambino e a una rinegoziazione interna dei ruoli di genere e generazionali di tutti i suoi membri. Talvolta cioè, anche sulla base di differenti fattori socio-economici e culturali, l’ambito familiare può diventare uno dei luoghi in cui processualmente si decostruisce una cultura di genere stereotipata e se ne ricostruisce una più rispettosa delle differenze. La scuola, allo stesso tempo, evidenzia esperienze di sperimentazione e promozione di progetti di “educazione di genere e all’affettività” che restano però minoritarie rispetto ad un modello di scuola dominante che, anziché fungere da motore di cambiamento sociale, tende a reiterare, e dunque a legittimare, un immaginario sul femminile e sul maschile fortemente deficitario e limitante sia per le bambine che per i bambini. In Italia già dai primi anni ’80, con una particolare enfasi negli anni ’90, alcune studiose (Bolognari 1991; Mapelli 1991; Ulivieri 1995) hanno cercato di trasferire in ambito scolastico le problematiche emergenti dal dibattito neo-femminista degli anni ’70 domandandosi in che modo la scuola possa promuovere nelle classi un nuovo modo di concepire il rapporto tra i sessi, improntato all’idea di uguaglianza, pur nel rispetto e nella valorizzazione delle differenze. Purtroppo, ad oggi, dobbiamo constatare che la questione della parità di genere non è stata ben assimilata dal nostro sistema educativo che continua in prevalenza a riprodurre una cultura sessista e conservatrice, intrisa di stereotipi di genere. Alla famiglia e alla scuola vanno poi aggiunti i contesti educativi non formali e informali (ludico-sportivi e ricreativi) in cui bambini e bambine passano molto del loro tempo libero intessendo relazioni tra pari e con adulti altrettanto significative per la costruzione di una consapevolezza delle differenze di genere e di una propria identità. La questione del rapporto tra genere e infanzia è stata però prevalentemente affrontata da un punto di vista che potremmo definire adultocentrico, cioè prendendo in considerazione la prospettiva degli adulti e caricando di una valenza pressoché totale il loro agire rispetto alla costruzione di un’identità di genere nell’infanzia e mettendo tra parentesi il ruolo altresì svolto dal gruppo dei pari e dalle forme di socializzazione orizzontali che avvengono tra coetanei e, in primis, le stesse capacità di bambini e bambine di riprodurre interpretando i messaggi provenienti dal mondo adulto (Corsaro 1997). Essi/e non sarebbero cioè dei meri ripetitori della cultura adulta o target passivi ma soggetti dotati di agency, capaci cioè di interpretare e ricostruire contenuti nuovi e diversi da quelli a loro trasmessi dai media e dalle principali agenzie di socializzazione e veicolati attraverso tutti quei prodotti (giochi, videogiochi, libri, ecc.) di entertainment e di edutainment (Buckingham, Scanlon 2005) rivolti all’infanzia. Per comprendere quindi quanto sta succedendo nell’ambito dell’educazione di genere abbiamo bisogno di allargare lo zoom ai diversi contesti di vita quotidiana dell’infanzia, agli attori coinvolti (bambini/e e adulti siano essi/e genitori, insegnanti o operatori/trici impegnati/e in un ruolo educativo) e alle relazioni tra adulti e bambini/e. In particolare, ci domandiamo se esista una specificità italiana su questo tema che negli ultimi anni è stato oggetto di un acceso dibattito pubblico che ha coinvolto trasversalmente genitori e insegnanti, polarizzandosi tra “favorevoli e contrari” all’inserimento dell’educazione di genere nelle scuole. Se questo è quanto si rileva in Italia, cosa succede in altri paesi a livello di discussione nella sfera pubblica? Come si lavora su un piano di politiche, di progettualità e di pratiche sull’educazione di genere nell’infanzia a livello internazionale?
C. Satta , I. Biemmi (2017). Infanzia, educazione e genere. La costruzione delle culture di genere tra contesti scolastici, extrascolastici e familiari. AG-ABOUT GENDER, 6(12), 1-21 [10.15167/2279-5057/AG2017.6.12.491].
