I musei servono a incantare, ma più che altro servono a scoprire l’incanto. Bettelheim diceva che “troppo spesso i musei odierni cercano di trasmettere ai bambini un tipo di conoscenza dalla quale non nascerà alcun senso di meraviglia”. Queste affermazioni si rivelano in tutta la loro provocatorietà per il sistema educativo in generale. In un mondo dove la meraviglia sembra essere esclusivamente associata allo spettacolare, al teratologico, come accadeva nelle wunderkammern del Seicento, pare che nient’altro sia più in grado di sollecitare la capacità di stupirsi e di vivere l’esperienza della contemplazione estetica. Attraverso qualche esempio tratto da percorsi espositivi a carattere interculturale, vorrei invece mostrare come un buon uso dell’esperienza estetica possa scaturire dall’incontro con la normale “quotidianità” e come, attraverso questa, sia possibile vivere un senso del “bello” alternativo all’estetica imperante proposta dai mass media. Quotidianità, intesa come esperienza di cose che paiono banali, perché comuni; come può esserlo l’incontro con una bottiglia d’acqua, un paio di jeans o un segnale stradale. Oggetti considerati “non autentici” e quindi nemmeno degni di entrare nei templi delle meraviglie, ma che, proprio grazie ad un eccesso di cose “uniche” e di super-immagini che segnano lo scenario globale contemporaneo, divengono strumenti potenziali e provocatori per lo sviluppo di una lettura critica della realtà.
Bonetti, R. (2006). Così banale, così bello. L’ÉCOLE VALDÔTAINE, 70, 41-44.
Così banale, così bello.
Bonetti, Roberta
2006
Abstract
I musei servono a incantare, ma più che altro servono a scoprire l’incanto. Bettelheim diceva che “troppo spesso i musei odierni cercano di trasmettere ai bambini un tipo di conoscenza dalla quale non nascerà alcun senso di meraviglia”. Queste affermazioni si rivelano in tutta la loro provocatorietà per il sistema educativo in generale. In un mondo dove la meraviglia sembra essere esclusivamente associata allo spettacolare, al teratologico, come accadeva nelle wunderkammern del Seicento, pare che nient’altro sia più in grado di sollecitare la capacità di stupirsi e di vivere l’esperienza della contemplazione estetica. Attraverso qualche esempio tratto da percorsi espositivi a carattere interculturale, vorrei invece mostrare come un buon uso dell’esperienza estetica possa scaturire dall’incontro con la normale “quotidianità” e come, attraverso questa, sia possibile vivere un senso del “bello” alternativo all’estetica imperante proposta dai mass media. Quotidianità, intesa come esperienza di cose che paiono banali, perché comuni; come può esserlo l’incontro con una bottiglia d’acqua, un paio di jeans o un segnale stradale. Oggetti considerati “non autentici” e quindi nemmeno degni di entrare nei templi delle meraviglie, ma che, proprio grazie ad un eccesso di cose “uniche” e di super-immagini che segnano lo scenario globale contemporaneo, divengono strumenti potenziali e provocatori per lo sviluppo di una lettura critica della realtà.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.