Mai dire squola, è un'esposizione itinerante e interculturale, realizzata in diverse città d’Italia nella scuola primaria e nella scuola secondaria primaria. Il percorso, basato su una modalità di ricerca-azione, si compone di circa con 150 segnali del tipo “Attenzione bambini” così come è concepito in altrettanti paesi del mondo. Che cosa succede se si mettono a confronto e si analizzano in profondità segnali stradali di questo genere utilizzati in diversi continenti e paesi? Attraverso una lettura critica dei cartelli stradali, che sono di immediata interpretazione ma che si prestano ad essere variamente indagati, si traggono informazioni su diversi modelli educativi, sull’ambiente scolastico, sui rapporti genitori e figli, sulle discriminazioni di genere, sull’alimentazione, sull’uniforme. I disegni contengono, infatti, realtà diverse e talora contrapposte: bambini soli o accompagnati da un fratello o una sorella maggiore; bambini che portano l’uniforme, oppure un vestito tradizionale. In alcune rappresentazioni si nota l’assenza delle ragazze; in altre è evidente il desiderio di stabilire un rapporto di uguaglianza tra i sessi. Perché un percorso incentrato sulla lettura critica delle immagini? Il progetto ‘Mai dire squola’ intende fornire ai ragazzi, attraverso una metodologia trasversale nella quale tutti possano mettere in gioco il proprio “punto di vista”, strumenti per imparare a osservare le immagini in maniera critica. Dal monitoraggio svolto in questi anni a contatto con migliaia di alunni di varie età, in occasione di diversi percorsi espositivi, ci siamo resi conto di come le immagini costituiscano le loro maggiori fonti di approvvigionamento di informazione. È riconosciuto – con una certa evidenza empirica – che i giudizi e i pregiudizi sull’ ‘altro’ sono alimentati in primo luogo dalle immagini, le quali possiedono il frastornante potere di confondere il “vedere” con il “sapere”. Il modo con il quale guardiamo le immagini fa emergere una visione del mondo condivisa che dirige la nostra attenzione. Tale sguardo determina e conferma un’assunzione implicita e sottintesa (ancorché storicamente determinata e funzionalmente orientata) di ciò che è dentro e di ciò che è fuori, di chi sono i noi, e di chi sono gli altri, giungendo a definire i confini di una comunità e a strutturare la vita emotiva e cognitiva dei suoi membri. “Mai dire squola” si è rivelata un’esperienza proficua anche nel tentativo di ovviare ad una interpretazione geografica delle culture altre, focalizzandosi invece sulle dinamiche relazionali che avvengono nel contesto nel quale viene proposta. Interculturalità è divenuto quindi un progetto/pretesto per facilitare l’avvicinamento da parte degli educatori alle diverse esigenze espressive degli allievi, riconoscendo l’unicità e la diversa abilità di ciascuno di essi, indipendentemente dal loro luogo di provenienza. Invece di creare ponti tra culture diverse, il percorso di ricerca-azione pone in evidenza quanto sia più efficace, sul piano delle pratiche educative, creare ponti tra codici comunicativi differenti, attraverso i quali tutti i partecipanti possono sentirsi riconosciuti nella loro unicità. In tali percorsi, gli individui giungono inoltre più o meno consapevolmente a generare informazioni sugli effetti determinati dai loro modelli di insegnamento, all’interno dei loro processi di apprendimento e di quello dei loro pari.

Bonetti, R. (2005). Etnografia di una mostra didattica. “Mai dire squola. Percorsi educativi dal mondo". ANTROPOLOGIA MUSEALE, 11, 56-59.

Etnografia di una mostra didattica. “Mai dire squola. Percorsi educativi dal mondo".

Bonetti, Roberta
2005

Abstract

Mai dire squola, è un'esposizione itinerante e interculturale, realizzata in diverse città d’Italia nella scuola primaria e nella scuola secondaria primaria. Il percorso, basato su una modalità di ricerca-azione, si compone di circa con 150 segnali del tipo “Attenzione bambini” così come è concepito in altrettanti paesi del mondo. Che cosa succede se si mettono a confronto e si analizzano in profondità segnali stradali di questo genere utilizzati in diversi continenti e paesi? Attraverso una lettura critica dei cartelli stradali, che sono di immediata interpretazione ma che si prestano ad essere variamente indagati, si traggono informazioni su diversi modelli educativi, sull’ambiente scolastico, sui rapporti genitori e figli, sulle discriminazioni di genere, sull’alimentazione, sull’uniforme. I disegni contengono, infatti, realtà diverse e talora contrapposte: bambini soli o accompagnati da un fratello o una sorella maggiore; bambini che portano l’uniforme, oppure un vestito tradizionale. In alcune rappresentazioni si nota l’assenza delle ragazze; in altre è evidente il desiderio di stabilire un rapporto di uguaglianza tra i sessi. Perché un percorso incentrato sulla lettura critica delle immagini? Il progetto ‘Mai dire squola’ intende fornire ai ragazzi, attraverso una metodologia trasversale nella quale tutti possano mettere in gioco il proprio “punto di vista”, strumenti per imparare a osservare le immagini in maniera critica. Dal monitoraggio svolto in questi anni a contatto con migliaia di alunni di varie età, in occasione di diversi percorsi espositivi, ci siamo resi conto di come le immagini costituiscano le loro maggiori fonti di approvvigionamento di informazione. È riconosciuto – con una certa evidenza empirica – che i giudizi e i pregiudizi sull’ ‘altro’ sono alimentati in primo luogo dalle immagini, le quali possiedono il frastornante potere di confondere il “vedere” con il “sapere”. Il modo con il quale guardiamo le immagini fa emergere una visione del mondo condivisa che dirige la nostra attenzione. Tale sguardo determina e conferma un’assunzione implicita e sottintesa (ancorché storicamente determinata e funzionalmente orientata) di ciò che è dentro e di ciò che è fuori, di chi sono i noi, e di chi sono gli altri, giungendo a definire i confini di una comunità e a strutturare la vita emotiva e cognitiva dei suoi membri. “Mai dire squola” si è rivelata un’esperienza proficua anche nel tentativo di ovviare ad una interpretazione geografica delle culture altre, focalizzandosi invece sulle dinamiche relazionali che avvengono nel contesto nel quale viene proposta. Interculturalità è divenuto quindi un progetto/pretesto per facilitare l’avvicinamento da parte degli educatori alle diverse esigenze espressive degli allievi, riconoscendo l’unicità e la diversa abilità di ciascuno di essi, indipendentemente dal loro luogo di provenienza. Invece di creare ponti tra culture diverse, il percorso di ricerca-azione pone in evidenza quanto sia più efficace, sul piano delle pratiche educative, creare ponti tra codici comunicativi differenti, attraverso i quali tutti i partecipanti possono sentirsi riconosciuti nella loro unicità. In tali percorsi, gli individui giungono inoltre più o meno consapevolmente a generare informazioni sugli effetti determinati dai loro modelli di insegnamento, all’interno dei loro processi di apprendimento e di quello dei loro pari.
2005
Bonetti, R. (2005). Etnografia di una mostra didattica. “Mai dire squola. Percorsi educativi dal mondo". ANTROPOLOGIA MUSEALE, 11, 56-59.
Bonetti, Roberta
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/624885
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