Infanzia, educazione e genere. La costruzione delle culture di genere tra contesti scolastici, extrascolastici e familiari
Satta Caterina;BIEMMI, IRENE
2017
Abstract
Il bisogno di trasmettere uno schema differenziato di comportamento in base al sesso biologico è trasversale a tutte le società: gli schemi di genere sono funzionali all’organizzazione della realtà sociale. Il fatto che percepiamo la differenziazione sessuale dei ruoli maschili e femminili come socialmente inevitabile, è del resto la prova più evidente del fatto che essa poggia su schemi sociali sedimentati e naturalizzati (Bourdieu 1999), a cui uomini e donne vengono socializzati fin dalla primissima infanzia. Il processo di formazione ai ruoli di genere è talmente precoce che i suoi effetti si manifestano già nei primi anni di vita, proprio per questo rischiano di essere confusi per “naturali”. Al centro di tutto c’è un sistema di aspettative sociali differenziate che gli/le adulti/e mettono in atto ogni giorno per fare in modo che i bambini e le bambine arrivino progressivamente a corrispondere alle immagini che si hanno degli uni e delle altre (Ruspini 2009). Importante a questo proposito sottolineare che, se è vero che storicamente sono state le bambine – future donne – ad essere più penalizzate da questa sorta di “addestramento” ai ruoli di genere (Gianini Belotti 1973), non si deve sottovalutare la portata repressiva che tale processo produce nella formazione dei bambini-maschi. Gli stereotipi di genere risultano infatti limitanti e pressanti nel processo di costruzione identitaria, sia femminile che maschile. Quali sono gli attori che entrano in campo nel pilotare questa caratterizzazione dell'infanzia così rigidamente polarizzata sul dualismo maschile/femminile? La famiglia e la scuola, in quanto principali agenzie di socializzazione, sono tradizionalmente considerate i primi ambiti di formazione di un’identità di genere nei bambini e nelle bambine. Se la famiglia, da un lato, rappresenta un luogo di riproduzione delle più tradizionali visioni del maschile e del femminile, dall’altro, sta assumendo, a seguito di un’accresciuta consapevolezza del valore dell’infanzia e di una “nuova cultura della genitorialità”, nuove configurazioni improntate a un maggiore ascolto del bambino e a una rinegoziazione interna dei ruoli di genere e generazionali di tutti i suoi membri. Talvolta cioè, anche sulla base di differenti fattori socio-economici e culturali, l’ambito familiare può diventare uno dei luoghi in cui processualmente si decostruisce una cultura di genere stereotipata e se ne ricostruisce una più rispettosa delle differenze. La scuola, allo stesso tempo, evidenzia esperienze di sperimentazione e promozione di progetti di “educazione di genere e all’affettività” che restano però minoritarie rispetto ad un modello di scuola dominante che, anziché fungere da motore di cambiamento sociale, tende a reiterare, e dunque a legittimare, un immaginario sul femminile e sul maschile fortemente deficitario e limitante sia per le bambine che per i bambini. In Italia già dai primi anni ’80, con una particolare enfasi negli anni ’90, alcune studiose (Bolognari 1991; Mapelli 1991; Ulivieri 1995) hanno cercato di trasferire in ambito scolastico le problematiche emergenti dal dibattito neo-femminista degli anni ’70 domandandosi in che modo la scuola possa promuovere nelle classi un nuovo modo di concepire il rapporto tra i sessi, improntato all’idea di uguaglianza, pur nel rispetto e nella valorizzazione delle differenze. Purtroppo, ad oggi, dobbiamo constatare che la questione della parità di genere non è stata ben assimilata dal nostro sistema educativo che continua in prevalenza a riprodurre una cultura sessista e conservatrice, intrisa di stereotipi di genere. Alla famiglia e alla scuola vanno poi aggiunti i contesti educativi non formali e informali (ludico-sportivi e ricreativi) in cui bambini e bambine passano molto del loro tempo libero intessendo relazioni tra pari e con adulti altrettanto significative per la costruzione di una consapevolezza delle differenze di genere e di una propria identità. La questione del rapporto tra genere e infanzia è stata però prevalentemente affrontata da un punto di vista che potremmo definire adultocentrico, cioè prendendo in considerazione la prospettiva degli adulti e caricando di una valenza pressoché totale il loro agire rispetto alla costruzione di un’identità di genere nell’infanzia e mettendo tra parentesi il ruolo altresì svolto dal gruppo dei pari e dalle forme di socializzazione orizzontali che avvengono tra coetanei e, in primis, le stesse capacità di bambini e bambine di riprodurre interpretando i messaggi provenienti dal mondo adulto (Corsaro 1997). Essi/e non sarebbero cioè dei meri ripetitori della cultura adulta o target passivi ma soggetti dotati di agency, capaci cioè di interpretare e ricostruire contenuti nuovi e diversi da quelli a loro trasmessi dai media e dalle principali agenzie di socializzazione e veicolati attraverso tutti quei prodotti (giochi, videogiochi, libri, ecc.) di entertainment e di edutainment (Buckingham, Scanlon 2005) rivolti all’infanzia. Per comprendere quindi quanto sta succedendo nell’ambito dell’educazione di genere abbiamo bisogno di allargare lo zoom ai diversi contesti di vita quotidiana dell’infanzia, agli attori coinvolti (bambini/e e adulti siano essi/e genitori, insegnanti o operatori/trici impegnati/e in un ruolo educativo) e alle relazioni tra adulti e bambini/e. In particolare, ci domandiamo se esista una specificità italiana su questo tema che negli ultimi anni è stato oggetto di un acceso dibattito pubblico che ha coinvolto trasversalmente genitori e insegnanti, polarizzandosi tra “favorevoli e contrari” all’inserimento dell’educazione di genere nelle scuole. Se questo è quanto si rileva in Italia, cosa succede in altri paesi a livello di discussione nella sfera pubblica? Come si lavora su un piano di politiche, di progettualità e di pratiche sull’educazione di genere nell’infanzia a livello internazionale?I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.