Il saggio analizza le numerose opere di Giulio Cesare Croce che descrivono le difficili condizioni dei poveri. Anche se in lui manca l’impegno sociale e la constatazione della sofferenza si risolve nel paternalismo, la secolare fatica sopportata dagli uomini per sopravvivere non la si descrive impassibilmente dall’esterno o dall’alto del palazzo signorile o dell’accademia, ma dalla prospettiva stessa del tugurio, dalla parte dei poveretti, dei miserabili, dei mendicanti, di quelli che non hanno un giaciglio. Di questa «civiltà della miseria» il sorriso di Croce non nasconde l’asprezza, non sorvola sulle condizioni di vita dure, crude, spietate, ma le rappresenta, sia pure senza indignarsi. Anche dietro la cantabilità dei suoi versi, anche dietro l’irrisoria facilità nel confezionare versi su versi resi orecchiabili dalla rima, si può cogliere ugualmente la terribile realtà descritta dagli storici del tempo, come Pompeo Vizzani, l’autore della versione bolognese del Lazarillo. Le opere crocesche prese in esame sono il Banchetto de’ malcibati, il Lamento di tutte l’arti del mondo […] per le poche facende che si fanno alla giornata, il Lamento della povertà per l’estremo freddo del presente anno 1587, la disputa tra il «pane di formento e quello di fava», l’utopia dell’Alba d’oro consolatrice, la distopia della Barca de’ rovinati, gli incubi dei Sogni fantastichi della notte, la descrizione picaresca dell’Arte della forfanteria, la Grandezza della povertà.
Battistini, A. (2017). Tormenti e sopportazione della povertà in Giulio Cesare Croce. IBC, XXV(4), 1-4.
Tormenti e sopportazione della povertà in Giulio Cesare Croce
Battistini, Andrea
2017
Abstract
Il saggio analizza le numerose opere di Giulio Cesare Croce che descrivono le difficili condizioni dei poveri. Anche se in lui manca l’impegno sociale e la constatazione della sofferenza si risolve nel paternalismo, la secolare fatica sopportata dagli uomini per sopravvivere non la si descrive impassibilmente dall’esterno o dall’alto del palazzo signorile o dell’accademia, ma dalla prospettiva stessa del tugurio, dalla parte dei poveretti, dei miserabili, dei mendicanti, di quelli che non hanno un giaciglio. Di questa «civiltà della miseria» il sorriso di Croce non nasconde l’asprezza, non sorvola sulle condizioni di vita dure, crude, spietate, ma le rappresenta, sia pure senza indignarsi. Anche dietro la cantabilità dei suoi versi, anche dietro l’irrisoria facilità nel confezionare versi su versi resi orecchiabili dalla rima, si può cogliere ugualmente la terribile realtà descritta dagli storici del tempo, come Pompeo Vizzani, l’autore della versione bolognese del Lazarillo. Le opere crocesche prese in esame sono il Banchetto de’ malcibati, il Lamento di tutte l’arti del mondo […] per le poche facende che si fanno alla giornata, il Lamento della povertà per l’estremo freddo del presente anno 1587, la disputa tra il «pane di formento e quello di fava», l’utopia dell’Alba d’oro consolatrice, la distopia della Barca de’ rovinati, gli incubi dei Sogni fantastichi della notte, la descrizione picaresca dell’Arte della forfanteria, la Grandezza della povertà.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.